Friends

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Katsuki rimase immobile per un istante, le parole del poliziotto che lo colpirono come un fulmine a ciel sereno. Le sue palpebre sbatterono un paio di volte, incredulo. «Kacchan?» ripeté, la voce per una volta incerta, un'ombra di confusione nel tono e, forse, per la prima volta davvero consapevole dell'effetto che stava avendo su Izuku. Aveva giocato con lui, divertito dalla sua ingenuità, ma ora, guardandolo più da vicino, qualcosa dentro di lui esitò. Gli occhi verdi del poliziotto erano lucidi, pieni di una tensione che oscillava pericolosamente tra il desiderio e il disgusto verso sé stesso. Un conflitto così intenso da essere quasi palpabile.

Izuku si rese conto immediatamente di ciò che aveva detto, il soprannome familiare che era scivolato fuori con tanta naturalezza. Gli occhi si allargarono e il viso diventò paonazzo. «Io... non volevo...», balbettò, abbassando lo sguardo, il cuore che gli batteva all'impazzata.

Ma quel momento di esitazione durò solo pochi secondi, perché poi Bakugō ritornò il solito stronzo, pronto a colpire dove faceva più male. «Un soprannome, eh? Allora siamo così in confidenza, sbirro?»

Izuku restò in silenzio, stringendo le mani a pugno per cercare di controllare le emozioni che lo stavano sopraffacendo. Il cuore gli batteva forte, ma non riusciva a trovare le parole per rispondere.

Katsuki, però, non si fermò. «Non lo sapevo che eravamo arrivati a questo punto... Kacchan. Pensi che darmi un nomignolo sia una buona idea? Quelli si usano solo se si ha molta più confidenza, Deku

Quella parola – Deku – colpì Izuku al pari di una pugnalata, perché, sentita in quel momento, suonava diversa, quasi più personale, più intima, anche se pronunciata con il solito tono caustico, anche se il significato vero era solo una presa in giro, un ricordargli quanto fosse insignificante agli occhi di quell'uomo strafottente che credeva di avere tutta la città ai propri piedi.

Izuku non rispose, non sapeva cosa dire. Si limitò a chiudere gli occhi, cercando di trattenere quelle lacrime che minacciavano di scendere, mentre Bakugō lo osservava con un sorriso malizioso che, tuttavia, nascondeva un filo di incertezza.

Katsuki osservò il poliziotto in silenzio per qualche istante, notando il tremore nelle sue mani, il modo in cui cercava disperatamente di trattenere le lacrime. La sua solita sicurezza sembrava vacillare, e anche se il sorriso malizioso restava sulle sue labbra, c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi.

«Tch...» sbuffò, distogliendo lo sguardo. «Non fare quella faccia, Izuku...»

Il detective non rispose ancora, rimanendo in silenzio. Non riusciva a guardarlo, ogni muscolo del suo corpo sembrava teso al massimo, come se bastasse un piccolo tocco per farlo spezzare.

Katsuki si schiarì la gola, il tono della voce un po' meno pungente di prima. «Ok... forse ho calcato un po' troppo la mano. Non pensavo che ti saresti ridotto così...»

Izuku alzò lo sguardo, sorpreso da quella mezza ammissione. E quelle parole erano forse la cosa più vicina a una scusa da parte sua di quanto lui potesse anche solo immaginare.

«Non dovevo prenderti così in giro...», aggiunse Katsuki, stavolta con un leggero rimorso nella voce. Sospirò, passando una mano sul viso, dove la barba, corta e incolta, gli prudeva.

Anche se aveva sempre amato avere il controllo, quella particolare reazione di Izuku – la sua vulnerabilità, il rossore che gli colorava le guance, e il tremolio nelle sue mani e gli occhi traboccanti di lacrime – lo stavano mettendo a disagio in un modo che non si aspettava.

«Te l'ho detto, no? A volte non so quando fermarmi...». Katsuki si passò poi una mano tra i capelli biondi disordinati, visibilmente a disagio, come se non sapesse davvero come continuare. «E poi... Non sono abituato a 'sta roba. È così che sono fatto...»

Prohibition | {Bakudeku}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora