𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝟏𝟐

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SKYE

Ero seduta su una poltrona di pelle che sembrava volermi inghiottire. Non importava quante volte aggiustassi la mia postura: finivo sempre per essere risucchiata. Invece di fermarci a parlare nel soggiorno, nonno mi aveva trascinata in una specie di studio, se così si poteva descrivere; era pieno di librerie e scaffali stracolmi di tomi antichi. Ogni libro sembrava essere vecchio di decenni, le copertine erano consumate e i dorsi impolverati; quasi mi fece male vedere quella poca cura nei loro confronti. I volumi tra l'altro erano messi a caso, alcuni più alti, altri più corti... dio che fastidio! Io ero solita sistemare le mie mensole per colori e per ordine di grandezza, stando attenta a seguire le varie sfumature.

Vedere questo disordine mi disturbava molto di più che essere rincorsa da due predatori famelici. Ma il caos sembrava una cosa ricorrente visto che, la scrivania sulla destra, proprio davanti la finestra, era coperta da vari fogli, penne e fermacarte sparspagliati. Solamente le vetrine che ogni tanto comparivano tra gli scaffali in legno sembravano messe in ordine e tenute in maniera decente. Dietro ai loro vetri fumè c'erano vari oggetti intriganti: pugnali con manici intarsiati, ampolle piene di liquidi luminescenti, e piccole creature di ceramica che sembravano osservare ogni movimento all'interno dello studio. Non sapevo che mio nonno avesse un gusto così particolare nell'arredare.

Mi piaceva, faceva molto stile stregone.

La domestica di nonno, di cui non ricordavo nemmeno il nome, mi portò una cioccolata calda fumante. La fissai per qualche istante. Era estate. Facevano cinquanta gradi all'ombra.

«Credimi, ti aiuterà» mi disse con un sorriso.

Capivo che ero tornata tutta tremante, ma non certo per il freddo! O meglio, avvertivo un certo calo di temperatura, ma era diverso. Era un gelo particolare e non sembrava venire dall'esterno, ma da dentro, come se ce lo avessi nelle ossa. Ma una bevanda calda mi sembrava eccessivo!

Ad ogni modo, l'accettai con un sorriso tirato e me la scolai tutta d'un fiato, perché beh, ero una masochista. Non potevo pensarla altrimenti visti i casini successi nell'arco di poche ore.

Mio nonno continuava a fissarmi, a studiarmi come se si aspettasse che da un momento all'altro mi crescesse una seconda testa. Io ero stanca, sfinita e assonnata, e la sua scrutata penetrante iniziava a darmi sui nervi. Aveva detto che avremmo parlato, allora perché non apriva bocca? Si aspettava che fossi io a rompere il ghiaccio?

Stavo per dire qualcosa, quando la porta dello studio si aprì e due ragazzi entrarono. Uno di loro lo riconobbi subito. Arrossii leggermente al pensiero di averlo visto nudo. Avevo cercato di ignorarlo, ma nonostante lo scombussolamento, avevo notato la melanzana che teneva tra le gambe. Mi morsi un labbro. Beh, almeno ora è vestito. Indossava una maglietta a mezze maniche e dei pantaloni jeans che gli fasciavano le gambe a meraviglia.

L'altro ragazzo sembrava invece, provenire da un mondo completamente diverso. Con i capelli neri e un aspetto più mingherlino, ma anche più alto di qualche centimetro, emanava un'aria di sicurezza che lo faceva sembrare quasi intimidatorio. Era ricoperto di tatuaggi e piercing, ognuno di essi raccontava una storia che probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di chiedere. Il lupo nero, pensai non appena i suoi occhi gialli incrociarono i miei.

Mi innervosii, non tanto per la loro presenza, quanto per il fatto che questi due stronzi mi avevano rincorso come una preda fino a farmi decidere di gettarmi in un fiume.

«Niente?» chiese il nonno, voltandosi nella loro direzione.

Entrambi scossero la testa.

Il nonno annuì. «Bene, sedetevi» Indicò il divano accanto alla sua poltrona. Il lupo bianco si accomodò come ordinato, mentre quello nero rimase in piedi, appoggiandosi con nonchalance alla porta e scrutandomi con occhi attenti.

Storm-Bound VeinsWhere stories live. Discover now