Cap 12 Ella Fratelli

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Il picchiettio regolare di una goccia che cade dal rubinetto del bagno mi sta facendo impazzire. Sono in piedi accanto al letto di Joshua, da un minuto buono, e aspetto che si scateni l'inferno, sembro un prigioniero in attesa dell'esecuzione.

«Per favore, dì qualcosa».

Prego Dylan di rompere questo silenzio massacrante e non riesco a fermare le lacrime che salgono agli occhi. Sembra che non sappia fare altro da quando mi sono svegliata in questa stanza.

Quando ho ripreso conoscenza, mi sono ritrovata tra le braccia di Josh, senza sapere come, non ho fatto domande e lui non ne ha fatte a me. Sono esplosa quasi subito in un pianto disperato e lui ha continuato semplicemente ad abbracciarmi e a ripetermi che sarebbe andato tutto bene. È riuscito ad avvertirmi che i miei fratelli sarebbero arrivati a momenti, solo pochi istanti prima che Dylan spalancasse la porta.

Finalmente si avvicina, allarga le braccia e io mi ci tuffo dentro.

Scoppio a piangere di nuovo e vado avanti per un bel po', lui si limita ad accarezzarmi la schiena.

«Shsss. Va tutto bene, ci sono qua io adesso».

«Non sei arrabbiato?». Singhiozzo e tiro su con il naso.

«Più di quanto immagini, ma adesso non ha importanza». Mi stringe più forte.

«Significa che non mi sgriderai?». Mi accoccolo tra le sue braccia seppellendomi nel suo abbraccio.

«Non contarci neanche per un secondo. Sei nei guai fino al collo sorella. Prima però calmati, okay?». Continua ad accarezzarmi la schiena e i capelli. «Nel frattempo preparati a raccontarmi che cosa è successo e sarà meglio per te che sia una storia convincente».

Rido e piango allo stesso tempo, Dylan mi scosta un po' e asciuga le lacrime che scorrono sulle mie guance.

«Avanti, siediti». Mi accomodo sul bordo del letto e lui prende due sedie che piazza proprio davanti a me, non si siede. Va verso la porta e la apre facendo entrare un Isaiah dalla faccia più che incazzata.

Faccio per andargli incontro, lui però mi blocca con un gesto della mano. Non credo di averlo mai visto così arrabbiato.

«Siediti».

Obbedisco senza fiatare, onestamente sono impietrita, ero pronta alla rabbia di Dylan, non a quella di Is.

«Dov'è Spens, non sarà rimasto con loro?».

«Certo che no. Sta trascorrendo un paio di giorni da Matt». Rilascio il respiro che avevo trattenuto.

«Quindi? Si può sapere che cazzo ci facevi in un bosco alle due di notte?».

È Is a parlare, non ha mai usato un tono così duro con me, mai. Di solito mi consola quando è Dylan a rimproverarmi.

Adesso hanno entrambi le braccia conserte e aspettano la mia risposta.

Faccio un lungo sospiro prima di iniziare. «Io non ho ragionato, ero...» esito, non trovo le parole, «non ero lucida, Adam, lui...». Niente, non riesco a formulare una frase di senso compiuto. Ricomincio a piangere, fa troppo male.

«Lui mi ha mentito, sempre».

«Spiegati meglio» questa volta è Dylan a parlare.

«Dovevo restituirgli dei libri». Deglutisco e prendo fiato. «Non l'ho trovato in camera e ho pensato di raggiungerlo alla rimessa, vicino al lago».

Mi fulminano entrambi.

«Quando sono arrivata là, stava litigando con una ragazza, parlavano di me e lui ha detto delle cose orribili». Mi sforzo di ripeterle, ma non ci riesco. Una coltellata mi squarcia il petto. «Sono scappata, lui mi ha rincorsa e volevo, volevo solo allontanarmi».

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