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Si ridestò nel suo letto, Albert Smith.
Impregnato di sudore, il cuore martellava nel petto. Aveva sognato, no, forse no. Aveva avuto degli incubi, densi di malignità, d'angoscia.

Si mise seduto, rifletté un attimo a come fosse arrivato nella sua camera da letto, ma non ci badò molto. Era capitato più volte che s'addormentasse da una parte e si risvegliasse da un'altra, fin da pargolo.
Si passò le mani sul viso, umide e contratte, sfregandosi un poco gli occhi per poi ripoggiarle sul materasso. Intorno a sé v'era il buio, ora tarda. La Luna tentava di filtrare con i suoi raggi dalla finestra presente nella stanza, ma per il resto, nessun'altra fonte luminosa era presente.

Si mise in piedi, stanco e ancora un po' assonnato, prendendo la decisione che forse era meglio sciacquare ancora una volta il volto, per lavare via il sudore.
S'incamminò verso il bagno, le lampade in corridoio si erano già consumate, o in qualche modo spente. Andava a tentoni cercando di ricordare come quel suo appartamento, che definiva casa, potesse essere fatto.

Arrivato sull'uscio del bagno ne aprì la porta, si mise piano di fronte al lavandino e aprì l'acqua. Lavò le mani, poi il viso, cercò di asciugarsi come meglio poté e poi, udendo un suono, uno scricchiolio quasi impercettibile, alzò lo sguardo rivolgendolo allo specchio.

Rimase immobile, gelido. Il silenzio era assordante, il respiro si fece più veloce. V'era qualcuno alle sue spalle, nella penombra, col volto oscurato e smorto, che pareva sorridere.
Smith rifletté sul prendere la revolver, ma non c'era possibilità, s'accorse poco dopo che non l'aveva più. L'avrà tolta nel sonno.
Stettero immobili, osservandosi, Smith dallo specchio e l'uomo alle sue spalle.
Poi la voce.

"So che mi cercate, agente Smith."
"Tu... gran bastardo. Sei tu."
"Diciamo in carne e ossa, sì. So che le mie opere v'hanno ammaliato."
"Come mi avete trovato?" La voce di Smith sembrava sul punto di spezzarsi, aveva un groppo in gola che impediva all'agente di deglutire.
Era lì, l'assassino più ricercato di Londra, il Demonio di Whitechapel. Era lì, alle sue spalle.
"La prego, Smith. Lei lo sa, come l'ho trovata.  In vero... so ogni cosa di voi e delle vostre futili indagini."
Quella voce pareva non essere umana, gutturale pensò Albert, profonda. Ma aveva qualcosa di familiare, pareva averla già udita.
"Le lettere... le avete mandate voi, vero?"
"Lasci perdere le lettere, Smith. Lei non è in grado di fermarmi, di tenermi a bada. Così come Scotland Yard, o i poliziotti. Non arriverete mai a fermarmi, non riuscirete mai a prendermi, perché io sono sempre avanti a voi."
"Bastard-" Smith provò a girarsi verso l'uomo, per colpirlo con le nocche, sferrandogli un pugno, ma ancor prima d'arrivare a vederlo, l'assassino con forza prese Albert per i capelli, spingendovi la testa contro lo specchio, frantumandolo.
Era a terra, Smith stava perdendo conoscenza, a fargli compagnia un misto di sangue e cocci di vetro.
Gli occhi erano ridotti a due fessure, l'ultima immagine che si palesò a lui fu un'ombra che si allontanava dal bagno, mescolandosi all'oscurità. Nel buio della notte, le ultime parole del demonio furono sussurri, ma che Smith riuscì ad udire.
"Non v'ammazzerò oggi, ritenetevi fortunato. Voi, Smith, mi servite vivo." 
Dopodiché, il nulla.

L'eleganza dell'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora