HANNASecondo voi abbiamo fatto qualcosa? No, ovviamente. Voleva solo provocarmi, vedere fino a che punto potevo spingermi.
Vorrei chiamarlo e chiedergli dove si è cacciato, ma continuo a respingere l'idea. Non dovrebbe importarmi se si mette nei guai, eppure...
Mi mordo le unghie, lo sguardo fisso sul telefono appoggiato sul tavolo. Mi chiamerà lui? No, certo che no. Allora lo farò io.
Afferro il telefono senza pensare e avvio la chiamata a Kayson, salvato nei contatti con un nome appropriato: "Stronzo".
«Finalmente ti sei degnato di rispondere...» dico, la voce tagliente e intrisa di sarcasmo.
«Mi stavi aspettando?» risponde calmo, quasi divertito.
«Non ti aspettavo. Ma, in effetti, un po' mi mancavi...» sussurro con un sorriso freddo, quasi per ferirlo più che per ammetterlo. Vorrei poter rimangiarmi quelle parole subito.
«Un po' o tanto?» La sua voce si abbassa, provocante, e posso quasi sentirne l'arroganza. Sta giocando con le mie parole, facendomele pesare.
«Tanto quanto mi hai fatto aspettare. E non ti perdono così facilmente,» rispondo, mantenendo un tono fermo, anche se con una punta di amarezza.
«Vuoi che te lo faccia dimenticare?» La sua voce bassa aumenta la tensione tra noi.
«E tu credi di esserne capace?» Ridacchio, ma è una risata fredda, pungente. Non gli credo nemmeno per un secondo.
«Vuoi mettermi alla prova?» replica immediatamente, con quel tono sicuro che tanto detesto.
«Forse... ma non dovresti farlo qui.» La mia voce si fa leggermente più sfidante, ma lascio cadere le parole nel silenzio.
«Allora dimmi dove.»
Che presuntuoso... Davvero pensa che io stia aspettando solo lui?
«Non pensare che io ti stia aspettando.» Cerco di mantenere la voce fredda, distaccata. So che questo lo infastidisce, ed è esattamente quello che voglio.
«Ah sì? E allora perché mi hai chiamato?» La sua voce suona così sicura di sé, come se ogni cosa gli fosse dovuta. Solo sentirlo parlare mi irrita.
«Per ricordarti che non puoi sparire e poi tornare come se nulla fosse.» Rimango calma, ma voglio che capisca: non sono una delle sue distrazioni di poco conto.
«Forse ti piace che sia così... Ti dà un po' di brivido.»
Ma chi si crede di essere? Sento la rabbia crescere, ma non glielo lascio capire.
«Tu non mi conosci affatto.» La mia voce è tagliente. Spero che colga il messaggio e smetta di giocare.
«Ti conosco meglio di quanto pensi...»
L'arroganza nella sua voce mi fa venire voglia di chiudere la chiamata. E infatti, senza pensarci troppo, gliela chiudo in faccia, godendomi l'ultima parola.
«smettila di giocare, non sei interessante.» ribatto con la mano chiusa lungo i fianchi.
«Strano, non sembrava che la pensassi così l'altra sera.» ribatte, sentendolo ridere divertito.
Appena riappendo, mi pento di averlo chiamato. Maledico me stessa: che sciocchezza. Posso aver sentito persino un pizzico di nostalgia per lui? Sto sicuramente delirando.
Mi alzo e inizio a girare per casa, cercando qualcosa per distrarmi. Poi, finalmente, il telefono squilla. Mi avvicino al tavolo e controllo chi è. Grazie al cielo, è mia madre.
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Ruthless
RandomAllen Megan, una studentessa del collage che non gli frega niente di studiare, preferisce starsene a casa ad ascoltare ogni tipo di musica che gli capita su Spotify. Poi c'è lui, Logan Beverlay. Non si sa niente di lui a parte il nome e il cognome...