Capitolo 11

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POV Angela

Passò una settimana da quella sera e io non avevo più visto Sarah, parzialmente perché la evitavo e cercavo di non andare nei posti dove poteva trovarsi, e in parte perché saltavo spesso la scuola. Sicuramente stavo esagerando, lo riconoscevo, ma sapevo di aver bisogno di tempo, senza vederla, per riuscire a smettere di provare certi sentimenti verso di lei. Sarah però mi intasava di messaggi e chiamate durante la giornata, scusandosi e preoccupandosi della mia assenza, così dovetti spegnere anche il telefono.

Ero sul letto con la chitarra, aspettando che Valentina tornasse da scuola, ma notavo che stava tardando più del solito. Passò un'altra mezz'ora prima che la porta si aprisse, rivelando una Valentina furiosa. "Angela, qual è il tuo problema?" esclamò, buttando a terra lo zaino e mettendosi ai piedi del letto per guardarmi. "Non ho nessun problema," risposi annoiata dal suo tono aggressivo, concentrandomi sulla mia chitarra. "Allora spiegami perché oggi ho trovato Sarah che piangeva disperata nei bagni, dicendo che tu la stai evitando," spiegò la ragazza tatuata, e sentii il cuore stringersi al sentire quelle parole. Non volevo farle del male, tantomeno farla piangere. "Che ti prende? Quella ragazza non farebbe male neanche a una formica," aggiunse Valentina, aspettandosi spiegazioni da parte mia. "Niente, ho solo la mente occupata," risposi, non volendo parlarne. "Angela, ti conosco," replicò con tono serio, fissandomi. "Puoi anche non spiegarmi nulla, ma per favore chiarisci con quella povera ragazza, perché è una settimana che è distrutta, e apparentemente il motivo sei tu," concluse Valentina arrabbiata, sedendosi sul suo letto.

Sbuffai, iniziando a pensare a cosa fare. Ero arrivata alla conclusione che forse avevo esagerato, per il semplice fatto che io e lei non eravamo niente. Non avevo motivo di essere gelosa o di non rivolgerle più la parola; alla fine, non avevamo mai parlato di quello che stava succedendo, e forse avevo malinteso qualche suo atteggiamento. Ma sicuramente Sarah non meritava di essere ignorata come se non esistesse. Decisi così di prendere le chiavi ed uscire per cercarla. Grazie a Valentina, sapevo che Sarah si era iscritta al club di tennis, quindi mi avviai verso i campi coperti che si trovavano dietro la scuola.

Notai subito che non c'era nessuno, ma avvicinandomi sentii dei grugniti affannati, segno che Sarah si trovava lì da sola. Entrai con calma e la vidi colpire le palline con la racchetta, nel suo completino sportivo. Il campo era pieno di palline sparse ovunque, facendomi pensare che fosse lì già da un po'. Tirò un'ultima pallina che però non andò come voleva, e la vidi sbattere la racchetta a terra per la rabbia, per poi girarsi e andare a prendere nuove palline. Continuavo a rimanere fuori dal suo campo visivo. "Disturbo?" domandai, e vidi che la mia voce la spaventò, ma una volta che i suoi occhi incontrarono i miei, lasciò cadere la racchetta al suolo e corse verso di me, stringendomi forte in un abbraccio, quasi togliendomi il respiro. "Mi dispiace, scusami," la sentii sussurrare agitata all'orecchio, ripetendo quelle parole. Presto notai come il suo corpo tremava e l'incavo del mio collo si bagnava: stava piangendo. Non risposi, ma la strinsi a me, accarezzando la sua schiena per calmarla. Averla tra le braccia in quelle condizioni mi fece sentire la più stronza del mondo, e allo stesso tempo mi fece dimenticare ogni proposito che mi ero imposta quella settimana per starle lontana.

"Io non volevo farti allontanare," disse balbettando tra i singhiozzi e le lacrime. "Guardami," dissi, alzandole il mento per farla smettere di nascondersi. "Non hai niente di cui scusarti," aggiunsi, asciugandole le guance dalle lacrime. "Sono stata una stupida, non avrei mai dovuto comportarmi così quella sera, ti giuro che non provavo nessun interesse, Angela," continuò spaventata che non la ascoltassi di nuovo. "No, sono stata io immatura a evitarti e a non rispondere ai tuoi messaggi," risposi, cercando di farla sentire meglio e di toglierle quel senso di colpa. "Non ho nessuna intenzione di litigare con te; penso di aver già fatto abbastanza danni questa settimana," aggiunsi, passando di nuovo la mano sulle sue guance per asciugare le lacrime. Notai i suoi occhi lucidi scrutare il mio volto, per poi spostarsi sui miei occhi e le mie labbra. La vicinanza era troppa e mi sentii indietreggiare leggermente, ma per non darle segnali sbagliati, afferrai velocemente le sue mani, stringendole tra le mie. "Per favore, non piangere più, non voglio mai più vederti piangere per me," dissi sinceramente, e vidi il suo capo scuotersi. "Non è colpa tua," sussurrò, chiaramente ancora in colpa. "Neanche la tua però," risposi, accarezzando dolcemente il dorso della sua mano con il pollice. "Perché non vieni con me? So cosa può farti sentire meglio," dissi, pensando a un posto dove portarla per alleggerire la tensione. "Va bene," rispose subito, e cominciò a raccogliere le sue cose. Mano nella mano, uscimmo insieme dalla porta.

Si baciano tutti tranne noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora