"Io e lei, insieme, non siamo un'opzione.
Io e lei, insieme, siamo una maledizione".
Essere una Ross a Princeton non giova alla reputazione, soprattutto se porti i capelli legati in due trecce lunghe e nere e abiti nella casa degli orrori, sopra la...
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SUNDAY
Ieri notte, per la prima volta, ho avuto paura.
La finestra del salone era aperta. I due robot riversi a terra. Il vento si è divertito a fare danni: ha ribaltato e scassato almeno dieci ore del mio lavoro.
Sarebbe potuto entrare chiunque, con quella stupida apertura difettosa. Ma per ottenere cosa?
Non possediamo nulla. Il poco che avevamo è stato venduto da mio padre subito dopo la sepoltura di nonno. Persino i gioielli di nonna sono finiti nel bugigattolo d'antiquariato sulla nona.
Mi lascio alle spalle la notte infernale appena passata, per fare il mio ingresso in un nuovo giorno altrettanto infernale.
Lo spiazzo del parcheggio universitario è vuoto, i giardini pure. Lego con un catenaccio il monopattino riparato e punto verso l'ingresso.
Il vuoto e il silenzio sono quasi rincuoranti, se non fosse che è già iniziata la prima lezione del giorno. E io sono in ritardo.
Continuo a tenere la testa bassa, mi guardo la punta delle Mary Jane, le dita strette attorno al meccanismo d'accensione dello zaino vomitino, mentre salgo gli ultimi gradini prima di puntare agli armadietti.
Ecco, questa è la fase più delicata. Quella dei giardinetti, in confronto, è una bazzecola. Perché su questo campo, al chiuso, in uno spazio circoscritto, non c'è modo di scappare.
Si finisce nel corpo a corpo. Meglio, dunque, che l'altro corpo non ci sia o sia morto.
Varco la soglia, sono ancora in piedi. Mi tasto le mani, non mi sono disintegrata. Nessun Principe mi ha incaprettata e imbavagliata.
Ottimo.
Vado dritta verso il mio armadietto. È uno dei primi e, come di consueto, mi hanno lasciato un ricordino appiccicato sopra: una croce rovesciata, disegnata e sputata. La appallottolo e la lancio nel cestino.
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