Good enough

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La sera calò rapidamente, portando con sé una calma insolita nell'appartamento. Izuku aveva preparato la cena: stufato di carne e patate, con un contorno di qualche carota lessata. Era un pasto semplice, ma sostanzioso, una ricetta che sua madre gli aveva insegnato per aiutarlo a recuperare le forze. E lui l'aveva sfruttata per poter dare un po' di energie in più al criminale malato che si era portato in casa.

Katsuki non aveva più parlato e aveva dormito di sicuro un paio d'ore, troppo spossato per affrontare altri discorsi o pensare di punzecchiare ancora quel poliziotto che, ai suoi occhi, si era rivelato tanto interessante..

Lo osservava mentre mangiava, cercando di decifrare l'espressione di Izuku, ma il detective era silenzioso, concentrato su ogni boccone, come se volesse evitare qualsiasi contatto visivo. Per un po', il silenzio riempì la stanza, interrotto solo dal rumore delle posate sui piatti.

Alla fine, fu di nuovo Katsuki a rompere il silenzio. «Che sogni avevi da bambino?»

Izuku sollevò lo sguardo, sorpreso dalla domanda. «Che sogni avevo?», ripeté, cercando di guadagnare tempo per rispondere. Non si aspettava una domanda così personale, non da Bakugō. «Beh, per un periodo mi sarebbe piaciuto fare il pompiere. Avevo la caserma a pochi passi da casa, nel quartiere. Lì ammiravo molto e forse per quello speravo di diventare uno di loro.»

Katsuki annuì, continuando a mangiare. «Per un periodo?».

«Già...» e tornò a masticare con calma un boccone appena ingurgitato.

Parlava più a se stesso che a Katsuki, la voce lieve, intrisa di una certa nostalgia. «Quando ero bambino...» ricominciò con tono incerto, «Ho visto un medico venire a casa nostra. Mia madre doveva essersi fatta male alla mano, ma non ricordo bene. Lui è arrivato e l'ha medicata con una tale delicatezza... Con una gentilezza che non avevo mai visto prima. Mi ha colpito così tanto che ho deciso che da grande avrei fatto il medico. Avrei studiato, avrei aiutato gli altri come lui aveva fatto con lei.», e sorrise amaramente, il ricordo di quel sogno infantile bruciava come una ferita non ancora rimarginata.

«Ma lo sai no? A volte la vita decide per te...» Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sulla forchetta che stava girando a vuoto e che scostava talvolta una carota o un pezzo di carne.

«Quindi entrare in polizia sembrava la strada più sicura, giusto? Una paga garantita, rispetto... Ma non era quello che avevi immaginato.», intervenne Katsuki, pulendosi la bocca su una manica, osservandolo di lato. Per una volta, non c'era nessun sorriso sarcastico, nessuna battutina pronta, ma solo un'espressione quasi impassibile sul viso.

Izuku scrollò le spalle, come a voler allontanare quel peso. «Forse, se le cose fossero andate diversamente... Forse, avrei fatto qualcosa di davvero buono. Ma la vita è questa, e si sopravvive come si può.»

Le fiamme crepitavano dolcemente, l'unico suono che riempiva il silenzio che si era creato tra di loro. Izuku si sentiva improvvisamente stanco, come se quella piccola confessione avesse portato via un grosso peso dal suo cuore.

Katsuki rimase a fissarlo per un lungo momento, i suoi occhi erano duri e attenti sul minimo cambio di espressione sul viso del poliziotto, ma le parole che aveva in mente rimasero intrappolate, soffocate da un silenzio inusuale.

Izuku si prese un momento per riflettere. «Dopo quello che è successo a mio padre, ho capito che il mio desiderio di aiutare gli altri poteva essere reindirizzato, potevo proteggere chi non poteva difendersi. Il lavoro di poliziotto mi è sembrato il modo più giusto per farlo. Pensavo che, diventando un detective, avrei potuto fare giustizia per la mia famiglia e per tutte le persone che soffrono a causa dell'alcol e della criminalità.»

Katsuki lo guardò intensamente, cercando di capire meglio quel giovane che sembrava portare il peso del mondo sulle proprie spalle. «Ma è questo che vuoi davvero? Passare la vita a inseguire persone come me?»

Izuku sospirò, prendendo un pezzo di patata e masticandolo lentamente. «Non lo so.», ammise infine. «Ci sono delle volte mi chiedo se tutto questo valga la pena. Quando sono stanco e sembra che nulla vada come dovrebbe , no? Quelle volte lì mi chiedo davvero se ciò che faccio, se come mi comporto... faccia la differenza. Ma poi penso alle persone che ho aiutato, a quelle che ho salvato... e mi dico che forse, in qualche modo, sto facendo la cosa giusta.»

Katsuki rimase in silenzio per un attimo, riflettendo su quanto aveva appena ascoltato. Non era nel suo stile mostrarsi comprensivo, ma in quel momento riusciva a vedere una parte di Midoriya che non aveva immaginato. L'uomo che lo aveva curato con tanta premura, che aveva messo da parte il dovere per salvarlo, sembrava quasi vulnerabile adesso, perso tra sogni infranti e una realtà fin troppo dura.

Alla fine, senza guardarlo direttamente, Katsuki parlò con una voce più calma, meno graffiante del solito. «Sopravvivere è l'unica cosa che conta, alla fine. Che sia da medico, poliziotto o criminale... le scelte si fanno, e tu hai fatto la tua. E, alla fine, non è poi così male, sai?»

Izuku alzò appena lo sguardo, sorpreso da quelle parole, come se non si aspettasse mai una nota di comprensione da lui.

Katsuki fece spallucce, cercando di mantenere il tono leggero. «Sei entrato in polizia per perché ti sei posto un obiettivo e lo stai raggiungendo. In più puoi guadagnarti il pane e mantenere tua madre... Beh, è un lavoro come un altro. Il rispetto, poi, è sopravvalutato. Nessuno di quelli che comandano lo dà gratis, te lo devi prendere da solo.»

Un breve silenzio seguì, mentre Katsuki lasciava che le sue parole si sedimentassero nell'aria. «Senti, magari la tua vita non è andata come speravi... ma non sei finito male come pensi. E... insomma, sai cucinare, almeno.»

Izuku fece una smorfia a metà tra l'imbarazzato e l'ironico, ma non rispose.

Katsuki sollevò il piatto che aveva ancora in mano, vuoto a metà. «Lo stufato... Non era affatto male.» Si sporse un po' verso di lui, porgendoglielo con un cenno. «E per un po' mi hai... mi hai riportato a casa...»

Izuku prese il piatto dalle mani di Katsuki, lo sguardo serio ma addolcito da un leggero sorriso. Non disse nulla, ma il peso delle sue spalle sembrava ancora meno opprimente ora. Anche se erano parole semplici, aveva capito che Bakugō, a modo suo, stava cercando di confortarlo.

Prohibition | {Bakudeku}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora