10. WHERE HAVE YOU BEEN?

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Ethan

Due anni prima,
2022.

«Ethan, tesoro.» Mia madre ripose le sue chiavi della nostra auto sul bancone della cucina.

«Ciao, mamma.» Le sorrisi, come sempre. M'infilai poi una mela rossa in bocca. «Com'è andata a lavoro?»

Appena varcò il bancone che ci divideva, mi voltai istintivamente verso il mobilio. Non volevo guardare mia madre. Era evidente, sembravo un idiota quando nascondevo qualcosa.

Non che ce l'avessi con lei però, date le condizioni della mia faccia, ero certo che avrebbe fatto un'altra delle sue scenate.

Le cose a scuola non andavano un granché, come sempre, e il fatto che mia madre avesse dimenticato di comunicare il suo nuovo numero di cellulare alla presidenza, giocava a mio favore.

Afferrai un bicchiere e lo riempii sotto il getto del rubinetto. «Non vuoi parlarne?» Incalzai quando mi resi conto che era rimasta troppo a lungo in silenzio.

«Scusami, amore.» Sentii le sue unghie picchiettare sullo schermo del cellulare. Non aveva molto tempo per me, ma lo capivo. Lei e mio padre si erano separati quando ero ancora in fasce e, guadagnarsi da vivere mentre si badava a un figlio problematico in piena adolescenza, non doveva essere semplice.

«Hai pranzato a scuola?» Avvicinò la mano. Mi accarezzò i capelli, scompigliandomeli. «Sei stato bravo? Hai preso le tue medicine?»

Il bravo, non saprei. Le mie medicine... Storia troppo lunga, mamma.

Essere il capitano della squadra di football non era proprio così fantastico come tutti lo descrivevano. C'erano così tante cose che non sapevo gestire, soprattutto non amavo quando le persone mi mettevano pressione.

I miei medici si erano chiaramente espressi contrari alla mia passione. Il football risultava incompatibile con la mia cartella clinica.

Ero così arrabbiato che a volte sognavo di frugare nell'archivio dell'ospedale e rubarla. Aprirla, leggere tutto quello che era accaduto nella mia vita e poi darle fuoco.

Ethan Horton, un qualsiasi spilungone di un metro e novanta, sarcastico e apparentemente sano. Sano finché non si guardavano gli svariati casi di rabbia incontrollata, umore altalenante e crisi di pianto infantili così forti da portarmi persino a svenire.

Non c'era una vera causa alla base dei miei problemi. Nessun trauma particolare che io ricordassi. Ero semplicemente così e basta.

Mi piaceva pensare solo che fossi nato con un pezzo in meno. Un pezzo che forse con il tempo sarei riuscito a trovare per aggiustarmi.

«Sì, mamma.» Mi risistemai i capelli. «Ho diciotto anni ormai, posso badare da solo a me stesso.»

Dio, Ethan. Sii più credibile.

«A proposito di medicine, ho bisogno di nuovo del contenitore delle tue pillole. Quello arancione che ti da il medico con i tuoi dati stampati sopra.»

Un momento di gelo mi fece andare il cervello in tilt. «Perché ti serve?»

«Il dottore vuole rivedere la tua terapia. Le ultime analisi sono andate bene, sembra che questa volta non ci siano problemi. Basterà solo diminuire il dosaggio, solo per essere sicuri.»

Questo sarebbe stato un bel problema. Quel contenitore era chissà dove tra le mani di qualche spacciatore della scuola.

Non ero una persona cattiva, cazzo. Solo che, a volte non ragionavo. Piuttosto che chiedere i soldi a mia madre, preferivo guadagnarmeli da solo. Conoscevo qualche spacciatore della zona di Brooklyn, alcuni di loro mi avevano venduto cose pesanti che i miei medici non avrebbero approvato nelle mia cartella clinica.

AFTER HIMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora