25. Capitolo ventiquattresimo - Death

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Hermione Granger aveva visto così tanto nella vita... aveva subito così dolore che le sembrava di avere ottanta e passa anni ed essere arrivata al capolinea.
A trentanove anni aveva già combattuto una guerra, perso i suoi genitori e tanti amici – divorziato e ora si ritrovava di nuovo al centro di tutto ciò; ora era una spia ed era in pericolo di morte ventiquattro ore su ventiquattro, senza nemmeno preoccuparsi di poter lasciare soli i suoi bambini.
Le sembrava passato un secolo da quando aveva messo alla luce Rose e Hugo e quello, ne era certa, era stato il periodo più bello della sua vita; la gioia di stringere quei corpicini, essere chiamata mamma e tornare a sperare in qualcosa di migliore.
Tornare a sperare di poter essere migliore. Ma Hermione l'aveva sempre saputo, lei non era stata creata per starsene chiusa in casa – a sperare che qualcuno cambiasse il mondo; lei doveva stare in prima linea. Lei doveva assicurarsi di poter garantire di cambiare il mondo con le proprie forze.
"Visto che se ne stanno chiusi in quel buco di Ministero dalla mattina alla sera, saremo noi ad andare lì" iniziò Diamond, guardandoli ad uno ad uno con una determinazione nello sguardo che fece rabbrividire i presenti.
Hermione, in un certo senso, sapeva di essere arrivata al capolinea. Lo percepì. Gli serpeggiò sotto la pelle come mille serpenti che si muovevano all'unisono e per quel motivo che socchiuse gli occhi e sorrise.
Ah, Diamond credeva davvero che fosse così stupida? Così stupida da non accorgersi che lui aveva intuito qualcosa? O così stupida da lasciare che lui la uccidesse così – come nulla fosse?
Nexus, pensò Hermione, concentrandosi mentalmente e chiudendo le dita attorno la bacchetta.
Nexus, continuò a ripetere nel suo cervello, rilassando i muscoli e cercando di far affluire tutta la sua magia lì... dov'era sempre stata. Nella sua testa.
Ah, Diamond. Credeva davvero di poter mettere nel sacco lei, la strega migliore del suo secolo?
Nexus, e la magia avvenne.
Hermione Granger non aprì gli occhi, ma li tenne socchiusi: nessuno poté vedere l'iride diventare completamente e indissolubilmente nera, come la sclera e la pupilla.
"Attaccheremo tra un mese esatto: porteremo con noi il necessario e faremo ritornare il nostro Oscuro Signore" disse senza maschera sul volto, facendo scintillare gli occhi chiari e storcendo la bocca in un sogghigno.
Urla, ovazioni, bacchette che si incrociavano... e il suo sguardo che si posò su di lei.
"Ma qualcuno non potrà dirlo in giro, non è vero?" cinguettò maligno, strappandole una risatina e zittendo tutti quanti.
Quella stanza che li conteneva tremò: le pareti di pietra quasi si sgretolarono sotto la rabbia di Diamond e le fiammelle sui candelabri di ferro si spensero, lasciandoli alla luce del lampadario di cristallo sulle loro teste; dalle vetrate – alla destra di Hermione – penetrò la luce della luna appena sorta.
"Ho fatto troppo presto a fidarmi, non è vero, Hermione?
Avrei dovuto saperlo che chi nasce Auror... beh, muore Auror, anche dopo tutto ciò che ha subito" mormorò Diamond, alzandosi dalla sedia su cui era seduto e continuando a fissarla come un gatto osserva un topo.
Lei continuava a non muoversi.
"O semplicemente voi Mezzosangue siete troppo stupidi per capire l'importanza del potere!" urlò Diamond, fiondandosi su di lei come un falco.
Hermione cadde all'indietro – rovesciando la sedia su cui era stata seduta fino a quel momento e sbattendo la schiena sulla pietra rude: lui era a cavalcioni su di lei e teneva le mani alla sua gola.
"Noi Mezzosangue saremo anche stupidi, ma anche voi Purosangue non scherzate" soffiò Hermione, ma la sua voce era strana – diversa, cupa.
Diamond non l'ascoltò, non pensò: ah, se solo si fosse accorto che lei evitava il suo sguardo e non per paura. Se solo l'avesse costretta a guardarlo negli occhi avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava.
"Crucio" mormorò Diamond, evitando di sporcarsi le mani e alzandosi prima che dalla bacchetta scaturisse quella luce rossa.
L'incantesimo s'infranse sulla sua pelle pallida, stanca – e la straziò, ma non la portò né ad urlare né ad implorarlo.
Hermione Granger, dopo essere stata torturata da Bellatrix Lestrange, aveva giurato che non avrebbe mai più supplicato il nemico... anche a costo di farlo arrabbiare di più – anche a costo di morire.
"Crucio!" urlò con più rabbia, facendo sbalzare quel corpo sul pavimento ripetutamente, in preda alle convulsioni più violente. In preda ad un dolore che la portò a dilatare le pupille e perdere la connessione che aveva stabilito.
Ma era stata brava: aveva cercato quell'incantesimo in lungo e in largo – ovunque – e quando l'aveva finalmente trovato non ci aveva messo molto ad impararlo; Nexus, così la sua mente si sarebbe connessa con quella della persona stabilita.
Nexus, e Lily Potter era entrata nella sua testa per il nesso di tempo che Diamond aveva proclamato la data dell'attacco.
"Idiota" ridacchiò Hermione, rantolando e riprendendo fiato quando lui abbassò il braccio – nero di rabbia per la sua impassibilità.
"Vediamo se hai ancora voglia di scherzare" sibilò furioso, ripuntando la bacchetta su di lei e sorridendo sadico.
Hermione non aveva mai creduto in Dio, nemmeno quando si era trovata faccia a faccia con la morte a diciassette anni; non aveva mai pregato né tanto meno si era preoccupata di incolpare qualcuno delle disgrazie che le succedevano ogni giorno.
Ma in quel momento si ritrovò a fissare il soffitto e schiuse le labbra, sentendo gli occhi inumidirsi allo sfrecciare delle immagini del viso dei suoi bambini nella sua mente.
"Fractus" bisbigliò Diamond ed Hermione sentì la gamba destra – dove lui aveva puntato la punta della bacchetta – spezzarsi completamente: le ossa scricchiolarono fino a sgretolarsi completamente.
Salva almeno loro, pensò con un singhiozzo fermato a fondo gola.
Non le importava di se stessa. Non le importava un cazzo di salvarsi o sopravvivere, voleva solo che i suoi bambini stessero bene e si costruissero una vita lontana dalla guerra – dal dolore e fossero finalmente felici.
Salva almeno loro, ripeté mentalmente, pensando alla gioia che le avevano dato Rose e Hugo.
"Fractus!" strillò ancora Diamond e questa volta la bacchetta vigeva verso il suo bacino. Hermione non riuscì a non urlare e arcuò le dita sulla pietra, ignorando il dolore che le procurarono le unghia quando saltarono uno dopo l'altro.
E lui. Oh sì. Perché Dio, chiunque fosse – ovunque fosse – doveva salvare anche Malfoy o sarebbe andata lì su e si sarebbe fatta valere.
Lei aveva lottato per tenere il culo di Malfoy ben vivo e ora non poteva andare tutto all'aria: Draco doveva sopravvivere e ritornare con Astoria. Hermione lo aveva stabilito da tempo, da quando aveva solo diciassette anni.
"Va all'inferno, stronzo" sputò con la bocca insanguinata, rantolando per il dolore.
Faceva fatica a respirare e sapeva... sapeva che la fine era lì, così vicina da poterla odorare. Così vicina da poter sentire le mani gelide della morte sfiorarla.
"Tu ci verrai con me" sussurrò Diamond, drizzando le spalle e sorridendo incattivito.


Quella sera Hermione Granger non tornò a casa e Draco Malfoy, guardando gli occhi vuoti di Lily, capì che probabilmente non sarebbe tornata mai più.

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