Harry
Non riuscivo a togliermi il sorriso ebete di dosso. Era così bella lì, in piedi nel mezzo del buio, impacciata, a dirmi di amarmi. Mi aveva colpito ancora, come la prima volta, quando non ero capace di distinguere il rumore dal battito accelerato, quando ancora ignoravo quanto questa stupenda ragazza mi avrebbe cambiato la vita. Ero sempre io, ma diverso, migliore e lo dovevo solo a lei. Potevo ancora sentirla sulla pelle, rivivere ogni istante della notte appena passata, cazzo, il bisogno di ritrovare quello che tanto mi era mancato, l'intimità dell'amore che stava scoppiando, troppo stretto da racchiudere in un'unica stanza. Mi ama, ancora. L'uomo più felice del pianeta. «Cazzo ripigliati!» Il tono basso di voce non mancava di enfasi: Alex mi diede uno scossone, ricordandomi della situazione delicata. Annuii. «Reggimi il gioco» dissi, rifugiandomi in bagno e aprendo il rubinetto del lavandino. «Alexander?» «Entra mamma» rispose mio fratello, poco dopo il passo di nostra madre riempì il silenzio della mattinata nel castello. «Sei in compagnia?» domandò mamma senza alcuna emozione, offrendomi la giusta entrata in scena. «La migliore» dissi sorridente, strofinando le mani nell'asciugamano. «Ah, sei qui» disse lei stizzita, alzai le spalle. «Ieri sera non era propriamente lucido, volevo controllare che stesse bene, anche se da quello che ho potuto sentire, è stato molto bene» finsi uno sguardo complice che venne smorzato dal suo sopracciglio alzato, simile a quello di mamma. «Harry, per cortesia, non dare la colpa del tuo bordello personale a tuo fratello» commentò lei incrociando le braccia al petto. «Non so di che parli» affermai evasivo, innervosito più che altro. «Mi stai dicendo che la badante di tua nonna ve la passate da camera in camera?» domandò ironica, la guardai male. «Complimenti per la classe mamma, proprio perfetta per il tuo ruolo» digrignai i denti, lo fece anche lei. «Mamma, Alice è una bravissima ragazza, oltre ad esserlo nel suo lavoro, e le nonne l'adorano, non capisco dove stia il problema» intervenne Alex cercando di quietare la tensione. «Il problema non è nel suo lavoro, Alexander, per quanto non sia adeguatamente qualificata per stare qua. Il problema è che tuo fratello si dimentica che ci sono delle regole sociali che non vanno oltrepassate» «Regole sociali?» chiesi allibito, mi guardò appena. «Tu sei il prossimo Duca, Harry, non puoi permetterti sbagli indesiderati che mandino a monte il futuro del Ducato» rispose con ovvietà. «Sbagli indesiderati? Tipo rimanere incinta di un uomo diverso delle vostre volontà?» domandai retorico e schifato, mamma spostò lo sguardo da un'altra parte. «Chi è incinta?» chiese interrogativo Alex. «Chiedilo a lei. Mamma, Alice non è una tua pedina, come non lo sono io. La mia vita sentimentale non ha nulla a che fare con te, mio padre e uno stupido Ducato al quale non fotte un cazzo di chi io scelga di avere al mio fianco!» Avevo alzato il tono di voce, senza riuscire a contare più di due prima di parlare. E lei ora mi guardava con aria di sfida, lo stesso sguardo che sapevo di indossare, con la differenza che il mio spaziava nella variante del disprezzo. «Hai scelto di avere al tuo fianco una poco di buono, Harry» disse sbeffeggiante, sghignazzando con cattiveria: era troppo. Scattai in avanti, venendo subito fermato da Alex. «Ehi, non fare stronzate Harry, è solo mamma» sussurrò, lo guardai negli occhi: «Chiedilo ad Amelia se è solo mamma» dissi serio, scrollandolo via e raggiungendo nostra madre in un paio di falcate. «Sei proprio degna del tuo ruolo, mamma, e soprattutto di tuo marito e di tutto il suo giro di puttane che bussano alla porta della sua stanza» sputai guardandola dall'alto della mia altezza, fermando la sua mano prima che mi potesse colpire. Sogghignai: «Non continuerai a rovinarmi la vita. Te lo giuro, non sarò il vostro fottuto burattino.» Lo sguardo teso, la mascella di marmo, a occhio inesperto poteva sembrare imperturbabile, ma chi conosceva i suoi punti deboli sapeva quanto l'avessi ferita. La sorpassai, senza minimamente preoccuparmi di darle una spallata e uscii dalla stanza. Avevo visto e sentito benissimo Thom chiamarmi, ma avevo continuato a camminare fino alla mia stanza, chiudendomi dentro con un doppio giro di chiave.
Solo.
Quanto odiavo sentirmi da solo, qui, isolato, ancora una volta a difesa dei miei sentimenti. Avevo provato a tenerli a distanza, ma li sentivo nelle viscere, no, nel sangue: pulsavano, irradiandosi in tutto il corpo e come poteva essere tanto sbagliato qualcosa che ogni giorno mi teneva in vita? Come potevano negarmi di vivere? Valevo così poco per loro? I miei genitori. Mi sedetti sul letto, le braccia attorno alle ginocchia e il capo chino, proprio come da ragazzino, quando scappavo dalle urla e dai compiti dell'istitutrice del periodo, che tanto non si distingueva da quella precedente per modi e punizioni fisiche. Cercavo la mia mamma, piangendo dal bambino che ero, con le guance e le mani arrossate che mai si limitavano ad essere solamente quello, più spesso accompagnate da lividi o labbra rotte. Ero innocente, ingenuo e credevo ancora che avrebbe notato il male che subivo, che mi cullasse nell'abbraccio materno che mi era sempre mancato. Volevo solo essere difeso. Ma lei mi guardava appena: «Harry, per Dio, smettila di fare il teppista e va' a fare i tuoi compiti.» Ancora sentivo la sua voce, ma almeno lei parlava, suo marito, mio padre, aveva aspettato il mio diciottesimo compleanno per rivolgermi la parola e unicamente per ricordarmi di essere uno Styles e di vivere di conseguenza. Ero scappato via con l'intenzione di non tornare mai più, eppure ero qui ora. Di nuovo da solo. Mi venne spontaneo guardare la porta nascosta nella parete, aspettandomi quasi di vedere entrare mia sorella con del ghiaccio e i biscotti con la crema alla nocciola. «Non ti serve nessuno, ci sono io. Che si fottano gli altri» diceva, nell'abbraccio che cercavo, quello che mi colmava e poi ci ritrovavamo a ridere, prendendo in giro l'istitutrice e organizzando la nostra vendetta che, negli anni successivi coinvolgeva Alfred il quale, chissà come mai, si ritrovava sempre a dover affrontare problematiche all'auto, costringendola a tornarsene a piedi da posti improbabili.
Scossi il capo, guardandomi allo specchio: forse dovevo solo parlare con lei. Non mi resi nemmeno conto di aver già composto il suo numero, prima ancora di guardare con attenzione lo schermo. «Ehi fratellino, Ryan ed io stavamo proprio parlando di te, sai? Sembra che tu abbia dimenticato di informarmi di avere una particolare passione da pervertiti, oppure le foto scattate di nascosto alla tua coinquilina sono solo un caso?» Sorrisi d'istinto, ripensando a tutte quelle volte che avevo immortalato Alice a sua insaputa, mentre dormiva o semplicemente camminava in pigiama per casa, con la testa tra le nuvole. Sembrava una vita fa. «Cristo Santo, le avevo dimenticate, dovresti proprio spedirmele, in qualche modo» dissi solamente e forse il tono era stato troppo nostalgico o la tristezza, il nervoso che ribolliva borbottante per la discussione, ma Amelia cambiò tono di getto, schiarendosi la voce. «Cos'è successo Harry, parlami» affermò seria, sospirai. «Perché non posso essere felice, Amy? Perché lei non può solo accettare che io lo sia? È così sbagliato sentire di essere amati in questa famiglia? Io non voglio perderla di nuovo, lei è qui, vuole me e la mamma... cazzo, sentimi, parlo come un fottuto ragazzino» sbottai, con il telefono tra la spalla e l'orecchio e le mani tra i capelli. «Chi c'è lì, Harry? Tu devi essere felice hai tutto il diritto di esserlo e la mamma è solo un'aristocratica di merda. Meriti l'amore, Harry, ma chi c'è lì? Thommy non mi ha detto nulla, io sono...lontana» parlò velocemente, con solo una pausa prima dello sconforto della lontananza. «Alice. E non si fida ancora abbastanza di me, lo sento, ha ragione cazzo. Ma io l'amo e lei, anche lei e non voglio perderla, perché sento che la perderò se rimarrò ancora qua?» «Io pensavo che... Harry che cosa sta succedendo lì? Lo sai che è solo momentaneo, vero? Che sto solo aspettando che si calmino le acque, che non intendo veramente lasciarti tutto quello schifo addosso» «Perché a me sembra che tutti qui vogliono di più da me?» domandai in un sussurro, lei sospirò. «Non ti preoccupare fratellino, non sei solo, okay? Io sono sempre con te, che si fottano gli altri, ti devi fidare di me. Parlami di Alice, che ci fa lì?»
Avevo perso la cognizione del tempo parlando con mia sorella, rivivendo i momenti felici della mia relazione e confidandole quanto per la prima vera volta avessi una paura fottuta di farla allontanare, poi avevo sentito Ryan piangere immaginandolo un pianto affamato e la mia ipotesi era stata confermata da Amelia, che mi aveva salutato con la promessa di parlare con Thom per fare qualcosa al riguardo. Perché lei c'era sempre per me, anche se da lontano.
«Harry, amico, aprimi dai. Sai che tanto ho la chiave, è meno umiliante se apri tu.» Come se fosse stato richiamato telepaticamente, Thom bussò alla porta, già sospirante. «Apri, non c'è problema» affermai pacato, rasserenato dalla conversazione con Amelia. «Vogliamo parlarne? Tua madre era sconvolta» iniziò, feci spallucce. «Non si può piacere a tutti, credo che ad Alice non importi granché andare a genio a quella iena di mia madre, l'importante è quello che vogliamo, no?»
«Non pensi che tua madre abbia buone intenzioni con te?»
«No, non penso proprio, anzi, sono fermamente convinto che le buone intenzioni riguardano unicamente sé stessa, ma sinceramente sono stanco di dovermi mettere in difficoltà unicamente per un suo capriccio» risposi tranquillo stiracchiandomi. «Io penso che ti voglia proteggere da una vita che potrebbe rovinarti» continuò a parlare, prendendo la cornice sul comodino, dove il sorriso di Alice brillava di felicità nel ricevere un mio casto bacetto sulla guancia, che poi tanto casto non lo era: se l'inquadratura fosse stata più larga, si sarebbero notate le mie mani stringerle il seno. Era una delle tante foto che Alice aveva voluto immortalare perché, come diceva lei, i momenti perfetti devono essere ricordati e rivissuti, soprattutto nei momenti grigi. Un po' come in questi momenti. Così, nonostante Thomas continuasse a parlare, riuscivo unicamente a pensare a quale tipo di vita mi avrebbe rovinato e quale, invece, mi avrebbe fatto stare veramente bene. Potevo quasi sentire lo strepitio di piedini aggirarsi per casa, nel silenzio della mattina domenicale: Alice già sveglia a fianco a me, ridacchiante, mentre gioca con i miei capelli scombinati dal sonno e dalla nottata trascorsa a rotolarci in silenzio tra le lenzuola. La porta si apre e i bambini corrono a svegliarmi; io faccio finta di dormire, ma non serve a molto. Il maschio inizia a tirarmi un braccio e la femmina mi fa il solletico; con fatica, riesco a resistere, almeno fino a quando la più piccolina non si arrampica sul letto per saltarmi sulla schiena. «Fate piano, papà è stanco» sento dire da Alice, mentre prende in braccio la più piccola. «Lo zoo, papà ha promesso che andiamo allo zoo» si lamenta il maschio e allora io mi alzo, ribaltandoli tutti e due sul letto, nel meraviglioso coro di risate.
«Per questo ti dico che dovresti pensare bene al tuo futuro, Harry. Ti parlo da amico.» Scossi il capo, riprendendomi dal miraggio, il desiderio della vita che ora, sapevo di volere. «Hai ragione Thom, devo pensare al mio futuro, a quello che mi fa stare bene» affermai entusiasta alzandomi per andare verso di lui, che adesso era decisamente titubante per il mio repertino cambio d'umore. «Grazie amico» aggiunsi, dandogli una pacca sulla spalla, dopo aver recuperato la cornice. «Dovresti pensare anche tu al tuo futuro e prenderti quello che vuoi davvero» conclusi, rimettendo la fotografia al suo posto ed uscendo dalla porta principale, entusiasta come un bambino.
Lo avrei avuto, quel futuro. Avrei avuto il mio lieto fine con la donna che amavo, lontano da questo ambiente tossico. L'avrei sposata e amata per tutta la vita, per quanto fosse ironicamente divertente pensando a come era iniziato tutto. E sarebbe stato possibile solo convincendo mio padre a rimettere le cose a posto, facendo tornare Amelia al suo posto. Scesi le scale di corsa, incrociando Arthur nell'androne. «Ehi Arthur, porti tu le amiche di Alice in aeroporto, vero? Mi fermo a fare una commissione e ti raggiungo lì» affermai sorridente, lui annuì, fermandomi prima che potessi uscire. «La trovo meglio in questi giorni, signore» «L'amore? E poi smettila con tutta questa stupida formalità: mi hai visto più volte nudo tu della mia ragazza!» Rise, lo feci anch'io, dandogli una pacca sulla palla. «Tratta bene la mia Alice e le iene delle sue amiche, mi raccomando: sono come sorelle per lei, ahimè!»
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Alice in Harryland [hs]
FanfictionQuando Harry decide di mettere un annuncio in cerca di un coinquilino, di certo non si aspetta di trovarsi Alice e i suoi modi burberi di trattare le sue amichette della notte. Certo, sarebbe diverso se lei fosse impegnata a stare dietro ad un uomo...