Il Gigante, il Fabbro e la Dea dell'Amore

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Il Ragnarok aveva cambiato molte cose nell'Ordine Cosmico e, purtroppo, i suoi effetti non si erano limitati al mondo norreno e ai territori sotto la protezione del nuovo Padre Universale di Asgard. Tutto il mondo e tutti i Pantheon avevano dovuto fronteggiare le conseguenze della grande battaglia finale dei territori norreni... e spesso tali conseguenze erano state a dir poco devastanti.

Gli Olimpi, dall'alto della loro immutabile immortalità (e godendo della a dir poco invidiabile fortuna di non avere sul groppone una profezia sulla fine del loro dominio), avevano ritenuto di essere al sicuro da ogni possibile conseguenza disastrosa. La Grecia, d'altronde, era tanto distante dalla Scandinavia così come lo era Asgard dall'Olimpo.

Il sangue dei giganti periti nel Ragnarok, tuttavia, non era così d'accordo.

Ovunque, nel mondo, giganti primordiali si erano risvegliati per effetto del sangue degli jotnar caduti e gli dèi di ogni angolo del mondo erano dovuti tornare alle armi per abbattere antichi nemici ritenuti ormai sconfitti eppure tornati a seminare il caos.

Ma nessun grande e primordiale nemico era riuscito a creare tanto disordine quanto quello risvegliatosi in terra greca: ricomposto il suo corpo in un grumo ciclopico di carne e ossa distorte dal trattamento sopportato secoli addietro, Porfirione, re dei giganti figli del livore di Gaia contro i nipoti Olimpi, era tornato in vita solo per riprendere a fare ciò che stava facendo poco prima di essere ucciso, ovvero assaltare la dimora degli dèi nel tentativo di sterminarli.

Gli dèi avevano, ovviamente, risposto all'assalto ma, pur con tutta la loro potenza, sapevano di non poter fronteggiare l'antica minaccia per un solo, semplicissimo motivo: per uccidere un gigante c'era bisogno dell'aiuto di un mortale che avesse sangue divino nelle vene, un eroe dei tempi antichi. Ma il tempo dei semidei era finito da molti secoli ormai e più nessuno poteva dare il colpo di grazia a Porfirione.

Certo, gli dèi potevano abbatterlo con tutte le loro armi più potenti e uccidere Porfirione prima che riuscisse a scalare l'Olimpo, ma il gigante ritornava in vita ogni volta e così avrebbe fatto, ancora e ancora, in mancanza di un mortale con sangue olimpio nelle vene che fosse lì pronto a dargli il vero colpo di grazia.

Porfirione, capito che gli Olimpi erano rimasti a corto di "marmocchi mortali", come li aveva lui stesso definiti, aveva preso a deridere i suoi avversari, specie quando avevano lasciato solo uno di loro a difendere i cancelli della loro divina dimora e soprattutto perché quell'unico rimasto era l'unico storpio tra loro.

Ma Efesto non era di certo un novellino quando si trattava di battaglie disperate e, soprattutto, Porfirione non sapeva che il Ragnarok aveva cambiato molte cose nell'Ordine Cosmico, soprattutto sull'Olimpo.

Efesto, sudato e affaticato ma avvolto in una pesante armatura automatizzata, continuava a lanciare contro il gigante ordigni dalla potenza devastante mentre sciami di automi continuavano a rallentarne la carica. Il gigante rideva e rideva, senza controllo, schernendo l'avversario mentre questo, digrignando i denti, continuava a infondere ogni stilla del suo potere nella moltitudine delle creazioni meccaniche che rispondevano ai suoi ordini.

"Cosa pensi di fare, a parte rallentarmi? Anche nel mio corpo distorto sono più potente e utile di te, storpio fabbro dell'Olimpo! Arrenditi e lasciami passare, ormai anche i tuoi ti hanno abbandonato!"

Il ruggito del re dei giganti avrebbe ferito Efesto un tempo, prima del Ragnarok e prima della nuova vita che aveva avuto la fortuna di vivere. Ma molte cose erano cambiate ed Efesto non rispose alle provocazioni di Porfirione... reagì solo con un sorriso al bagliore arcobaleno che attraversò il cielo e al suono di corno da battaglia che ammutolì qualsiasi altro suono, comprese le parole di scherno del redivivo figlio di Gaia.

Mitovembre 2024 - SequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora