11. REFLECTIONS OF A BROKEN HEART

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Blake

«Le ho detto che faccio da sola.» Scansai l'uomo che cercava di tirare fuori le valigie dal bagagliaio del taxi.

Afferrai la mia valigia e la poggiai a terra. Non avevo tante cose con me, l'essenziale per non andare in giro nuda.

«Perfetto.» Sussurrai guardando l'edificio. «Un'altra merda di posto da cui mi cacceranno.»

Lanciai un'occhiataccia all'uomo che risalì subito in auto. Non mi piaceva quando mi guardavano in quel modo. Mi facevano schifo.

Forse ero anche una persona troppo paranoica. Silenziosa e che non si aspettava mai niente dalla vita. La compagnia delle persone era una cosa che detestavo e preferivo quasi sempre cavarmela con le mie mani.

Rifiutavo l'aiuto e proprio per quel motivo mi ero nascosta nella casa dei miei genitori nel Queens per giorni. Non avevo ancora compiuto diciotto anni e per gli assistenti sociali sarei dovuta finire in una casa famiglia dopo la morte di mia madre.

Odiavo quella stronza. Non faceva altro che pensare al suo lavoro. Aveva uno stramaledettissimo negozio di tatuaggi nel Bronx e solo perché aveva marchiato sua figlia all'età di cinque anni, meritava di morire.

Era mia madre, però. Non ero riuscita a staccarmi da lei per molto perché era l'ultima cosa ad essermi rimasta.

La mia vita era sempre stata un completo disastro, per non parlare dei miei fratelli piccoli trasportati chissà in quale casa famiglia. Li consideravo ancora fratelli, in un certo senso.

Mia madre si divertiva a scoparsi qualche cliente dopo un bel tatuaggio e dalle sue mille avventure eravamo nati io, Thomas, Cade e Axel.

Mi aveva chiamata Blake, un nome insolito per una ragazza. Insolito almeno finché non scoprii che in realtà mia madre era convinta del fatto che fossi un maschio.

Era troppo difficile per lei decidere di cambiare nome, così Blake diventò la ragione per la quale venni bullizzata per metà della mia adolescenza.

«Benvenuta.» Qualcuno mi fece sussultare per lo spavento.

Mi misi subito sulla difensiva, stringendo le mani in due enormi pugni.

L'uomo davanti a me, sulla trentina, sollevò le sue in segno di difesa. «Vedo che hai un bel caratterino.»

«Chi sei?» La vita nel Queens mi aveva insegnato a non essere mai troppo tranquilla. Dovevo sempre tenere le orecchie aperte in qualsiasi caso.

Poteva accadere qualsiasi cosa da un momento all'altro.

«Mi chiamo Joe, sono uno degli assistenti di Michael. Avrebbe dovuto accoglierti lui oggi, ma c'è stato un piccolo incidente con dei ragazzi...»

Tenni ancora i pugni ben stretti. «Perché sono qui?»

Joe inclinò la testa. «Sei alla Riverside. È una clinica per ragazzi con problemi che cerca di inserirli di nuovo nella società.»

E chi ha detto che io voglia far parte della società?

«Voglio tornare a casa.»

Scosse la testa, forzando un sorriso amareggiato. «La centrale di polizia ha pensato che, data la tua età, potevi rimanere qui e terminare gli studi con noi, piuttosto che finire in una casa famiglia.»

Mi stava dicendo cose che già sapevo. Non ero così stupida, anche se probabilmente la polizia aveva pensato che avessi qualche problema, visto il fatto che non gli avevo rivolto parola.

AFTER HIMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora