12. WALKING IN THE WIND

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Piper

Il sole stava calando, tingendo il cielo di una sfumatura arancione che faceva apparire tutto surreale, quasi irreale.

Eppure, io ero lì, completamente sveglia, mentre il mondo sembrava chiudere gli occhi.

Mi chiedevo come facesse tutto a scorrere così, indifferente.

La verità è che dentro di me c'era solo tempesta.

Mi alzai dalla panchina su cui ero seduta, spingendo con forza le mani sulle cosce per contrastare il senso di vuoto che mi risucchiava.

Il prato della Riverside Clinic si estendeva davanti a me, verde, perfetto, come se appartenesse a un mondo diverso dal mio. Perché io di perfezione non ne avevo mai conosciuta.

Non era mai stata parte della mia vita.

Ho imparato presto che non devi aspettarti nulla dagli altri.

Ogni volta che abbassi la guardia, che ti lasci andare, qualcuno trova il modo di ferirti.

Mi sistemai gli occhiali da sole sul naso, cercando di nascondere il mio sguardo dalla realtà. Tutto sembrava calmo e tranquillo qui, ma non mi fidavo.

Non mi ero mai fidata di nulla che sembrasse troppo tranquillo.

Ricordo quando ero piccola e credevo ancora che esistesse qualcuno là fuori capace di salvarmi. Una parte di me forse lo crede ancora, ma non sono così stupida da farmi illusioni. Mia madre diceva sempre che sognare era una debolezza, che sognare ti faceva finire per strada, sola. Forse aveva ragione, o forse mi aveva semplicemente rubato l'unica cosa che mi rendeva umana.

La porta della clinica cigolò alle mie spalle.

Mi girai di scatto, come se stessi aspettando un attacco da un momento all'altro. Invece era solo lui, Tate, con il suo solito sguardo impenetrabile.

Non era la persona che mi aspettavo di vedere in quel momento, ma di certo non mi faceva più paura. L'ho capito subito, nonostante tutta la sua spavalderia: anche lui è rotto. Solo che a differenza mia, lui cerca di nasconderlo meglio.

Finge che tutto vada bene, che sia invincibile. Ma io so come funziona. La gente non si salva da sola, o forse non si salva proprio.

«Pensavo fossi fuggita», disse con la sua voce roca. Le mani infilate nelle tasche e un'espressione quasi divertita dipinta sul volto.

Non risposi subito. Feci un respiro profondo, guardando il cielo sopra di noi. «Non mi interessa fuggire. Non da qui, almeno.»

Tate si avvicinò, e io rimasi ferma. «Che c'è, ti sei già ambientata in questo paradiso?»

«Paradiso?» Sorrisi amara. «Non esistono paradisi per gente come noi.»

Tate rimase in silenzio per un attimo, forse sorpreso dalla mia risposta. Mi guardava come se volesse dire qualcosa di importante, qualcosa che potesse cambiare le cose. Ma non lo fece. Lui non era quel tipo di persona.

«Hai una strana idea della vita, Piper.»

«La vita è strana, Tate.» Mi passai una mano tra i capelli. «Non faccio altro che adattarmi.»

Un silenzio carico di tensione si insinuò tra di noi. L'aria sembrava più densa, pesante. Non sapevo cosa stesse pensando, ma il suo sguardo mi faceva sentire esposta. Detesto quando le persone cercano di capirmi. Non c'è nulla da capire. Sono un disastro, un casino ambulante, e va bene così.

«Vuoi sapere una cosa?» dissi infine, interrompendo quel silenzio snervante. «Tu credi di essere l'unico a non avere più nulla da perdere. Ma non sei solo tu, cowboy.»

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