Cap. 3 Ella-Guai in vista

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Innanzitutto, se siete qui a leggere questo capitolo vi ringrazio. Ricordo a tutti che il testo non è editato, perciò chiedo scusa per eventuali refusi. Se quello che leggete vi emoziona lasciatemi un commento o una  stellina, il vostro sostegno è importantissimo per me! Vostra Anita. V


Il trillo della sveglia riecheggia tra le pareti spoglie. Allungo una mano nel tentativo di spegnerla, per la terza volta. Le mie compagne di stanza, grazie a Dio, non si sono prese la briga di tornare a dormire nei loro letti.

Io dal canto mio darei qualsiasi cosa per non dovermi alzare e, da vigliacca quale sono, medito di darmi malata. Un terribile mal di testa giustificherebbe la mia assenza.

Se sfoderassi la carta dell'influenza, forse, potrei anche prolungare di qualche giorno, ma giocarmi subito il jolly della malattia non è certo una mossa intelligente. Sono passati solo tre giorni.

Tre lentissimi, esasperanti, interminabili giorni.

La voce della mia coscienza si presenta puntuale come le tasse, ricordandomi che se non mi alzo immediatamente farò tardi. Ficco la testa sotto il cuscino nel tentativo di farla tacere, qualche volta mi detesto sul serio, ma ormai sono sveglia. Tanto vale alzarsi.

Trascino svogliatamente le gambe giù dal letto, rimanendo a penzoloni con i talloni uniti. Dondolo i piedi mantenendo ancora gli occhi chiusi e quando mi decido a riaprirli, il mio sguardo cade sul cellulare appoggiato sul comodino. É spento. Strano, non lo spengo mai.

La mia mente, offuscata dal sonno, necessita di alcuni minuti per risolvere l'enigma.

Ho deciso di spegnerlo ieri sera dopo aver mandato un messaggio a Adam. Non ero dell'umore per scendere a cena, non mi andava di dover schivare lo sguardo compiaciuto delle mie adorabili coinquiline dopo la prima di quelle che, sono certa, diventeranno una lunga lista di rappresaglie. Perciò l'ho avvisato di non aspettarmi e, donde evitare una marea di spiegazioni, ho spento il telefono.

Maledizione!

Mi sono dimenticata di telefonare a Dylan. Ho promesso di chiamarlo ogni sera. Il mio apprensivo fratello maggiore è stato molto chiaro, dato che mi trovo ad ore di distanza da casa ci dovremo sentire ogni giorno. Senza eccezioni.

Porto le mani al volto nel tentativo di trovare una scusa plausibile, perfettamente consapevole dell'inutile sforzo. Valuto persino l'ipotesi di non riaccendere il cellulare, ma questo ritarderebbe soltanto la mia esecuzione.

Con un nodo alla gola premo il tasto di accensione e all'istante arrivano un fiume di messaggi, ventidue chiamate perse. Sono morta.

Pochi secondi più tardi il telefono comincia a squillare, è il suo numero.

Faccio un respiro profondo prima di rispondere.

«Ciao Dy».

Una valanga di rimproveri riempie la cornetta. Rimango in silenzio ad assorbire le sue parole di biasimo, me le sono meritate, perciò sto zitta, fino a quando non sembra aver concluso.

«Mi dispiace...» non riesco a finire la frase.

Il mio goffo tentativo di scusarmi, l'ha fatto arrabbiare ancora di più.

«Hai idea di che cosa mi hai fatto passare questa notte?» grida ancora furibondo. «Ti ho chiamato non so nemmeno io quante volte, ho cercato di contattare Adam che non rispondeva, ho persino pensato di rivolgermi agli ospedali!» continua amplificando il volume della voce.

«Scusa» è l'unica cosa che riesco a dire.

«Tutto qui? È questa la tua spiegazione?» domanda caustico.

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