13. Capitolo dodicesimo - I need you

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Angolo autice: Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Scusate l'attesa, ma ho fatto una breve vacanza, quindi mi sono fermata, poi Wattapad non mi faceva aggiornare ieri, quindi ho dovuto rimandare a oggi. Mi sono prolungata troppo, detto questo, buona lettura!

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        L'essere divisa tra due uomini non era romantico come veniva descritto nei romanzi rosa o decantato dalle madri, nonne e donne della famiglia; Joe non ci trovava nulla di sentimentale nello sgattaiolare nel suo dormitorio, alle quattro di mattina, dopo aver passato la notte con un uomo e poi – di giorno – baciare e amare qualcun altro. Essere di qualcun altro.
I corridoi bui e vuoti, l'odio per se stessa che le corrodeva le vene, i singhiozzi mandati giù insieme alla bile... non c'era nulla di idilliaco e dolce in tutto quello; ora aveva l'anello di Tom che le faceva mancare il fiato – che riusciva a farla sentire in colpa – e gli occhi di Dalton che la fissavano sempre più cupi... in un modo che le mandava in tilt il cuore, il cervello.
Ora aveva quella fascetta al dito che le ricordava costantemente che era sbagliata, che c'era qualcosa che non andava in lei... perché ora aveva tutto ciò che desiderava e stava inciampando in se stessa, combinando disastri uno dopo l'altro. E mentre graffiava la schiena di Dalton, quasi poteva sentire Tom accusarla, respingerla e lasciarla sola, e sapeva che Zabini avrebbe fatto lo stesso una volta che la sfida avrebbe perso consistenza e gusto.
E Joe aveva paura. Paura di perdere quegli occhi azzurri, quella pelle color moka, quella bocca che le regalava solo gioia e quel corpo che non faceva altro che amarla; ma fino a che punto? Fino a che punto avrebbe rischiato Dalton? Fino a che punto avrebbe resistito al suo fianco?
Le sue gelosie, la sua insicurezza... non poteva amarla. Dalton non avrebbe saputo amarla. E lei aveva paura.
Ora era tutto concreto – ogni cosa aveva preso forma, consistenza – e lei non poteva perdere. Non voleva perderlo. Perché oramai le era entrato dentro... e Joe non riusciva più a scacciarlo.
"A che pensi?"
A te.
Rovesciò di poco il capo verso di lui, che le stava sciogliendo le trecce con mani abili e un sorrisetto divertito sulla bocca carnosa.
"Che questa notte non c'è la luna" bisbigliò Joe, lasciando che lui affondasse le dita nella sua chioma.
Erano seduti sulla moquette rossa sul pavimento nella Stanza delle Necessità e Dalton la stringeva di spalle, soffiando sul suo collo e baciandole di tanto in tanto le spalle nude.
Il cuore nudo.
"Non c'è bisogno della luna, Joe" mormorò Dalton in risposta, afferrando pensieroso il ciondolo che gli pendeva dal collo arcuato.
"Perché no?" domandò, mettendosi a carponi e fissandolo sorpresa, con gli occhi scuri socchiusi. Con la pelle bollente. Il respiro corto.
E lui a pochi centimetri dal suo volto.
"I tuoi occhi" sussurrò Dalton, sfiorandole il naso con il proprio e sbottonandole la camicia della divisa con lentezza, accarezzandole prima il collo, poi le spalle e la valle dei seni.
E poi anche il cuore. In special modo il cuore.
"Cos'hanno i miei occhi?" mormorò Joe, sentendo il cuore accelerare – il respiro bloccarsi – il mondo smettere di girare.
"Sono più belli della luna" sussurrò, baciandole la guancia, il collo e le spalle: le sue mani grande si strinsero sui fianchi e – alzandola di peso e strappandole un risolino sorpreso – Dalton se la caricò a cavalcioni.
E lo sentì pienamente, completamente contro di sé; lui le ravviò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sospirò sulle sue labbra, ammaliato – abbagliato – dai suoi occhi socchiusi.
Che lo fissavano. Che lo amavano.
"Joe..." la richiamò, facendo scivolare la camicia dalle sue braccia con lentezza, passando le dita sulla pelle serica della schiena arcuata e il reggiseno di cotone bianco sempre più casto.
Semplice come lo aveva visto la prima volta, insicuro come lo era lei, fatto apposta per coprirla, per nasconderla. Per renderla unica, pudica, anche se non lo era affatto.
"Dimmi" sospirò lei, accarezzandogli le labbra con le proprie e buttandogli le braccia al collo per stringerlo meglio. Di più. Fino a sentirsi male e fargli male.
"Ho bisogno di te"
E tremò, guardando la magnificenza del suo sguardo perso e voluttuoso, che prometteva mille cose, mille traguardi e mille piaceri... mantenendo sempre la promessa.
Merlino, se lo amava.
Joe passò l'indice sulla sua bocca, sorridendo appena quando lui lo morse dolcemente.
Accarezzato dal riverbero del fuoco, con una sicurezza che Joe si aspettava perfettamente da lui, Dalton si sfilò la catenina d'oro giallo che portava al collo e gliela porse con naturalezza, come se le stesse consegnando qualcosa di suo e che lui aveva conservato fino a quel momento.
Era un ancora grande quanto il pugno di un bambino e Joe capì.
Capì che era arrivato il momento, che non c'era più via d'uscita, che doveva scegliere. Era davanti ad un bivio e non sapeva uscirne.
"Io sceglierei sempre te... ma se non è la stessa cosa per te, io non so' che farmene, Joe.
Non so che farmene di questo"
E fu la fine, per entrambi.

In una campagna dall'erba alta e verde e gli alberi forti e secolari, invece, una famiglia tanto antica quanto numerosa si stava riunendo in una di quelle che – negli anni, nei secoli – era diventata una vera e propria fortezza.
Il castello di una famiglia che non aveva né sfarzo né oro, ma amore... così tanto da poterne vendere.
E lei era morta.
Lily Luna aveva varcato per ultima la soglia della Tana, aggrappata al braccio di Scorpius Malfoy come se fosse l'unico appiglio. L'unica speranza e questo nemmeno si sorprese quando vide suo padre accanto ad Harry Potter, che aveva il capo basso.
"Sei venuta"
Rose l'abbracciò di slancio, staccandola di poco da Scorpius per stringersela contro con le lacrime agli occhi. Aveva due occhiaie spaventose e inghiottiva i singhiozzi, come Fred II, che seduto accanto al padre fissava senza espressione di sorta il muro davanti a sé.
Il piccolo Fred, che era sempre stato così legato a sua nonna... e Molly, che stringeva Roxanne in un abbraccio convulso; Louise teneva la mano a Dominique, che le mandò un bacio con la punta delle dita e suo fratello James strinse lei e Rose in un piccolo abbraccio di gruppo, baciandole entrambe tra i capelli.
"Mi dispiace così tanto" mormorò Lily, stringendo la mano a suo fratello e fissandolo disperata, come se fosse colpa sua. Come se lei stesse avesse puntato la bacchetta alla tempia di sua nonna e avesse pronunciato quell'incantesimo.
Perché era così. Li aveva fatto arrabbiare così tanto che avevano preso i più deboli, quelli che sarebbero crollati con più facilità... per farle capire chi era il più forte.
Il meno sentimentale.
"Non è colpa tua" sussurrò James, prendendole il viso tra le mani e fissandola determinato, come se le avesse letto nel pensiero.
Lily gemette e non notò nemmeno Scorpius raggiungere suo padre ed Hermione, che stringeva Hugo tra le braccia con gli occhi lucidi.
E Lily sentiva che qualcuno la stava chiamando: qualcuno che provava un dolore lancinante e aveva bisogno di condividerlo con la sua anima gemella... con la parte della mela che era stata staccata da lui al momento del parto.
Il suo piccolo e dolce gemello alzò gli occhi verdi su di lei e abbassò il capo, lasciando che alcune ciocche nere le coprissero il volto pallido: tese una mano verso di lei in una muta richiesta d'aiuto, seduto accanto ad un Teddy silenzioso e cupo come non mai.
"Va tutto bene, Al" mormorò Lily, sedendogli in grembo e buttandogli le braccia al collo.
Albus la strinse con così tanta forza da farle mancare il respiro, stringendo le mani dietro la scuola e cercando di soffocare i singhiozzi contro il maglione della sua divisa... senza successo.
I suoi singulti rimbombarono tra le mura e resero reale ogni cosa, anche il dolore allucinante che li stava stringendo tra di loro, come se volessero proteggersi.
Come se avessero bisogno di proteggersi.
"Dov'è nonno Arthur?" domandò Molly, timorosa, mentre i ragazzi – a quel sussurro – alzavano gli occhi sugli adulti e li fissavano sospettosi, feriti.
Hermione continuò a cullare Hugo come un bambino e Ron alzò gli occhi su di lei, rossi e gonfi.
"Ragazzi, il nonno è stanco e aveva bisogno di passare del tempo da solo" mormorò in risposta, mentre il suo ex marito la raggiungeva, con il capo basso e le guance ancora umide.
Hermione sospirò.
"Non dovrebbe stare solo dopo quello che è successo! Potrebbe fare qualche pazzia!" saltò su Lucy, con le unghia mangiucchiate e chiazze rosse a macchiargli le guance piene.
Ron appoggiò il capo nell'incavo del suo collo e la donna osservò il suo migliore amico alla sua sinistra, che s'infilò – disperato – le mani nei capelli neri già disastrati. Ginny era seduta accanto a suo fratello George gelida come una statua di sale.
"Tesoro, nonno Arthur ha settant'anni passati, sa' cosa fa" disse Hermione, dolcemente e Hugo si staccò da lei, dando più spazio a suo padre e tirando su con il naso – come se volesse darsi forza – o come se volesse dimostrare che oramai era adulto.
Peccato che per il dolore non ci fosse età né sesso né religione o tant'altro.
Il dolore era dolore e faceva male. Merlino, se faceva male.
Ted alzò gli occhi su Scorpius, fissandolo come se in realtà non lo vedesse, ma il Serpeverde lesse perfettamente quello che c'era nascosto in quelle iridi brune.
"È il tuo ragazzo, Lils?" mormorò a bassa voce, attirando l'attenzione su di lui.
Scorpius lo fissò dall'alto, stringendo la bocca sottile in una linea dura: Ted Lupin aveva appena stretto la mano di Lily tra le sue e – mentre fissava lo sguardo nel suo – giocava con le sue dita.
"Sì"
Oh santissimo Merlino, pensò Scorpius, sgranando gli occhi sorpreso.
Harry Potter cadde dalla sedia, cadendo dritto dritto ai piedi di Draco Malfoy, che aveva aperto la bocca in una perfetta o.
"Non è il momento, Potter, alzati e 'sta zitto" sibilò Hermione, aiutando il suo migliore amico ad alzarsi e – nello stesso momento – mollò un calcio nella tibia di Draco.
"Ti sei messa con Malfoy e non mi hai detto niente?" borbottò Albus, imbronciandosi e beccandosi un occhiata raggelante da parte di sua sorella.
"Non è il momento" ribadì Dominique, volteggiando nella sua gonnella azzurra e inginocchiandosi ai piedi di Lily, che le accarezzò il volto.
Dom indossava ancora la divisa di Beauxbatons, dove – tramite camino – aveva ricevuto la lettera dai genitori e si era precipitata direttamente alla Tana, con il piccolo Louise.
"Mi sei mancata tanto, cherìe" sussurrò, baciandole l'interno del polso con dolcezza, dove pulsava la vena. Dove, a otto anni, avevano infilato un ago sottile per sottrarre ad entrambe due gocce di sangue.
Quel sangue che aveva sancito il patto di sorellanza.
"Anche tu, Dom"
Aveva delle ciocche rosa shocking tra i capelli biondi e ondulati e i suoi occhi azzurri erano abbondantemente truccati di nero. Ed era bella.
"Io non sono mancato a nessuno?" mugugnò Ted, con il broncio e Lily sorrise – con gli occhi gonfi, il trucco sciolto – poggiando la bocca sulla sua guancia e facendo incazzare Scorpius come una biscia.
Lupin della malora, pensò, trattenendosi dal fargli la linguaccia come un bambino di due anni.
Ted sogghignò nella sua direzione e Draco assunse un espressione indignata, capendo a volo che quello che stava facendo quel piccolo bastardello. Ed era pure un suo parente lontano!
Hm, quello spiegava tutto.
"Io invece sono così felice che alla fine Scorpius si sia messo con Lily... nonostante sia la figlia di Potter, chiaro" sibilò perfido, beccandosi l'ennesimo calcio dalla Mezzosangue e ignorandolo con un sorrisetto forzato che sembrava voler dire a morte i sanguemisto!
"Io no" sbuffò Harry, mentre Ron si chiedeva se quei due fossero seri o impazziti.
"Che hai da dire su mio figlio, Potter, hm? Hm? HM?"
Hermione si schiaffeggiò la fronte, chiedendosi perché mai dovesse badare a quei due nemmeno fossero figli suoi... e non avevano nemmeno un minimo di decenza!
Harry – all'ennesima occhiata assassina di Ron – sembrò ricordarsi per quale motivo erano riuniti lì e arrossì dalla vergogna e la colpa; sospirò, riavviandosi nuovamente quella massa informe di capelli e rovesciò il capo verso George, che si morse le labbra con forza.
Ginny era con suo padre ed era la prima volta che la vedeva così distrutta dopo la morte di Fred.
"Andrà tutto bene... noi siamo forti, ce la faremo" disse James, guardando suo padre con una sicurezza nello sguardo che Harry sapeva da chi aveva ereditato.
James era tutto sua madre, anche in quel cuore forte e indistruttibile.
"Sopravviveremo, come abbiamo sempre fatto" gli diede man forte Dominique, accarezzando il braccio del cugino con un sorriso lieve, che lo fece arrossire.
Rose annuì, stringendo la mano di Fred II con forza, come a volergli trasmettere calore, sicurezza. Rox baciò le nocche della mano di suo padre, mentre l'altra era saldamente ancorata a quella di Molly.
"Ce la faremo" sospirò Lucy, sorridendo a Hugo.
Ed Hermione sorrise, orgogliosa dei suoi bambini – nessuno escluso. –
Erano loro il loro futuro e la loro speranza... loro, così forti e determinati, in grado di prendere il mondo e rovesciarlo, renderlo di loro proprietà.
E ridacchiò, fiera di quella famiglia che ruggiva più di un leone.

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