Capitolo 28

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"Una scossa, e tutto va giù"

Fu una cena prettamente composta da risate e chiacchierate spensierate, quelle di chi sapeva di poter sentirsi tranquillo. La loro mente procedeva verso un bel riposo che li avrebbe, poi, condotti al giorno successivo, pronti per quello che avrebbero dovuto conseguire, dai Vendehas guidati da Chayton. Solo la luna faceva da occhio vagante nel firmamento, e le stelle come spettatrici silenziose rispetto a ciò che poteva esser visto e anche commentato. Loro vivevano questa serata con la consapevolezza di star facendo la cosa giusta, prima di finire nell'ennesimo momento di burnout fisico, a causa dell'assillo chiamato Yıkımran.
Ora, nelle loro tende, adibite per far stare il gruppo intero al riparo dalle temperature più fresche, decisamente meno invivibili di quelle cenniane, ma comunque non da scherzarci su, erano rannicchiati nei sacchi a pelo, non avendo di meglio per il momento, sapendo del degrado che il Royalnic stava attraversando.
Thaéris e Aesir stavano una abbracciata all'altra, a riscaldarsi più profondamente con l'ausilio delle ali, oltre ad aver modo di confortarsi per quello che avrebbero vissuto il giorno dopo. L'Erdester era come un peluche per l'Ordine, la quale teneva la testa su quella di lei, sonnecchiando beatamente, quasi senza far sentire il suo minimo respiro. Aesir poteva dire di sentirsi al sicuro con lei, di certo... se il mondo non volesse che far sentire la sua presenza, nel suo modo più cruento.
Infatti, non passò molto oltre l'una di notte che, in una tenda adiacente a quella delle due dee, Ragnar era ancora pienamente sveglio, guardandosi attorno quasi con fare impaurito, percependo qualcosa che, invece, Lucifugo non poteva sentire, essendo bellamente nel mondo dei sogni. Si guardava a destra, a sinistra, come se vedesse le ombre di chi potesse fargli del male, emettendo mugugni canini, molto lievi. Il mezzo lupo sapeva cose che, forse, nessuno di loro poteva anche solo immaginare, anche per via della sua ipersensibilità a ciò che lo circondava. Guardò poi il suo compagno, con un'espressione davvero mogia, senza un briciolo di tranquillità per dormire. Pensava se svegliarlo e chiedergli un po' di supporto, ma proprio quando si chinò verso il suo lato, non fu lui a tremare per via del freddo, cosa che lui non poteva minimamente sentire, ma fu ciò che vi stava sotto. Fu improvviso, come un fulmine, solo che si tratta di qualcosa di sotterraneo, di talmente profondo che avrebbe potuto scuotere il pianeta intero. Fu lì che emise un guaito di paura, sentendo la terra stridere sotto di sé, alzandosi di scatto. Persino il Principe parve lesto a svegliarsi, sentendo questo spostamento improvviso, e nel levarsi dal sacco a pelo, egli non disse niente se non uscire dalla tenda con Ragnar al suo fianco, il quale guaiva a non finire, pur se nella sua forma umana. Non vi era nessuno che non fosse uscito, venendo svegliati di soprassalto nel cuore della notte. «Ma che diavolo sta succedendo? Elemiah, da quando vi stanno terremoti nel Royalnic?» domandò rapidamente Anachiel all'Emirkhan, con questa che, un po' intontita a causa del momento, scosse il capo, a dire che non ne avesse idea. Quello non era solo un terremoto, ma un messaggio proveniente da Rechlan stesso, quasi come se si stesse risvegliando a sua volta per volgere le sue parole, rimbombanti come solo un pianeta in un terremoto poteva fare. Solo che, tale scossa, non pareva affrettarsi a dissiparsi in qualcosa di leggero, ma proseguendo nella sua furia dal profondo, con alcune delle case attorno, più vecchie e accidentate, che non poterono far altro che collassare sotto il proprio peso, come fossero fatte di carta pesta. Vi erano urla in ogni dove di gente che si riversava in strada per cercare protezione, sotto il cielo stellato: letteralmente l'unico silente guardiano sulle loro vite che, altrimenti, sarebbero solo ad un passo dallo spezzarsi come quei muri, come tutto ciò che stava via via crollando. Lucifugo dovette prendere il compagno per le guance, e avvolgerlo in un'ala per evitare che guardasse, ma trovandoselo praticamente in braccio, poteva davvero comprendere quanto fosse terrorizzato. «Tutti quanti, state il più lontano possibile dagli edifici. Questo terremoto non è affatto qualcosa di normale» ordinò Thaéris a chi era già fuori, salvo da ogni tipo di pericolo, nel mentre che, nella distanza, tutti poterono sentire il forte corno di Chayton risuonare nel buio della notte, ad indicare che pure i Vendehas avevano subito questo risveglio brusco. Solo... Aesir pareva quella più tranquilla, ma visibilmente provata, quasi come se quella scossa non fosse altro che un qualcosa di personale, che le faceva male fisicamente. «Cennet... non sta solo tremando... sta cedendo, lentamente. È successo qualcosa, ma non qui, ma in tutto il continente, da qualche parte» il suo tono faceva presagire soltanto al peggio, e non solo per le parole nefaste che stava tirando fuori. Lei, più di chiunque altro, poteva sentire la sofferenza di un continente, essendo la Vita stessa qualcosa di legato strettamente ad un luogo tangibile, come la terra di Aesir, per dire. Tutti la guardarono con il cuore in gola, sentendo la sua sicurezza come una sventura, una maledizione che loro non potevano spezzare in alcun modo. E c'era sofferenza, tantissima, soprattutto in una come l'Erdester. Certo però, era che Anachiel non riusciva a capacitarsi dei termini usati da lei, e chiese letteralmente con gli occhi spalancati per la spiacevole sorpresa:«Cosa intendi per "cedendo"?! Il continente si sta... affossando da solo??» lei non rispose, come se non avesse bisogno di farlo, lasciando uscire solo un sospiro di chi sapeva cosa stava accadendo. E così, lei procedette nel silenzio, poco più avanti rispetto al gruppo, e abbassando lo sguardo su quel terreno instabile, quasi sul punto di spaccarsi come tutto ciò che si era già fatto trascinare a terra, una folata di vento le colpì il viso, facendo scioglierle i capelli in un'onda di bianco e turchese, con i suoi tatuaggi che presero a risplendere di quest'ultimo colore. Il suo Iaidon, quindi, le apparve in mano, ma senza divenire quella scintillante spada che usava egregiamente in battaglia, ma inginocchiandosi a terra, portò quella singolare chiave, il simbolo del suo potere da Erdester, proprio lì dove sembrava che il continente stesse patendo. Si illuminò, proprio della medesima gradazione di turchese che avevano i tatuaggi della donna, e un susseguirsi di lampi lucenti si mostrarono dalle profondità di Cennet fino a che, all'improvviso, lei non disse una frase, un qualcosa che non poteva esser tradotto in alcun modo, letteralmente:«Hàra neorí, ur Dhýccadéa» nessuno poteva provare a comprendere anche solo una sillaba di quello che uscì dalla sua bocca ma, apparentemente, sembrò aver effetto, in quanto il terremoto andava lentamente a placarsi in un sibilo di sconfitta, fino a dissiparsi del tutto. Aesir rimase ad occhi chiusi, riafferrando il metallo dello Iaidon prima di farlo sparire in una lieve brezza, e nel rialzarsi, disse ancora:«Dovrebbe star bene per un po' di tempo, anche se non ho idea per quanto, di preciso» praticamente, per la prima volta tutti quanti loro ebbero avuto la dimostrazione di come un'Erdester agiva in maniera diretta su un continente, e lei aveva fatto sicuramente un lavoro egregio. Aveva protetto Cennet intera, e ora accennando un sorriso, faceva capire che, per il momento, tutto era sotto controllo. Per un attimo pensarono anche di chiedere se lei stesse bene, ma neanche lo fecero perché ella, con un cenno del capo, indicava che non vi fosse nulla di cui preoccuparsi. Thaéris però la tenne sotto braccio, e guardandola con stupore, e forse anche un po' di orgoglio nel vedere come la sua compagna avesse fatto questo in modo così tempestivo, disse:«Come sempre, rimani un'Erdester davvero potente, amore. Ed ecco perché avrò sempre fiducia in te» le diede anche un tenero bacio sulla guancia, con la dea che sorrise di buon grado, salvo poi ritrovarsi gli altri a chiedere se tutto, davvero, fosse apposto. «Tranquilli, tranquilli! Ora è tutto sotto controllo. Solo... è difficile da spiegare senza che vi allarmiate in due secondi. È un qualcosa che, a parer mio, mai era successo a Rechlan» provò a rassicurarli, pur essendo lei stessa non certa del perché ciò fosse accaduto. E poi, se davvero quel presagio così distruttivo era veritiero, perché non ci aveva pensato Cennet stessa ad evitarlo? Non l'aveva sentito? Anche queste domande sembrerebbero passare in secondo piano, soprattutto nel sentire chi ancora piangeva per aver perso tutto, chi anche dei cari, con i cuori dei più sensibili che sprofondarono di sei metri nell'oscurità di chi, comunque, sentiva quell'essere affranto anche in loro stessi. Nessuno poteva far niente, ma proprio per questo, Aesir non demorse nel vedere le lacrime, ma invece si fece avanti, come l'Erdester della Vita che rappresentava con orgoglio: lei proteggeva chi ne aveva bisogno, mettendo tutti quanti al primo posto, anche oltre sé stessa. Era uscita allo scoperto ormai, e dalla sua tana non sembrava voler far altro che starci lontana.
Raggiunse quindi coloro che erano rimasti sfollati, dando volentieri una mano a recuperare chi era rimasto sotto le macerie, oltre a dare una parola di conforto a coloro che ne avevano bisogno. Era da considerare un angelo sceso in terra, in quel momento, e più che mai stava facendo valere il suo essere come qualcosa di vitale per il pianeta.
Non ci mise molto a concludere il suo lavoro, e chi invece pareva non avercela fatta, come un miracolo che solo un dio, anzi, una dea, poteva fare, fu Aesir a dar a questi una seconda possibilità, letteralmente ridonando la vita a chi l'aveva persa. «A voi che la vita potete abbracciare con serenità, Aesir Decadia sarà sempre tre metri sopra il cielo di chi ne professa la verità. Risorgete, e unitevi all'albero dorato quale è la Vita stessa» parole più divine di queste, propriamente, non ve ne potevano essere. Pareva lei a fare da messaggera per chi, lassù, risiedeva, pur essendo chi, comunque, poteva fare qualsiasi cosa per Rechlan, a prescindere da dove fosse, e a chi. Letteralmente, nessuno di quelli che ebbero avuto il piacere di vederla all'opera in questo suo miracolo riusciva a comprendere cosa diavolo fosse successo, se non chinando il capo, e ringraziando Aesir per la sua presenza. Lei sorrideva, felice di come avesse avuto, almeno, la possibilità di aiutare chi aveva versato lacrime, oltre a dar loro qualcosa di nuovo. Infatti, facendo apparire per loro un varco candido, disse, facendo vedere il suo sorriso dolce, quasi materno:«Royalnic non è attualmente sicura, ma sono certa che il Gözlerüt, l'Haylqasas e il Namadani siano ben disposte ad ospitare chi ne ha bisogno. Fate il nome di Aesir, e le porte per la salvezza vi si apriranno davanti. Fate buon viaggio, e soprattutto, sogni d'oro a voi» loro, strabiliati dalla carità la quale aveva mostrato la dea, non potevano che esser grati a vita per questo, e quando furono tutti oltre il varco, la salutarono con la mano. Lei fece lo stesso, sempre con quell'espressione rilassata, prima di chiudere il legame spaziale tra i vari luoghi qui e là per Cennet.
Perciò, quando si assicurò che tutti fossero al sicuro, Aesir tornò nuovamente dagli altri, dicendo quindi:«Direi che possiamo tornare a riposarci. Dovremmo essere apposto, adesso» aveva senso, essendo che quasi stettero per dimenticarsi di quello che avrebbero dovuto fare poi la mattina stessa. Rientrarono tutti nelle tende, ma guardando l'Erdester un'ultima volta, con dei sorrisi grati per il suo intervento: davvero, questo era stato il momento della sua consacrazione, del suo ritorno a ciò che realmente rappresentava per il pianeta.
Finalmente quindi, potendo tornare al caldo nel sacco a pelo, Thaéris fu la prima ad avvicinarsi ad Aesir, rannicchiandosi contro di lei. «Aw, da quando sei diventata così tenerona, mia dea?» commentò lei, ridacchiando nel vedere l'Ordine stringersi al suo corpo. Pure questa sogghignò affettuosamente, prima di scoccare teneri baci sul volto dell'Erdester, dicendo poi:«Questo è per aver fatto uscire il te da Erdester, piccolina mia. Sono rimasta senza parole, davvero, e per questo motivo, meriti anche le mie coccole, per un pochino» sicuramente non era solo per quello, ma anche per il fatto che, forse, non poteva prender più sonno a causa di quello che era successo pochi minuti prima. Però, sentendosi più che contenta del fatto che Thaéris la pensasse così, come una ricompensa per aver fatto valere il suo essere divino, allora poteva solo che assecondarla, avvolgendo le braccia attorno alla dea. «E coccole siano, amore» mormorò quindi vicino alle sue labbra, guardandola negli occhi, sempre con quel sorriso dolcissimo, innocente a dirla tutta.
Fece quindi per chiuderli quegli occhi turchesi, così come anche Thaéris rimarcò, oltre al contatto a pelo con i loro esseri, in un miscuglio di respiri compiaciuti, innamorati. La sovrana degli Emirkhan raggiungeva le ali dell'Erdester, afferrandole e accarezzandole entrambe con una sola mano, passando le dita tra le piume come se fossero il suo manto, la sua coperta per l'inverno. Aesir mugugnò quindi, lasciandosi andare un po' a quell'espressione di affetto, stavolta anche memore di quelle che furono le sue coccole in quel caldo letto che avevano occupato nel palazzo di Anachiel. Infatti, le sue gambe andavano a intrecciarsi con quelle di Thaéris, strofinandole con delicatezza intanto che le due, ora alzando il ponte creato dalle loro lingue, si guardarono con una mano sulla guancia dell'altra. Erano felici, sicuramente, e con Aesir che adesso strusciava piano piano un piede contro quello della dea, come a ribadire come ormai fosse contenta di fare qualunque cosa volesse la sua compagna, fu proprio l'Erdester a mostrare ciò che provava, più di ogni altra cosa: la libertà. La libertà di vivere, precisamente. «Quanto sei bella, Aesir. Così dolce, e non importa ciò che qualcuno potrebbe dirti: tu, dentro e fuori, sei un gigante, una creatura invincibile» mormorò Thaéris, passando un pollice contro la gota della Vita, mentre quest'altra proseguiva con il suo movimento piacevole. Erano termini che lei riconosceva come propri, e che la facevano stare davvero bene, senza alcun tipo di dubbi. Da sotto il sacco a pelo, intanto, prese una delle mani della fidanzata nella sua sinistra, e intrecciando le dita con quelle sue, rispose, dicendo:«Se io sono bella totalmente, tu sei semplicemente sublime, una vera opera d'arte, Thaéris. Fossi un quadro, avresti un valore inestimabile, e posso dire che il museo in cui sei affissa, beh... è il mio cuore. Tu, amore, sei la mia notte stellata» era difficile dire qualsiasi cosa senza piangere di gioia, soprattutto per come lei, comunque, era riuscita a cambiare i suoi modi di vivere, di relazionarsi. Era realmente cambiata, e lo si vedeva dalla franchezza con la quale la sua poesia veniva pronunciata, anche con un che di magnifico, citando l'arte per come meglio poteva riconoscerla. Le due ripresero quell'unione con ancora più intensità, a simboleggiare come il loro amore valeva davvero la vita stessa, con entrambe che si abbracciavano, si coccolavano, si tenevano la mano come se fossero una l'ancora di salvezza dell'altra. E le loro gambe, ora avvinghiate una contro l'altra, coi loro piedi che si sfregavano dolcemente sotto la coperta, andavano a completare il loro legame che, di per sé, non aveva bisogno di lussuria né tantomeno termini più schietti. Il loro amore era sincero, basato totalmente su quanto si ammirassero a vicenda, non potendo in alcun modo sovrastarsi. Erano fatte l'una per l'altra, pur nel loro essere caste, pure sotto ogni concetto.
«Ne vuoi ancora uno, prima di tornare a dormire, tesoro mio? Mi piace passare del tempo con te così, abbracciata alla mia dolce dea, a fare piedino con chi davvero so di potermi fidare ciecamente, e alla quale darei la mia stessa vita, pur di farla felice» chiese ancora Thaéris, davvero non riuscendo in alcun modo a scollegare la testa per tornare a riposare. Aveva bisogno della sua Erdester per farlo, e sapendo come si sentisse bene a stare in sua compagnia, di certo ad Aesir avrebbe fatto più che piacere. «Mhm, volentieri, amore. Visto che ti piace anche fare questo, non mi dispiace continuare» disse appunto la Vita, agitando le dita contro quelle dell'Ordine, solleticandole con fare affettuoso. Proprio questa rise poco per evitare di farsi sentire dagli altri, sapendo che ormai erano le uniche ancora sveglie, e nell'accogliere Aesir sotto le sue soffici appendici piumate, ripresero il bacio con tenerezza, anche continuando con il loro innocente gioco. Thaéris sfiorava con le dita, le piante della sua amata, prima di usare un alluce per sfilarle uno dei calzini. Le due risero gioiosamente a questo, con l'Erdester che semplicemente la lasciava fare, accoccolandosi l'una contro l'altra, e con le loro ali che fecero da piccola capanna per entrambe, Aesir mormorò dolcemente all'orecchio dell'Ordine, notando questa, dopo un po', assopirsi con un sorriso:«Buonanotte, mia splendida dea. Sii tu l'ordine nei miei sogni, che tanto vorrei fare con te» le lasciò un ultimo bacino sulla guancia, prima di mettersi a mo' di gatta, raggomitolata nelle piume della sua amata, finalmente riuscendo a prendere sonno in modo egregio. Era così felice che talvolta lei mormorava parole amorevoli, mentre dormiva: Aesir, con Thaéris, era un'Erdester libera.

Il sole, già ben visibile da sotto la lieve nebbia che mai cessava di essere presente attorno alla tribù dei Vendehas, faceva da scenario meraviglioso per quello che sarebbe stato il compito principale. Avrebbero dovuto aspettare Phiran o Chayton per capire meglio come agire, e proprio quest'ultimo, con un qualche strano tipo di aggeggio nero, appiccicato al collo, si rivolse a loro nella loro lingua, sotto lo stupore generale:«Buongiorno a tutti voi. Phiran mi ha lasciato questo... affare, per permettermi di parlare con voi, senza stare a tradurmi. Beh, posso dirvi che abbiamo alcune notizie, anche dopo quello che è successo stanotte, e noto pure con piacere che state tutti bene» quel corno che ebbero udito la notte precedente era quindi chiaramente il suo, a dimostrazione di come quel terremoto avesse fatto danni un po' ovunque, come già ribadito in modo nefasto, preveggente da Aesir. «Aspetta un attimo, Chayton... che è successo stanotte? Io ero tornato ad Aere Caeli che erano le dieci di sera» domandò Michael, effettivamente assentatosi per questioni personali, la sera prima. Non poteva sapere che un qualcosa del genere fosse accaduto in sua assenza. «Err, te ne parleremo più tardi. Ora pensiamo alle cose più importanti» replicò Anachiel con un tono abbastanza nervoso, quasi imbarazzato all'idea di dover fare il riassunto di quanto successo. Pure il leader tribale sospirò, prima di andare dritto al punto:«Uno dei miei uomini ha notato, in lontananza, quella che sembrava essere... una struttura volante. Ora, cosa fosse, non chiedetelo a me né a nessuno perché non ne ho idea. Ma sono certo che non stesse scherzando, in quanto ha una vista da falco» particolare come punto da riferire, soprattutto con qualcosa di ignoto che poteva aggirarsi nei cieli del Royalnic. «Sembra qualcosa di molto grosso, se è stato visto dalla cima dei monti. Potresti per caso dirci, più o meno, una conformazione?» domandò quindi la giovane Lucistos, con Chayton che, rimanendo un attimo per le sue, ci pensò su prima di dire con sicurezza:«Una cosa certa, piccoletta, è che fosse molto grande, e soprattutto, molto sinuosa. Mi pareva che fosse prettamente nera e blu, con un volatile d'oro davanti» difficilmente qualcuno potrebbe anche solo pensare con precisione ad un qualcosa di anche solo paragonabile a questa descrizione, anche se, un po', vi era un che di sospetto. Questo, infatti, venne notato dal Principe, in questo caso, che disse:«Sembra quasi la descrizione in modo differente della Fenicea. Ma per una cosa del genere, beh, l'unico che potrebbe darci una grossa mano a riguardo, non può essere che Viktor, con sua moglie Esther. Dopotutto, loro ci hanno già dato la disponibilità di raggiungere Cennet col loro veliero, a prescindere da dove potessimo essere» se quella poteva essere un'ipotesi, allora tanto valeva metterla in pratica.
Potevano alzare lo sguardo, contemplare il bianco della nebbia che andava a coprire col suo manto, la focosità, la luce del sole, ma là, da qualche parte, vi era qualcosa che pareva irraggiungibile. Però, almeno, ci stava sempre un aiuto da lontano, ed era un aiuto divino, perfetto per quella situazione...

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