Capitolo V - Qualcuno è in viaggio

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Jim ripose la chitarra, adagiandola come un'amante esausta sul letto scheletrico. La guardava, mentre si portava le dita provate e ferite alla bocca per succhiarsele; avevano il sapore di cose vissute.

Uscì dalla stanza senza dare le spalle alla sua chitarra.  Urtò con il piede il secchio, che sobbalzando gli sputò acqua fredda e maleodorante addosso. Come uno schiaffo dato a tradimento, la realtà tornò a scrollarlo.  Doveva tornare indietro, subito. Rischiava di essere sbattuto fuori dalla casa di riposo e lui non poteva separarsi proprio adesso dalla sua chitarra, non ora che aveva ritrovato una parte di se, non adesso che sentiva il suo passato pronto a riconciliarsi con il suo presente.

Raccattò secchio e scopettone e si affrettò a ripercorrere i lunghi corridoi a ritroso.

Dove poco prima aveva aleggiato la musica di Jim,  rimaneva solo la polvere sospesa nell'aria ed un frettoloso rumore di passi che si andava spegnendo.

Sembrava che tutto si stesse quietando, tornando al suo stato di silenzioso abbandono ma, in una delle stanze silenti, alla fine di quel corridoio sporco e dimentico, qualcuno posava a terra una vecchia valigia di cuoio e si sedeva su un letto mangiato dal tempo.

Jim ricomparve al suo posto. Si guardò intorno con sguardo colpevole, mentre raccattava una scusa da infilarsi in bocca, qualora fosse arrivato qualcuno a sbraitargli contro. Nessuno lo investì a passo di carica. In realtà sembrava che nessuno si fosse proprio accorto della sua assenza. I vecchi si erano radunati come pecore nella saletta della televisione e masticavano aria mentre si sorbivano la sciroppata voce di un venditore di cianfrusaglie. Jim si appoggiò contro la parete, le dita gli facevano un male cane. Le strinse in un pugno serrato che gli diede una scossa che gli galoppò fino al cervello, strinse i denti per la fitta ma allo stesso tempo provò un profondo piacere fisico. Quel dolore gli urlava che era finalmente tornato nel regno dei vivi.

Le dieci di sera. Il televisore nella saletta era stato spento. Le luci andavano morendo, lasciandosi dietro una scia scura. Tutti i corpi erano stati infilati nei letti. Qualcuno si lamentava in una delle stanze, biascicando parole stentoree e storpiate come un ubriaco molesto.

Jim aveva terminatoil suo turno, era l'ora di alzare i tacchi.

Aprì l'anta del suo armadietto. Dentro il grosso fallo da guardia era sempre sull'attenti. Si sfilò il camice e recuperò la sua roba.

All'ingresso trovò l'energumeno in divisa da infermiere, si occhieggiarono appena e un cenno del capo aprì e chiuse la loro conversazione. Jim uscì sotto un cielo buio e spento. Si alzò il bavero della giacca a vento e si avviò verso casa.


Quella notte venne giù un pandemonio dal cielo. Jim ascoltò in religioso silenzio il temporale che picchiò la casa fino alle prime luci del giorno. Rintanato sotto le coperte ripensava alla chitarra che lo aspettava nella camera solitaria.  Desiderò di averla lì con lui,  a tenergli compagnia in quella notte burrascosa. Trascorse così le ore buie Jim. Assopendosi. Destandosi.  Sognò suo padre seduto in cucina. Se ne stava muto, con la fronte corrucciata e lo sguardo preoccupato a pizzicare le corde della sua chitarra.

Jim pensò, prima di scivolare nuovamente dal dormiveglia al sonno profondo, che non sarebbe stato saggio tornare in quella camera. C'era qualcosa che lo stava aspettando insieme alla sua chitarra.


Disco Inferno (#WATTYS2015)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora