Capitolo 2: Sempre sia lodato.

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Alice.

Ero rimasta imbambolata a guardare il dottor Mascagni ridere con una paziente. Gli occhi scuri, strizzati verso l'alto mostravano le rughette d'espressione che tanto voleva nascondere, ma che gli davano così tanto fascino. Un po' come il naso lievemente storto, probabilmente reduce da una rissa giovanile, e i capelli più radi sulle tempie, ormai più grigi che scuri. Aveva superato i 40, da qualche anno anche, ma aveva un tipo di fascino che attirava a sé le attenzioni, come del resto lo dimostrava la fila di donne che lo seguiva ovunque andasse. Se non fosse stato per quell'unico piccolo dettaglio che m'impediva di avanzare pretese di appartenenza per averlo trovato per prima: il dottor Mascagni andava solo con le poco più che ventenni. Era un argomento più che discusso con le ragazze, alla base dei nostri animati dibattiti da bar: anche loro erano colpite in prima persona da questa piaga che colpiva gran parte dei nostri coetanei penedotati. Non a caso eravamo tutte e tre single, a parte Marina, lei era accompagnata da un dolce piccolo maschietto di cinque anni che non l'avrebbe mai abbandonata. Il dottor. Mascagni ridacchiò ad una battuta della paziente, 2000, se ci fosse stato bisogno di specificare. Ma perché le ragazze di vent'anni dovevano andare dietro agli over 40, poi? Da quando avevano smesso di vedere i quarantenni vecchi? Sbuffai, guardando l'ora dallo schermo del PC. Le 19.40, l'orario del turno era finito ormai da due ore e lui non l'aveva ancora notato. In più sentivo la cute così dolorante che non vedevo l'ora di andare a casa, sciogliermi lo chignon e morire nella vasca da bagno: un ottimo modo per festeggiare il mio lento declino verso la zitellaggine. Se non fosse stato per quel fastidioso borbottio che sentivo avvicinarsi dalla porta d'ingresso. Toh, anche il dottore se ne accorse, giusto in tempo per sentire il campanello suonare. «Abbiamo altri pazienti, Alice?» domandò dubbioso guardandomi, sbagliando come al solito la pronuncia del mio nome. Caddi dal pero, scuotendo il capo: «Direi di no, no, nessuno, la signorina D'Andrea era l'ultima della giornata. Ti sono venuti a prendere i genitori, Sabrina?» domandai con un pizzico di acidità. Lei arrossì, Mascagni mi sorrise scuotendo il capo, poi andò ad aprire la porta personalmente. «Cazzo» imprecai, nascondendomi dietro lo schermo: Kelly, Marina e Akiko erano vestite a festa, con cappellini e trombette e un cartello imbarazzante in mano, pieno di foto stupide e sconce che dovevano decisamente rimanere private, tra la scritta: "La natura selvaggia non invecchia mai." «Ciao dottore, la festeggiata?» chiese entusiasta Akiko, aguzzando la vista. Presi un grosso respiro ed uscii allo scoperto: «È morta» affermai sarcastica, facendo girare tutti verso di me. Sospirai, spegnendo il PC prima di alzarmi. Mascagni sorrise, guardando prima il cartellone, poi me. «Alice, tesoro, me lo dovevi dire che era il tuo compleanno, ti avrei portato un regalo» disse, avvicinandosi alla mia scrivania. Feci spallucce. «Niente di che, è solo un compleanno» commentai imbarazzata, lui scosse il capo. «Sei la mia impiegata preferita, ci tengo» insistette facendomi arrossire. Kelly iniziò a tossire, raggiungendo la mia postazione: «Lavori qui da quanto? Cinque anni? Dottore, lo sa che il compleanno cade lo stesso giorno ogni anno, vero?» Guardai la mia amica con gli occhi in una fessura, serrando la mascella e pensando a tutto quello che le avrei detto dopo, solo per ripicca. Il dottore si schiarì la voce imbarazzato, poi tornò a guardarmi, abbassando lo sguardo con fare malizioso, proprio come stava facendo prima con la paziente: «Se non fossi già impegnata ti offrirei la cena, ma posso sempre offrirvi un aperitivo» disse, prendendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni. Avevo perso il respiro, osservando le sue dita affusolate scorrere dentro la tasca di pelle per tirare fuori una banconota da 20,00 per poi appoggiarla sulla scrivania. «Divertitevi stasera, Alice e buon compleanno. Qua ci penso io.»
Silenzio, sorrisi tirati e un cordiale grazie prima di uscire dallo studio, così come per tutta la strada fino al bar scelto da Kelly per i fantastici sex on the beach che, come per ogni compleanno da quando avevamo ufficialmente l'età per bere, diventavano sex with the bitch. Ci sedemmo nel tavolo vicino alla finestra della sala fumatori e, solo dopo aver ordinato i primi drink, insieme a delle patatine fritte, Kelly tirò fuori il discorso: «Un vero signore, il tuo capo, Alice» disse male di proposito il mio nome. Le feci una smorfia, lanciandole una patatina che prese al volo da brava americana patita di football, come del resto informava il mondo la sua maglietta dei Dallas Cowboys. Sempre che quello fosse il nome della squadra, troppo pigra per imparare qualcosa del quale non mi sarebbe mai importato nulla. Perché Kelly era la sportiva del gruppo: football, calcio, basket, lei era l'enciclopedia di tutto quello che a noi altre faceva solo sbadigliare e sbuffare. Era bellissima, Kelly, alta, bruna, con gli occhi caldi e un corpo da urlo ben proporzionato tra un culo che si chiamava per nome e un seno sodo, da coppa di champagne. Il tutto nascosto sotto qualche maglietta di qualche squadra e un paio di pantaloncini da ciclista. Mangiò la patatina, facendomi la linguaccia che ricambiai, parlando ancora: «È una nostra cosa, mi chiama con la pronuncia all'italiana, è solo...» «Che non si è neanche disturbato di imparare il tuo nome? Un gran vero signore» m'interruppe Marina rubando la patatina che avevo appena preso per me. Marina era il perfetto stereotipo della chiassosa sudamericana, accento pronunciato, un corpo minuto coccolato tra le curve di una perfetta clessidra, sotto una marea di capelli quasi neri, ma i polmoni, santo cielo, i polmoni più tosti del mondo. Leo aveva preso da lei: l'unico bambino al mondo che urlava dormendo. Carlo diceva che Pietro, suo fratello, andava a letto con i tappi pur di non sentirli: uno dei motivi per il quale a distanza di un paio di anni si era ritrovato le valigie fuori di casa. Il periodo più brutto della mia vita: in quattro e quattrotto mi ero ritrovata a gestire due ragazzini bisticcianti in casa. Gli avevo perdonato anche quello. Sospirai ancora, guardando Akiko in cerca di aiuto. Lei era quella più dolce del gruppo, sua madre diceva che era solo grazie a lei se era diventata così, perché lei l'aveva salvata dalla rigidità della famiglia tradizionalista giapponese del marito. Fortunatamente Akiko aveva preso tutto da quel pezzo di pane di suo padre, non solo per i classici lineamenti asiatici, addolciti da quelli europei della madre, ma per il carattere uscito fuori da una favola a lieto fine, un po' ingenua, ma tanto dolce. «Lasciatela in pace almeno al suo compleanno! Domani possiamo tutte tornare a farle capire quanto lei sia assolutamente fuori dalla sua portata» disse scoccando il bicchiere nel mio. Ecco, Akiko le cose te le diceva sempre, anche se sconvenienti, ma sempre con il sorriso da peluches in viso. Non potevi arrabbiarti con lei, né tenerle il muso. Scossi il capo, bevendo dal bicchiere. «E chi dovrebbe essere alla mia portata, se non un nuovo in carriera, gentile e sexy come Antonio?» chiesi burbera, Marina alzò le sopracciglia: «Ahi chica, ora lo chiamiamo pure per nome?» chiese divertita, abbassai le palpebre socchiudendo gli occhi e leccandomi le labbra, nella mia più sensuale espressione possibile: «Nell'intimità preferisco chiamarlo Dottore» dissi ammiccante, facendole ridere.
«Non c'è da ridere Harry! Mia figlia è andata da un gruppetto di bambini a chiedere se avevano anche loro il gelato come il suo papà e si è tirata giù le mutande per far vedere che lei non lo aveva.»
Fu spontaneo, non appena sentii quel nome mi girai di scatto, trovandolo a ridere con un altro ragazzo, vicino ad una ragazza che continuava a ribadire quanto fosse grave la situazione. «Non ci credo, è ancora lui» esclamai girandomi di scatto con gli occhi che chiedevano pietà, dietro le lenti degli occhiali da vista. «Lui?» domandò Marina drizzando la schiena da brava suricato vedetta, incentivando le altre a fare lo stesso. «Gaia!» urlò entusiasta, alzandosi dalla sedia, andando incontro alla ragazza vicino ad Harry. «Non sta guardando, vero?» «Chi? Il figo tatuato o il figo con...ah no, ha la fede. Buh, i fighi con la fede non ci piacciono» disse Akiko ridanciana, la tirai per la maglietta per farla abbassare. «Capelli ricci, mossi direi, scuri, occhi chiari, sorrisetto da sturbo e tatuaggi» dissi piano. «Porca troia Aly! Dove l'hai trovato? Ovunque sia, ce ne sono altri?» domandò Kelly mettendosi composta sulla sedia, accavallando le gambe. Scossi il capo. Dando un grosso sorso dal mio bicchiere. «Non avete capito: lui è il tipo che trovo ovunque. Oggi poi, incontro ravvicinato in autobus» dissi, Kelly sorrise maliziosa. «Di che tipo?» «Gli sono caduta addosso»
«Uh»
«Mi ha afferrato per il culo»
«Uuuh»
«No! Niente uh, Kelly. Mi ha chiamata dolcezza» conclusi con un finto mezzo conato di vomito. Akiko guardò Kelly con un sorrisetto complice: «Dolcezza è molto meglio di Alice» notò, la guardai male. «Dai, ragazze! Non posso andare in un posto che non mi sento osservata, alzo gli occhi e tac: Harry-notti-magiche» borbottai, bevendo ancora. Altro sguardo. «A questo punto io direi che è destino» partì Akiko. «Sì, destino che finalmente ti scopi qualcuno di figo dopo quel coglione del tuo ex» concluse Kelly facendo applaudire Akiko. «Al momento potrei dire che chiunque potrebbe andare bene per interrompere questa cazzo di astinenza forzata» bofonchiai, pentendomene subito dopo, vedendo le espressioni sbigottite delle mie amiche. «Che ho detto?» chiesi impaurita. «Alice, amore mio, stai dicendo che tu non hai più fatto sesso dopo Carlo?» domandò Akiko dolcemente, annuii, Kelly mi toccò il braccio con l'indice. «Scusami, stavo cercando di capire se fossi ancora capace di provare qualcosa. Sette mesi, Alice, non scopi da sette mesi» disse poi guardò Akiko e in contemporanea appoggiarono una mano sulle mie spalle. «Lo annunci tu?» chiese Akiko a Kelly che annuì sommamente: «Ora del decesso: 21.38, dichiaro ufficialmente morte le tue ovaie.»
«Annunciamo la loro morte, Alice»
«Proclamiamo la loro risurrezione»
«Nell'attesa della tua venuta»
Le guardai divertita scuotendo la testa, ma a quanto pare loro non avevano finito, alzando i bicchieri per un brindisi.
«Parola dell'orgasmo» Akiko.
«Rendiamo grazie all'orgasmo!» Kelly.
«Amen!»
Marina mi arrivò alle spalle entusiasta e gridolina. «Che cosa abbiamo proclamato?» domandò divertita avvicinando un altro tavolo nostro. «La resurrezione delle ovaie di Alice che ci avevano lasciato dopo sette mesi di astinenza» rispose divertita Akiko, già visibilmente brilla. «Dovevo dare retta a mia madre e trovare una compagnia migliore quando ancora non ero compromessa» bofonchiai alzando gli occhi al cielo. «E chi ti avrebbe tolto da quella setta del diavolo, poi, eh? Tua madre?» domandò Marina, aggiungendo tre sedie al tavolo, corrugai lo sguardo, chiedendole il motivo con un'occhiata, mi ignorò. «Erano integratori, comunque» precisai. «Bestie di satana!» commentò lei, allontanando la sua postazione per lasciare un posto libero a fianco a me. Avevo sentito la puzza d'impiccio da quando si era allontanata e ne ebbi la certezza non appena sentii parlottare alle mie spalle. Marina indicò la sedia vuota a fianco a me a qualcuno dietro di me, un attimo dopo venne occupata ed io lo sapevo che sarebbe finita male. «Ragazze, loro sono Gaia e Jack i genitori dell'amichetta di Leo» annunciò entusiasta presentando i nuovi arrivati. «Loro sono Akiko, Kelly e lei è Alice, la festeggiata» continuò indicandoci una per volta. «Buon compleanno Alice.» Sorrisi gentilmente, gelandomi sentendo la stessa voce che stamattina mi aveva fatto tremare. Mi girai sulla mia destra, scontrando i suoi occhi chiari porca troia, erano verdi. «Uhm, grazie» risposi, lui sussultò. «Tu» disse alzai le spalle. «Tu» ripetei a pappagallo. «Vi conoscete, Harry?» chiese Gaia maliziosa. «No» risposi al posto suo. «Non ancora» mi corresse Harry con tono malizioso bevendo dal mio bicchiere. Mi girai di scatto con gli occhi spalancati, scontrando lo sguardo di Kelly. «Sempre sia lodato» affermò divertita alludendo al brindisi di prima. Scossi il capo, nascondendo il viso tra le mani: «Io dovevo rimanere a letto stamattina, spegnere il telefono e morire lì» sussurrai. «Pensavo che avesse divertito anche te l'inconveniente in autobus» commentò Harry avvicinandosi al mio orecchio. Sussultai per la sorpresa, alzandomi di scatto e colpendolo al viso con gli occhiali. «Cazzo» imprecò lui, mi sporsi d'istinto per soccorrerlo, dandogli una gomitata. «Cazzo, Alice, mi bastava un no» si lamentò ridacchiando. «No, scusa, no» balbettai, Harry sorrise. «Tutto okay?» gli chiesi appoggiando la mano sul suo petto, colpito dal mio gomito. Era allenato il ragazzo, ma me lo aspettavo da Harry-notti-magiche. Appoggiò la mano sulla mia: «Forse con un bacino passa» commentò, spostai la mano di getto, alzandomi dalla sedia. «Sì, certo. Vado ad ordinare altro da bere.»

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