Capitolo 12: Non così in fretta.

39 3 0
                                    



Harry.


Non vedevo Thomas dalla laurea, quando aveva accompagnato mia sorella di nascosto dai miei. Un po' mi dispiaceva per lui: aveva fatto tanto per entrare in questo mondo e poi si era ritrovato a gestire l'unico al quale non fregava proprio niente di esserci. Almeno poteva rifarsi con Amy: i miei erano stati più che felici di sapere che nella sua squadra di addetti personali c'era anche lo stesso che riusciva a tenermi buono. Ironico pensare quanto poco loro sapessero di me, poco male, entrare nel loro mondo non era mai stata una priorità, anzi, meno ci stavo vicino, meglio stavo. Ecco, questa cosa dell'aereo sicuramente avrebbe distrutto la barriera di mutismo e scarsi segni di vita.
«Bello vederti di persona Harry, ero sicuro che non sarei vissuto abbastanza per rivederti in carne e ossa»
«Divertente considerando che hai appena compiuto quarant'anni, Thommy. No forse no, sembri un vecchio»
«Niente male, ragazzo, se non fosse per quelle nuove rughe sulla fronte: sì insomma, i trenta ti hanno distrutto»
«Puoi dirlo forte, Thommy»
Sì, Thomas mi era mancato.

Salimmo sull'aereo in sordina, non che mi preoccupasse particolarmente farmi notare, nessuno sapeva chi fossi, be' sì, insomma, chi fossi veramente. Volevo evitare di mettere ancora più carne alla brace, come poi aveva fatto notare Thomas. «Amelia ti ha coperto, ma i tuoi non sono stupidi. Dimmi solo che questa cosa urgente non sia qualcosa di futile» affermò sedendosi nel posto di fronte al mio, sospirai. «La mia coinquilina potrebbe essere in pericolo» esagerai, guardando il telefono. Nessun nuovo messaggio. «E perché stiamo andando lì noi e non, che so, dalla polizia?» chiese di sottecchi. Sospirai: «Perché non posso far arrestare un uomo unicamente perché è un coglione egoista» dissi sincero, digitando il numero di Alice. «Il telefono Harry, staccalo» mi riprese. «Solo un minuto» «Harry» insistette, sbuffai, ma feci come diceva, principalmente perché sapevamo entrambi che la mia necessità di usare l'aereo di famiglia era puramente frutto di un capriccio egoista. Non me lo fece pesare per tutto il viaggio, fino all'areoporto all'arrivo. «Pensi di arrangiarti a tornare o devo occuparmi anche di quello?» «Andiamo, non ti ho chiesto nulla in almeno quattordici anni, ho bisogno di una via di fuga facile e veloce: se tutto va secondo i miei piani in un paio d'ore sarò di ritorno. Accompagnato» «Ti prego, fa che non sia qualcuna che ti faccia sbattere in prima pagina nei giornali, tua sorella sta vivendo un momento complicato, c'è bisogno di tutta la tranquillità possibile intorno alla tua famiglia» m'interruppe, aprendo il portellone dell'aereo. «In un altro momento m'informerei, ma davvero, il tempismo ora è tutto. Ti chiamo quando saremo di ritorno» conclusi con un cenno del capo, scendendo le scale senza guardarmi indietro.

Alice mi aveva parlato di questa convention prima ancora che mi rendessi conto di quanto fosse importante non farla andare: si sarebbe tenuta in un lussuoso albergo a ridosso della spiaggia e in quanto più uno del dottore avrebbe avuto tutti i privilegi degli altri invitati, tra spiaggia privata, piscina e libero accesso a tutti plus della struttura. Avevo trovato l'albergo in poco tempo, accompagnato da un gentile tassista pettegolo che aveva voluto sapere i dettagli della mia fretta. Speravo solamente che il verme avesse fatto prenotare due stanze separate, ma poco importava, se non fossi riuscito a salire in camera di Alice l'avrei aspettata qui fino a riportarla da me. Non fu necessario: la ragazza della reception era nuova ed era stata molto gentile a darmi la chiave della stanza per organizzare la sorpresa per la proposta di matrimonio. Avrei potuto avere una carriera attoriale niente male.
Sul letto c'era un vestito da sera, ai piedi un paio di scarpe eccessivamente alte e l'acqua che scorreva nella doccia non era abbastanza rumorosa per sovrastare la voce di Alice mentre canticchiava una delle mille altre canzoni che le avevo già intonare a casa nostra. Approfittai dell'attesa per sistemare quello che aveva in giro nella sua valigia: non volevo rimare in quella stanza un minuto in più del necessario e sì, sostituii l'abito sul letto con un'altro più comodo e meno succinto per tornare a casa. Feci appena in tempo a chiudere la valigia prima di sentirla urlare. Mi fece ridere. «Calmati, darling, sono io»
«Che cazzo ci fai tu qui?»
«Anche io sono felice di vederti. Se aspettavo il tuo messaggio rischiavo di invecchiare.»
Mi guardò assottigliando gli occhi, notando poi l'abito sul letto. «Harry, che cosa pensavi di fare?» domandò seria, incrociai le braccia al petto: «Ieri sera non ha avuto senso per te?» le chiesi, sospirò, dandomi le spalle per recuperare ed aprire la valigia. «Che mostro pensi che sia? Ieri sera è stato importante, molto più di quello che tu possa credere» rispose calma, prendendo fuori la crema corpo da viaggio. «Allora perché sei corsa qui, da lui?» chiesi ancora, mettendomi comodo per osservarla massaggiarsi le gambe con la crema, su fino alle cosce. «Perché sono una persona adulta, matura e ho preso un impegno» disse dandomi le spalle per abbassare l'asciugamano alla vita e continuare il massaggio sulle braccia e sul seno: mi ci volle tutta la pazienza del mondo per non strapparle quel pezzo di stoffa di spugna e ricordarle che non doveva andare da nessun altro diverso da me. «Fai l'immatura e torna a casa a casa con me, c'è un aereo pronto che ci aspetta» dissi tirato, lei lo notò girando il capo per guardarmi, con il labbro stretto tra i denti e gli occhi spalancati. «Non mi prendere in giro Harry» sussurrò, sospirai. «Non lo faccio: non hai idea di quanto sia stato imprudente a organizzare questa cosa, ma non ho intenzione di...cazzo darling! O ti vesti o levi quel coso e vieni qua» cedetti, facendola arrossire e girare di nuovo, con l'asciugamano a coprirle anche il seno. «Non posso, ho dato la mia parola» affermò distante, sbuffai, raggiungendola per stringerla in un abbraccio dalle spalle.
«Dalla a me, dimmi che non torni da quello stronzo perché vuoi lui»
«Non voglio lui»
«Però torni da lui»
«Lui è il mio capo»
«Io voglio essere il tuo uomo.»
Lo avevo detto ad alta voce? Alice sussultò presa alla sprovvista, come darle torto, io ero il primo ad essere sorpreso dalle mie stesse parole. Ma aveva senso, non lo aveva mai avuto prima, ma ora sì, santo cielo, aveva senso! Volevo stare con Alice Robinson e Dio Santo, volevo anche l'esclusiva!
«Non lo pensi davvero Harry» disse triste, le feci fare una mezza giravolta per poterla guardare negli occhi, senza spostare le mani dalle spalle nude, cercando una spiegazione nei suoi occhi. «Me lo hai detto tu, no? Voi uomini ci volete solo perché non ci potete avere, poi ci avete e vi annoiate» disse, storsi il naso. «Non, ho proprio detto così» borbottai, lei alzò gli occhi al cielo. «Il senso è quello! Per te sono una cosa nuova, Harry, sei stato con dozzine di ragazze diverse: hai mai pensato che alla lunga ti possa aver stufato? Io sono il tuo nuovo giochino» affermò con tristezza stupide parole che non sembravano nemmeno essere state elaborate da lei. «Stronzate, lo sai anche tu. Pensi che sarei venuto qui se fossi solo un cazzo di giochino per me? Ho il telefono pieno di numeri di ragazze con le quale potrei giocare se solo volessi farlo, non voglio giocare con te. Non così almeno» «Harry stiamo discutendo e ti è venuto duro» disse piano, scossi le spalle. «E quindi? Sei nuda, bellissima e mi piaci da impazzire: non posso controllare le reazioni del mio corpo» esclamai, lei sbuffò, allontanandosi di nuovo per recuperare un dannato completino intimo sexy e nascondersi in bagno. La seguii, fregandomene altamente della privacy. «Harry!» mi sgridò, la fulminai con lo sguardo. «Dimmi un cazzo di buon motivo per giustificare questa stupida idea che ti sei fatta» sbottai, osservandola completamente nuda, indossare il tanga.
«Non sai quello che vuoi»
«Voglio essere il tuo uomo, ritenta.»
Sbuffò, infilando anche il reggiseno.
«Perderesti interesse subito dopo aver fatto sesso con me»
«Ah questo poi, non hai la più pallida idea di quello che voglio farti e le idee aumentano ogni minuto.»
Ribattei di nuovo, lei sospirò, slegandosi i capelli per ravvivarli a testa in giù.
«Voglio avere dei figli e ho già una certa, tu non sei sulla mia stessa strada»
«Io amo i bambini e credo proprio che non mi dispiacerebbe averne un paio.»
Da dove stava uscendo tutto questo? Mi guardò di sottecchi.
«Harry, perché la rendi così difficile?» chiese esausta, la guardai negli occhi, raggiungendola, tirandola a me. Le sfiorai il viso arrossato, piegandomi per baciarle appena le labbra. «Perché non ho intenzione di cederti a nessun altro, non quando sento tutto questo per te» dissi sincero, sfregando il naso sul suo. «Tu mi puoi fare tanto male, Harry, lo capisci? Io sono appena sopravvissuta a Carlo e a quanto pare non lo amavo nemmeno» disse sincera, incastrando le mani tra i miei capelli. Chiusi gli occhi alle coccole. «Io non ti voglio fare male, Alice» sussurrai, spingendola contro il muro. Sussultò. «Io voglio solo farti star bene» aggiunsi, questa volta più roco, ormai condizionato da tutto il sangue che non voleva andare in altre parti del corpo. «Harry» gemette, mi avventai sulle sue labbra, esigendo ciò che avevo deciso appartenermi, mentre ormai avevo perso il controllo delle mani, che stavano vagando sul suo corpo. Mi morse il labbro quando una mano sperduta finì dentro il tanga. «Harry no» disse, nonostante i gemiti e lo sguardo suggerisse altro. «Parlo di questo! Io non voglio essere una delle tante, cazzo, lo capisci?» «Non ho mai provato tutto questo per nessuna Alice, non sei una delle tante» dissi piano, cercando di nuovo le sue labbra. Ricambiò il bacio in un primo momento, poi le afferrai una coscia e mi spinse via. «Non posso, cazzo, non posso fare sesso con te, non sapendo quante ti sono passate addosso» disse mortificata, sbuffai, allontanandomi definitivamente. «Adesso usi questa scusa? Dio Alice, pensi che sia un cretino sconsdirato?» domandai, lei abbassò lo sguardo. «Davvero? Pensi veramente che non usi precauzioni? Cazzo, vuoi che mi metta a fare i test delle malatti sessuali?» chiesi duro, ormai esasperato. Uscì dal bagno, tirando fuori l'abito che avevo piegato dentro la valigia prima, indossandolo. «Potrebbe essere un buon modo per dimostrarmi che hai intenzioni serie» disse senza guardarmi negli occhi. «Alice, andiamo» provai a farla ragionare, cercando le sue mani, tocco che mi negò, infilando il paio di zeppe che avevo visto indossare da Marina e improvvisamente un eureka: era stata lei a metterle in testa tutte queste stronzate, lei e quelle stupide ed egoiste convinzioni. «Sono seria Harry, ho bisogno di sicurezza» disse guardandomi negli occhi, scossi il capo, guardandola schifato: come poteva lasciarsi condizionare dalle parole di qualcun altro e non convincersi di quanto sincere fossero le mie, quelle del diretto interessato.
«Non ti sei fatta tanti problemi con il dottore» sputai come quei viscidi uomini che denigravo, guadagnandomi la sua espressione ferita.
«Pessima, davvero pessima mossa da parte tua» disse uscendo dalla camera, recuperando la borsetta e lasciandomi lì, come quel fottuto cretino che ero e che meritavo di essere. Non me lo avrebbe perdonato. «Fanculo» mi lasciai andare sul letto: dovevo pensare ad un piano.

Alice in Harryland [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora