Joshua cap. 13 - Innesco

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Lo chalet ha un aspetto semplice, quasi dimesso. Somiglia ad uno di quei rifugi di montagna che si trovano lungo i tragitti di camminata, per permettere ai podisti di rifocillarsi.

Siedo su un tavolaccio di legno e mi concentro sul rumore del bollitore che Bernard ha messo sul fuoco. Non so perché, ma ha ancora la convinzione che la maggior parte dei problemi possa essere risolta con una tazza di tè, anche in piena estate. Per i miei non ne basterebbe una tanica intera. In ogni caso non lo contraddico e appena mi serve una tazza di liquido bruno, ne ingollo una sorsata che mi ustiona la bocca.

Bernard si accomoda davanti a me con l'atteggiamento tipico di quando sta per rifilarmi una paternale, lo riconosco ancora, nonostante siano passati tanti anni da quando vivevamo insieme.

La notte in cui ho perso Luce, ho perso anche Bernard, mio padre mi ha sradicato da quella parvenza di famiglia che avevamo costruito, per impormi l'addestramento da Custode. Per anni non ho potuto né vederlo né sentirlo, il mio unico affetto strappato senza spiegazioni né pietà per un ragazzino di tredici anni completamente solo al mondo. Fino a quando non ho avuto i mezzi per ritrovarlo, cosa che all'inizio non ha preso per niente bene. Sorrido tra me e me al ricordo di quando mi sono presentato alla sua porta senza preavviso, un paio di anni fa. Mi ha squadrato da capo a piedi, si è guardato intorno per accertarsi che nessuno mi avesse seguito, dopodiché mi ha trascinato in casa e mi ha assestato una cinquina da manuale. Non che fosse una sorpresa comunque. Era letteralmente fuori di sé dalla preoccupazione, consapevole del fatto che per essere lì avevo appena violato tutte le regole esistenti, mettendomi seriamente in pericolo. Il cazziatone conseguente è stato altrettanto notevole e per tutto il tempo mi ha incenerito con lo stesso piglio che ha in questo momento, il che mi induce a stringere le dita sull'impugnatura della tazza.

«Joshua che cosa sai del P.S.I.?».

Non mi aspettavo questa domanda e sono stupito della piega che sta prendendo la conversazione. P.S.I Institute è la denominazione ufficiale di quella che noi chiamiamo comunemente la Sede.

«Quello che sanno tutti i Custodi di grado superiore, che è un'organizzazione che si occupa di studiare fenomeni parapsicologici in modo ufficioso per conto del Governo degli Stati Uniti. Nasce come ampliamento del Progetto Stargate formalmente terminato alla fine degli anni Novanta, ma in realtà proseguito in via sperimentale e non ufficiale su un piccolo gruppo di soggetti scelti».

Non riesco a frenarmi dal proseguire. «Nella pratica una prigione sia per i reietti raccattati nelle situazioni più disgraziate della Terra e addestrati come Custodi, che per i Gifted rintracciati per il mondo, prima raggirati con false promesse e poi asserviti al Sistema con ogni mezzo, lecito e illecito».

«Josh!». Mi riprende severo. Il mio tono è più che strafottente e ne sono consapevole.

«Cos'è, non posso più essere sincero neanche con te Bern?».

Mi fulmina con un'occhiataccia che mi rimette al mio posto. Nutro un profondo rispetto per quest'uomo; perciò, ingoio la bile e non vado oltre.

«Non fare l'idiota ragazzo, sai perfettamente che non è questo il punto. Questo chalet dovrebbe essere un rifugio sicuro, ma sai che c'è sempre una quota di rischio quando ci incontriamo. Una dichiarazione come quella che hai appena fatto potrebbe essere sufficiente a farti guadagnare una condanna esemplare; perciò, sforzati di usare il cervello e cerca di tenere a freno quella maledetta boccaccia almeno per una volta!».

É decisamente incazzato, ci ho messo quindici minuti da quando sono entrato in questa casa, credo di aver siglato un nuovo record. La mia indole ribelle è sempre stata motivo di scontro tra di noi, anche se credo che segretamente ne sia orgoglioso. Semplicemente sono sempre stato una fonte di costante preoccupazione, dato che mi sono trovato molto spesso in collisione con le regole severe a cui tutti devono sottostare alla Sede.

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