Capitolo 19

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"Fate splendere le luci di questa città"

Se la notte era stata vissuta in tutta calma, cullati dalla benedizione del sonno che Aere Caeli prometteva di proteggere, non potevano dire lo stesso del risveglio, divenuto brusco come pochi. Sì, perché proprio a causa dell'arrivo tempestivo di Michael nell'albergo dove tutto il gruppo, tranne Ársæll soggiornava, egli letteralmente si fece sentire come una furia, impartendo ordini a destra e manca a chi stava fuori, sicuramente a dei suoi sottoposti. Per questo motivo, tutti uscirono dalle stanze, decisamente frastornati, e nel vedere l'Aoiveal alle prese con il suo essere leader già di prima mattina, faceva intendere che le cose fossero precipitate esponenzialmente. «Che succede, Michael?» disse Aesir, stropicciandosi gli occhi con palese foga. «Ci hanno colti impreparati. Loro sono qui, alle porte di Aere Caeli» rispose l'uomo, senza neanche degnare uno sguardo agli altri. Andò oltre, facendo intendere che di tempo non ve ne fosse per capire cosa stesse accadendo. Ma già solo dal tono secco che aveva usato, la situazione era chiaramente critica. Ársæll era giunto da loro un paio di istanti dopo, e tornando nel corpo di Ragnar, disse loro tramite la sua bocca:«Gli Yıkımran ci hanno seguiti fin qua, in qualche modo» al solo sentire il nome di quella Fazione, tutti quanti emisero la stessa esclamazione, in un crescendo di preoccupazione:«COSA?!» non vi erano altri modi per esprimersi, assolutamente. Così, già imbracciando le armi, i sette scesero tra le strade celestiali, vedendo proprio come una schiera infinita di soldati, Aoiveal e quant'altro fossero già in posizione, chi via terra e chi volando. Era una scena da brividi, soprattutto per un luogo così benevolo, pacifico: nessuno si aspetterebbe che la guerra giungesse alle porte della casa della Procreatrice. «E così ci beccheremo il nemico principale sin da subito, eh?» commentò Lucifugo, guardando la sorella, la quale brandiva la sua falce con una ferocia inaudita. Magari era la più giovane, ma il suo sguardo mostrava la più pura della collera demoniaca. «Sì, e non vedo l'ora di affondare la mia lama nelle sue carni. Andiamo» rispose seccamente lei, quasi come se avesse previsto quello che pure la madre avrebbe detto un secondo dopo:«Andiamo là» e sospinti da non uno, da due medesimi ordini, il gruppo marciava con rapidità verso le porte del regno, vedendo come gli Aoiveal più forti fossero lì, con Michael a capitanarli, come giusto che fosse. E lì, a braccia conserte, sbattendo le sue ali con una lentezza che faceva intendere unicamente la sua apprensione, vi era anche colei che quel regno lo comandava con amore, da madre più che da regina. Eksarhiel era lì, guardando l'entrata di Aere Caeli con la coda dell'occhio, e sospirando una sola volta, a simboleggiare il suo disappunto.
«Madre, come procede là fuori?» domandò Michael, chinando il capo dinanzi alla Procreatrice, e così anche gli altri alla vista di Lei, tra loro. «Male, Figliolo, lo sai. Stanno cercando di sfondare le porte» il messaggio era più che chiaro, risonante come mortifero alle loro orecchie. Il suono si fece più chiaro man mano che il tempo avanzava sempre più verso venti di una guerra incombente, con dei colpi molto insistenti, forti, andanti a fare da gran cassa contro le grandi porte del regno. Tremavano, scricchiolavano per la pressione che dovevano sopportare, e Lei mostrava uno sguardo cupo, come preannunciante l'ecatombe al quale avrebbero assistito se non avessero agito. Ma poi, quando il primo segnale di cedimento si fece sentire, lo spirito da sovrana prevalse su quello da madre e da dea dallo spirito protettivo, con Eksarhiel che si innalzò in volo, con leggiadria, brandendo una spada avvolta da una luce fuori dal comune. Quella spada, nel quale era risiedente lo spirito più puro che gli déi avessero mai potuto posare gli occhi. Ella atterrò sopra le porte traballanti, guardando oltre queste, a novanta metri da terra, senza esalare un respiro. Non vi era niente da dire, perché il silenzio, ora come ora, valeva quanto l'oro. Vedeva quegli Yıkımran usare degli arieti fatti in chissà che modo per abbattere la prima difesa del regno, e là dietro, a braccia conserte, con una spada dorata dietro la schiena, vi era quello che, forse, era proprio il nemico più importante. Eksarhiel lo riconobbe all'istante, e mentre cercava di stare con i piedi saldi sulle porte, la spada brillò di una luce bianchissima, la quale poi fece piombare un fulmine a ciel sereno su chi era alle prese con gli arieti, paralizzandoli al suolo, senza possibilità di replica. «Solo quando esalerò il Mio ultimo respiro, vedrò queste porte cedere. Aere Caeli non si tocca. Tornate da dove siete venuti, se ci tenete alla vostra vita» disse Lei, con un tono solenne e autoritario allo stesso tempo, mentre le Sue ali si agitavano rabbiose. Non avevano mai sentito né visto la Dea così nera d'ira come ora, ma non poteva essere altrimenti, con qualcuno che cercava di distruggere la casa di Lei e del Suo popolo. E non importava quanto gli scricchiolii fossero forti: la Procreatrice avrebbe contato i danni solo alla fine. E guardando proprio a quello che si presupponeva di essere il capo della Fazione del Caos, ella puntò la lama a questo, con un gesto di sfida, dicendo ancora:«Semeyaza, tu che hai ridotto in cenere la tua eredità divina, andando contro ai princìpi che Lui ti ha donato, ancora cerchi vendetta? A quale scopo?» se da un lato ancora gli Yıkımran cercavano di ricomporsi dopo il colpo subito, e dall'altro con l'attesa di un possibile nuovo assalto, a supporto della regina, vi era lui, Semeyaza, che invece era il più tranquillo, guardando verso Eksarhiel con un'espressione illeggibile al momento. «Madre, tu sai benissimo il perché io sia qui. Ho bisogno di risposte, certezze, e se collaborerai con quello che sarebbe il tuo terzo figlio, allora risparmierò Aere Caeli dalla sua distruzione» la sua era una minaccia molto silente, pacata, ma dalla caratura semplicemente apocalittica. Ognuno degli arcieri posti come vedette lungo le mura puntarono gli archi contro di lui, ma non se ne preoccupò affatto: era la Procreatrice il vero motivo per il quale lui si trovava lì. «Io non capisco. A cosa devi arrivare con la caduta del Mio regno?» rispose Lei, ovviamente non dando corda a quelle che erano le condizioni del figlio. L'aveva tradita già una volta, e di certo non l'avrebbe permesso ancora, non davanti a tutti loro, e con anche Michael all'ascolto, pronto a combattere. Semeyaza agitò una delle sue bianchissime ali, mentre la sua armatura tintinnava per il movimento, a simboleggiare come fosse pronto alla lotta. «Sai benissimo cosa voglio: voglio la mia vendetta. Voglio raggiungere quel Regno, così da poter rimarcare la mia parola, una volta e per tutte. In settanta generazioni ci avete abbandonati, senza più una minima parola, e adesso siamo noi a voler fare la voce grossa, a chiedere rispetto. Quella spada... so cosa contiene» se nel suo discorso non vi era altro che un chiaro senso di guerra pronta ad essere dichiarata, l'ultima frase fece rizzare ogni piuma delle ali di Eksarhiel. Ella infatti guardò l'arma che impugnava, la quale rifiulgeva di una luce divina, fuori dal comune: sapeva a cosa gli serviva. «Non andare neanche oltre, perché non cederò la Spada della Speranza a te, Semeyaza. Non dopo tutto quello che hai cercato di fare durante quella Guerra» rimarcava, con un tono sempre più focoso, ricco di spirito protettivo nei confronti della Sua gente e dell'arma stessa. Lì vi era un potere indicibile, se non direttamente l'essere più potente che fosse mai stato visto e concepito, e mai, neppure con la morte, avrebbe ceduto questo artefatto. L'angelo caduto sorrise da sotto l'elmo, risuonando in una risata inquietante, prima di dire, incupendo:«E allora, se non me la vuoi dare tu, me la verrò a prendere con la forza. Abbattete quelle porte, e uccidetela!» all'ordine impartito da Semeyaza, gli Yıkımran si rimisero all'opera come all'improvviso, sbattendo quegli arieti contro l'entrata al regno. No, Eksarhiel non ci stava, alzando un grido di battaglia al Suo popolo, il quale all'unisono fecero per attaccare quella Fazione. Inutile dire che anche il gruppo avrebbe agito di conseguenza, con Anachiel che, palesemente legatissima a quel regno, in quanto essa stessa una dea, figuriamoci per Thaéris e per la vicina Aesir, furono le prime ad assalirli, in uno schieramento palesemente riprovato la sera prima con Michael. Le tre divinità agivano in sincronia, con Thaéris a supporto delle due spadaccine, puntando esattamente a quelli che stavano sfondando le porte di Aere Caeli, oltre ad agire a chi stava venendo in contro a fermarle. Sia Eksarhiel che Semeyaza rimasero nelle loro posizioni, in silenzio, come a studiarsi, pronti entrambi a fare il loro ingresso nella lotta. «Non vuoi scendere da lì, eh? Non senti come cigolano, traballano sotto i tuoi piedi, Madre? Sei sicura anche di stare di faccia al pericolo?» commentò lui alla madre da lui tradita, sogghignando maliziosamente a quella vista così soddisfacente, oltre che folle. Lei non si scompose di un centimetro, quasi come se sotto di sé non vi fosse altro che il terreno più solido, e disse in risposta, stringendo il manico della spada con un po' più di forza:«Sono più sicura di quanto credi, Semeyaza. Non credere che Io tema ciò. Vieni, affrontami tu stesso qui, se ci tieni a prenderti questa spada» ci stava al combattere suo figlio, soprattutto dopo quello che sapevano che aveva fatto. Non avrebbe sfigurato in quel senso, e una lotta così ad alto rischio sarebbe stato anche un bello scenario. Lui sembrò abboccare all'amo della guerra, e subito si materializzò sulle porte, con la sua spada dorata che ne graffiava i dettagli sotto. Il suo sorriso era malevolo, e anche se sembrava consenziente al combattere in queste condizioni, sicuramente avrebbe fatto di tutto pur di prendersi ciò che voleva. «Solo perché lo hai chiesto tu, Madre. Non volerò via: sono un guerriero con un certo onore, io. Cadremo assieme se queste porte crolleranno» sembrava giurarle questo, con anche un cenno del capo, a far intendere che non stesse scherzando. Ella inarcò un sopracciglio, sorpresa ma sicuramente più rassicurata del fatto che lui era un tipo onorevole, pur se corrotto dal peccato della vendetta. «Ci sto, hai la Mia parola che neanche Io volerò via» rimarcò la promessa, portandosi una mano al petto e, annuendo, mettendosi in posizione, per quanto poco fosse possibile.
Se mai vi fosse stato un singolo momento in cui i due avrebbero desistito dal combattere in modo così precario, di certo non lo avrebbero più neanche contemplato. Semeyaza fu il primo a scagliarsi in avanti, con un'aura oscura che avvolgeva la sua scintillante lama, in una visione in negativo di quello che un tempo proteggeva il Regno dei Cieli. Il primo fendente lasciò una scia malevola, un simbolo della furia omicida che il terzo figlio della triade dei nati dai due Déi provava, puntando dritto ai fianchi di Lei. Non si scompose di un millimetro, incrociando le lame con una forza inaudita, fino a sollevarla come se niente fosse, e prima che potesse contrattaccare, Eksarhiel aprì la mano libera, con un fascio lucente che investì il capo degli Yıkımran, finendo dritto contro la parete alle sue spalle, di schiena. I battenti tremavano violentemente per l'urto, quasi minacciando di cedere sotto il peso, in un gemito disperato. Ma Lei, guardando oltre il pericolo, sarebbe andata avanti, procedendo a passo spedito sulle porte prima di ritrovarsi un istante dopo Semeyaza addosso, ad ali aperte e con rinnovata ira. Ovunque potevano vedere quel ballo della morte come se mai potesse finire, in un tempo indefinito per il quale loro avrebbe combattuto. Proprio quando i due continuarono lo scontro, emanando svariate onde d'urto attorno a loro a causa dei colpi di spade, l'angelo caduto parve in grado di fare breccia per un istante nella difesa sovrumana della Dea, puntando in avanti con la lama e, in qualche modo, aprendole un taglio sulla guancia sinistra. Un piccolissimo rivolo del suo sangue dorato scorse lungo la pelle, ma ella non sembrava preoccuparsene, guardando in direzione di Semeyaza con un ghigno. «Evidentemente ti vedo più umana di quello che pensassi, non è così?» disse lui con fare beffardo, agitando le ali, in uno spostamento d'aria tumultuoso, quasi come se fossero avvolte da una tempesta impellente, e invisibile. Eksarhiel roteava la spada con un'evidente senso di continua voglia combattiva, fronteggiando il suo nemico con orgoglio, il Suo incrollabile volere di proteggere il regno non l'avrebbe mai neppure fatta smuovere, nel dolore. «Taci, e combatti. Non ho ancora finito con te» rispose, prima di avventarsi contro Semeyaza con una rapida successione di colpi, sfruttando sia la lama che i poteri come meglio poteva, andando a sfruttare i momenti in cui avrebbe potuto agire meglio per rispedire indietro l'Yıkımran. Ogni colpo, come ogni espressione lucente del Suo essere parevano alimentarsi di una forza ancora superiore alla propria, issandosi sempre più nel totale controllo della situazione, vedendo come Semeyaza pareva incapace di rispondere al Suo assedio.
Nel mentre, a terra, il gruppo combatteva con ferocia e metodicità tutti coloro che erano al servizio del terzogenito caduto, di Dio, in una cacofonia di ruggiti demoniaci, fendenti e schizzi di sareste a profusione, zampillanti a non finire sul sacro terreno, con già dei corpi maciullati, rantolanti nella giungente morte, dovuti al massacro al quale stavano rendendo grazie, come un omaggio al gioco al quale il dio guerra aveva riservato loro. Seguire gli Aoiveal era quasi un onore per loro, sapendo la capacità di questi di coordinarsi con una semplicità ed efficacia impareggiabili, mentre Michael agiva sempre con qualcuno a supporto, parandosi le spalle per tutti coloro che avessero cercato di avvicinarsi per agguantarlo da dietro. «Ganuchede, Faurnes, datemi i riscontri dalle zone tre e quattro, subito» ordinò l'Arcangelo ai suoi sottoposti, intanto che l'ennesimo Yıkımran crollava al suolo per causa della sua divina lama. L'Aoiveal proveniente da Metnal, Faurnes, gridò sopra il perpetuarsi di metallo sfregante l'un l'altro e di grida di lotta, morte e quant'altro:«É tutto sotto controllo! Li stiamo tenendo a bada con anche Aesir e Anachiel a supporto!» così era, infatti, con le due dee che si erano prese i due lati opposti per ampliare la presenza del gruppo per quanto possibile, con la Dea delle Tempeste che, a differenza dell'Erdester, combatteva in modo sfrontato, guardando il nulla se non ogni singolo nemico che le si sarebbe parata davanti. Solo il suo respiro e i suoi movimenti rapidi e precisi facevano intendere che fosse lì, perché altrimenti sarebbe parsa invisibile per quanto fosse veloce e letale. «Molto bene, stiamo procedendo come da piano. Ora dobbiamo solo aspettare che mia Madre tiri giù quello, e poi finiremo questa follia così com'è iniziata. IN GUARDIA!» mormorò tra sé e sé Michael, prima di intonare il suo grido di lotta al massimo della sua forza, scagliandosi contro una serie di Yıkımran, portandoseli a sé prima di far partire un'esplosione tagliente al minimo battito delle sue ali, e un secondo dopo roteando su sé stesso, affettando i corpi indifesi come se niente fossero, facendo vedere quanto superiore fosse a tutti quanti loro. Aveva più sangue dei suoi nemici addosso alla sua armatura che proprio a terra, che letteralmente era pari a zero. Voltandosi indietro, poi, poté vedere con sua sorpresa come Ársæll, uscito dal corpo di Ragnar per un attimo, fosse arrivato da lui, sporco di quel liquido scarlatto, dai capelli fino alla vita, oltre che alla bocca, ad indicare quanto fosse stato cruento, pure. Sorrise, dando una pacca sulla testa del demone, mentre i due, quindi, diedero una vera e propria lezione a tutti gli altri, intervenendo a sostegno dei loro alleati, in un tripudio di luce e ombra, di energia paradisiaca e infernale, unita nell'armonia che loro avevano stabilito tra le anime dei due guerrieri, apparentemente opposti in ogni cosa. Potevano solo alzare lo sguardo, vedendo come ovunque la lotta imperversava, continuava senza sosta, quasi come se il tempo scorresse unicamente lì, e da nessun'altra parte.

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