Joshua Cap 9 - Scelte

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Cap 9 Joshua

Raggiungo il campo di atletica alle due in punto e quando la scorgo, sopra le gradinate, rimango senza fiato.

La mia piccola, eterna ritardataria, è già lì, in anticipo sull'orario concordato, però non è questo a tramortirmi. Una cascata di onde biondo dorato le ricopre la schiena, è voltata di spalle e ancora non può vedermi.

Niente treccia austera per me oggi.

Bentornata Lucciola.

Rubo ancora un momento prima di palesarmi, perché se mi vedesse adesso, leggerebbe tutta l'emozione che provo nel rivederla così, tanto simile al ricordo che ho di lei.

Studio la linea esile delle spalle e scendo lungo la schiena, poi ancora più giù.

Il vestitino leggero che indossa fascia i fianchi e ricade sulle curve del sedere lasciandomi immaginare quello che sta sotto.

Non dovrei guardarla in questo modo, non mi è permesso, eppure non riesco a fermarmi.

Scendo ancora e osservo le gambe sottili ...okay basta.

Mi aggrappo a quel che resta della mia disciplina e do un piccolo colpo di tosse perché possa sentirmi.

Lei si volta.

Cazzo.

Come fa ad essere ancora più bella se l'ho vista solo ieri?

Sorride appena, mi vede e un lieve rossore le imporpora le guance. Forse sono solo il caldo e il sole, ma voglio illudermi di essere io a farle questo effetto.

Mi avvicino e non le do il tempo di parlare, le afferro una mano cogliendola di sorpresa.

«Vieni». Non si oppone, mi segue.

La conduco sotto gli spalti. Devo accucciarmi e sono quasi tentato di cambiare idea, perché con il mio metro e ottantasette, rischio di fracassarmi la testa qua sotto, ma voglio un po' di privacy.

Lei non dovrebbe seguirmi, naturalmente. Dopo gli sviluppi della mia piccola bravata, per rimettere a posto quelle due stronzette, se ci beccassero qua sotto potrebbe passare dei guai. Eppure, non lascia la mia mano.

Assaporo ancora per un attimo la sensazione di quel contatto imprevisto, poi estraggo il telo che ho infilato nello zaino e lo stendo a terra.

Ci accomodiamo l'uno di fianco all'altra, io armeggio per recuperare il libro e glielo porgo.

«Ti va?».

Non esita, comincia a leggere e la sua voce limpida lenisce le mie ferite come un balsamo.

Cura il me bambino costretto a chiedere le elemosina come un mendicante.

Cura le privazioni e la fatica dell'addestramento.

Cura la mia solitudine.

Però apre una ferita tutta nuova, perché la desidero ogni secondo di più.

Raggiunge la fine del capitolo e si ferma.

Riapro gli occhi e la cerco.

«Forse potremmo cominciare a prendere qualche appunto per stendere la relazione, che ne dici?».

Afferra un piccolo blocco e una matita dalla sua sacca di tessuto colorato e si sposta in modo da ritrovarsi di fonte a me.

«Ci sono dei passaggi che ti hanno colpito particolarmente?».

Tendo la lingua all'interno della guancia per dissimulare una risatina. É così tenera con quell'aria professionale.

«Non hai ascoltato una parola vero?».

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