Dopo essere entrati nell'edificio, seguo Hailey al piano di sopra quando un pensiero brusco quasi mi blocca: cosa avrebbero pensato i miei colleghi?
Mi avrebbero preso per un assassino? Avrebbero avuto tutti i buoni motivi per farlo, in fondo, anche se non ci sono reali prove, tutto riconduce a una persona: io.
Combacerebbe tutto alla perfezione: per vendicarmi di James avrei pianificato questo omicidio, uscendo dall'ufficio senza avvisare nessuno di ciò, approfittando della città deserta per agire, e infine chiamare la polizia fingendo di essere un semplice lavoratore capitato per caso nella scena del crimine.
No, però, stavo tralasciando una cosa, non combacerebbe tutto perfettamente, c'è forse un dettaglio che può salvarmi: mio figlio.
Certo, se avessi ucciso io James, perché doveva esserci di mezzo anche mio figlio?
Direi che questo avrebbe impedito a tutti di accusarmi, tuttavia ho il dubbio che qualcuno riuscirebbe a inventarsi una storia che potrebbe convincere la polizia a considerarmi comunque colpevole.
Ma perché mi sto preoccupando così tanto, io non sono un killer e non ho ucciso nessuno, punto e fine della storia.
Però sembra andare tutto storto, è come se tutto fosse successo in modo tale da incolparmi.
Un momento, e se davvero fosse stato tutto organizzato purché io fossi accusato come omicida?
-Robert? Mi sta ascoltando?
Ecco, non avevo nemmeno sentito ciò che mi aveva appena detto la ragazza, non potevo fare queste figuracce persino con la polizia.
-C-certo mi scusi, devo essermi perso l'ultima parte, ero assorto nei pensieri...
-Già, l'ho notato, ma non deve preoccuparsi così tanto, sono solo qualche domanda.
Certo, facile per lei dire così, di stare tranquillo, quando è appena morto mio figlio e ho l'idea che tutti credano che io sia un pazzo assassino.
-Eccoci.
Entriamo nella sala, dove le rigide regole del distanziamento sembrano ora poco importanti vista la gravità della situazione: tutti sono scioccati, lo riesco a capire anche con le mascherine, alcuni spaventati, altri persi nei pensieri proprio come me.
Quando entro assieme ad Hailey sento mille occhiate su di me; cavolo, allora stavano proprio pensando che li avessi uccisi io?
Fortunatamente Lucas e Millie mi fanno capire che non era affatto così: vengono subito verso di me, dimenticandosi di mantenere le distanze, e iniziano a farmi mille domande.
Il primo a parlare è Lucas:
-Robert oddio! Eravamo così preoccupati a saperti fuori da qui in una situazione del genere! Hai visto qualcuno? C'è stato uno sparo, l'hai sentito? Come li hai trovati? E, per caso,..
-Lucas! Fallo respirare, non assillarlo con tutte queste domande!
In effetti, mi stava facendo salire un'ansia tremenda, ma mi affrettai a rispondere a tutte le domande nel modo più chiaro possibile
-Ragazzi, anche io faccio fatica a credere a ciò che è successo. Io ero dietro al bar a fare una pausa, so che non era aperto ma me ne ero totalmente dimenticato, e nella panchina ho iniziato a guardare alcuni social, poi decisi di tornare dentro ma prima di farlo andai a controllare nel retro la mia bici, e così vidi tutto.
-Oh, ma allora non hanno sparato, sennò avresti sentito il colpo, giusto?- intervenne stavolta Millie.
Si, uno sparo c'era stato, ma non l'avevo minimamente sentito perché... un secondo, perché diamine non avevo sentito lo sparo?
-No, in realtà hanno sparato, ma non ho sentito nulla perché...
Forse mi stava venendo in mente come avrei potuto non sentirlo.
-Ah, dunque deve avere per forza usato un silenziatore.
L'affermazione di Lucas bloccò i miei ragionamenti dato che sembrava essere la risposta più chiara, semplice e ovvia, perciò mi accontentai di quella spiegazione.
-So che non dovremo stressarti troppo, ma sei sicuro che non ci fosse nessuno, nascosto da qualche parte, o per caso ti è capitato di sentirti osservato prima?
Ma l'interrogatorio non me l'avrebbe dovuto fare la polizia?
Infatti in quel momento Hailey interruppe la nostra conversazione.
-Scusateci, ma ora dobbiamo interrompervi. Faremo alcune domande a ciascuno di voi, iniziamo da te, Robert. Sarà il mio collega Dylan a interrogarti.
Anche lui sembrava abbastanza giovane, non come la ragazza però, doveva avere poco più di trent'anni.
Mi dirigo verso la mia stanza, e incredibilmente scopro che l'interrogatorio sia molto più semplice di quello che avrei creduto, forse anche per il fatto che, senza saperlo, le risposte a tutte le possibili domande le avevo già formulate nella mia testa, da quando mi ero trovato nella scena del crimine e avevo realizzato di poter essere un sospettato.
Dopo dieci minuti Dylan sembra abbastanza convinto, ma noto che ha ancora qualche dubbio e vuole indagare al meglio.
E' davvero interessato al caso: in particolare, dopo avergli raccontato della telefonata e dei messaggi anonimi, è rimasto molto stupito, infatti credo che vorrà occuparsi personalmente di questo caso e di tutti le indagini che seguiranno.
Da un certo punto di vista sono contento di questo, mi sembra una persona tutt'altro che superficiale, perciò sono convinto che sarebbe perfetto per indagare in una situazione del genere e per non tralasciare piccoli dettagli che, la maggior parte delle volte, si rivelano fatali per risolvere il crimine.
Mi chiede di lasciargli il mio numero, cosicché possa ricontattarmi in caso di aggiornamenti.
Alle 12 tutti siamo stati interrogati, e nessuno riesce a fornire alla polizia informazioni sufficienti per stabilire il colpevole.
Lasciamo tutti l'edificio, compresa la polizia, che aveva già scattato foto, analizzato e messo sotto sequestro l'area del crimine.
Oltre alle mie impronte, notai che vi era come una lunga striscia di cemento che si contraddistingueva dal resto del terreno che, a differenza di essa, non era bagnato.
Questa proseguiva fino alla strada, dove poco dopo si era asciugata fino a sparire.
Poteva essere un indizio, una traccia di qualcosa?
Ma che cosa poteva rappresentare quella striscia? Non mi veniva in mente nulla.
Se ne sarebbe occupata la polizia, avrebbe di sicuro capito più di me e forse avrebbe notato altri dettagli.
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Quando arrivo a casa, vedo all'ingresso la macchina dei miei genitori, che arrivano subito da me preoccupati. Avevano già sentito tutto al telegiornale e non potevano credere a ciò che fosse successo a Dustin.
Dalle loro facce sembrano davvero scioccati, d'altronde non succede tutti i giorni di perdere un nipote in un omicidio.
Ancora meno spesso, però, accadde di rimanere coinvolti in esso: io difatti, al contrario di loro, ero più che altro scosso e spaventato, convinto che mi avrebbero incastrato come succede in qualche libro giallo, e rilasciato di prigione solo 20 anni dopo, una volta scoperto che si era trattato solo di un errore, un semplice errore che poteva cambiare la vita a chiunque.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti! Capitolo un po' cortino e di passaggio, avete intuito qualche dettaglio, state iniziando a formulare qualche ipotesi, o siete ancora in alto mare?
Devo dire, è molto presto per fare delle deduzioni...
Non perdetevi i prossimi capitoli, lasciate una stellina se vi è piaciuto e ditemi liberamente che cosa ne pensate!
A prestissimo <3
Anna
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Omicidio a Brooklyn
Mystery / ThrillerCom'è possibile che la tua vita cambi da un momento all'altro? Come una semplice dimenticanza più crearti così tanti problemi? Come ho fatto a passare da un semplice lavoratore al sospettato principale di un omicidio? Un'avventura affascinante, con...