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<<Ehi! tu sei quello nuovo...com'è che ti chiamavi?>> Udii dietro le mie spalle.Non so perché mi voltai, forse per istinto, o forse per curiosità. Ma mai capirò perché io l'avessi fatto; ho sempre cercato di evitare cose di questo genere, ma ormai l'errore l'avevo pur fatto <<Sei fatto amico, lasciami in pace>> gli dissi, nella speranza di concludere qualsiasi tipo di conversazione, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe stato, dopo tutto, così semplice. <<Tranquillo Oliver, è il nuovo arrivato, quello che si drogava...o si droga ancora>> Si aggregò un altro; come mi aspettavo, anche lui era strafatto. Non gli risposi, forse perché ero concentrato a dominare la mia rabbia. Sentivo che stava prendendo possesso del mio intero corpo, come capitava spesso d'altronde. Era estenuante come il mio corpo cedesse così facilmente a qualsiasi tipo di tentazione, a me rivolta. Ma dovevo controllarmi; non era solo una promessa che feci a me stesso, ma io lo dovevo. Lo dovevo per un'amico, forse l'unico, a cui darei la mia intera vita nelle sue mani. Ma mi sentivo così spaesato, così ceco. Come se fossi stato intrappolato in un vortice... era così difficile combattere contro me stesso. Ma sentivo che questa battaglia la stavo perdendo.
Le loro risate, quanto mi infastidivano, dovevo andarmene da qui... e al più presto <<Non è che ti trovi un po' d'erba?>> Evitai, evitai per l'ennesima volta. Ma all'improvviso sentì un leggero peso sul mio petto; mi avevano messo le mani addosso. Dovevo farcela. <<Non osare toccarmi>> gli imprecai <<Ma che maleducazione! I tuoi genitori non ti hanno insegnato niente?>> Giuro che gli strappo la gola se continua. Doveva essere forte quella roba per ridurli in questo modo. <<Max, amico...  suo padre è morto in un incedente. Ho sentito dire che è stata una sua decisione uccidersi, si era stufato di avere a una testa di cazzo come figlio>> Penso, che non sarà stato così difficile immaginarsi come sia continuata la vicenda...io ho perso, il mio istinto è riuscito a vincere.
<<Ehi! Ehi! basta smettetela! gli farai del male!>> Era una ragazza ad aver parlato, ma io in quel momento non sentii niente. Percepivo solo il piacere che provavo nel sentire il contatto della mia mano contro il loro corpo, espandersi ovunque. Forse questo è quello che più mi spaventa; provare piacere a far del male. <<Ei! ti ho detto di fermarti>> Non capii perché in quel momento mi fossi fermato, ma lo feci. <<Danielle vattene, è un pazzo!>> cercò di urlargli il ragazzo <<Ah davvero? Ti ho sentito Max, anzi vi ho sentito entrambi! Non è nulla al confronto di quello che io vi avrei fatto. Ma che cavolo vi è preso?>> Gli urlò la ragazza a sua volta, ma questa volta intervenni io <<Allora perché diavolo mi hai fermato?!>> anch'io questa volta mi misi ad urlare. Quando mi guardò, nei suoi occhi non vidi altro che paura... come dargli torto, riesco a farmi paura anch'io a volte, a quello che potrebbero fare le mie stesse mani. <<Perché sono miei amici>> Rimasi pietrificato. Amici? come poteva essere amica di quei due, solo al pensiero rabbrividii. Dovevo andarmene, ormai avevo fatto abbastanza.

Quando arrivai a casa ero davvero frastornato. Mi gettai sul divano, e accesi la televisione, sperando che la mia mente si distraesse. Cambiai infinitamente canali, allo scopo di trovarne uno che potesse catturare abbastanza la mia attenzione... e lo trovai. Parlavano dei miei genitori, ex sindaci di questa piccola città.
Raccontavano anche di me, su dove io fossi. Pensano che io fossi morto o rapito. Ma non mi ritrovarono mai, o meglio dire, non trovarono mai il mio corpo. Ma questo devo dare merito solo a me stesso. Nel giorno stesso della tragedia, mio padre, a pochi distanti della sua morte, mi disse di fuggire, e che gli promettessi una cosa. Seguire il sentiero nel bosco che affacciava solo pochi metri dalla nostra casa, che solo io e lui sapevamo dove fosse. E poi le ultime sue parole, parole che riescono a ricordarmi perché io decida di aprire gli occhi ad ogni alba. Era il desiderio di vendetta, desiderava essere vendicato.
Passarono ben 7 anni da quella notte, avevo solo 13 anni. Ovviamente quelle sua parole mi impaurirono, cercai in tutti modi altre spiegazioni. Mi ricordo che mi misi terribilmente a piangere quando loro mi diedero addio. Un addio troppo breve a parer mio; esso si concluse con il suono della sua voce che mi diceva di scappare più svelto che potevo. All'inizio lo feci... ma ero così debole. Ogni metro che facevo mi giravo per incrociare i loro sguardi, ma ogni volta che lo facevo vedevo quello di mia madre che piangeva. Ogni lacrima che scorreva da quell'angelico viso, andava via un po' della sua vita. Lei era già morta prima che il suo corpo venisse trafitto. Poi incontravo quello di mio padre che mi incitava in tutti modi di scappare e andare più lontano possibile. Riuscivo a vedere la disperazioni nei suoi occhi. Finché capi che era meglio stare insieme a loro, qualunque cosa sarebbe accaduta. Ma fu troppo tardi. Quando mi voltai per l'ultima volta, sentì le urla di dolore di mia madre e i gridi disperati di mio padre. E dopo due secondi, vidi i loro corpi sanguinanti a terra. Le mie urla vennero rubati dall'aria, attraendo l'attenzione dell'assassino. Lui mi guardò compiaciuto di quello che aveva appena fatto, e dopo semplicemente se ne andò. Così corsi da loro a piangere sui loro corpi.
Vidi letteralmente le anime dei mie genitori andarsene, e con se, la mia intera vita. Tutto per colpa sua. Scappai come qualsiasi bambino avrebbe fatto, gridando aiuto... ma non ricevetti nessuna risposta. Come se la città fosse morta insieme ai miei genitori. Raggiunsi il sentiero e vidi mio zio, sommerso delle lacrime. Lui sapeva, e penso che lui sappia più di me. Ma non me l'ha mai voluto dire e penso che non me lo dirà mai. Ma venni a conoscenza del favore chiesto da parte di mio padre; lui volle che fosse diventato la mia famiglia . Mi avrebbero protetto, cresciuto, educato, al posto loro. Cambiai nome, cognome...cambiai letteralmente la mia vita. Ma come se non bastasse il destino volle punirmi di nuovo. Coinvolgendo, l'unica famiglia a me rimasta, in un tragico incedente che lo condusse alla morte. Rimanendo solo all'età di 18 anni.
Poi pensai che la vita è così ironica. Mia madre fin da piccola desiderava apparire in tv, era il suo sogno più grande. Da sempre l'appoggiai in questo,come in  qualsiasi cosa lei desiderasse. Come d'altronde, lei faceva con me. Ma non doveva andare a finire così...non con le foto del suo corpo morto.

Mi alzai dal divano, e presi un pennello; avevo voglia di disegnare. Istintivamente mi trovai di fronte alla mia tela. Lasciai che la mia mano venisse trasportata dalle innumerevoli immagini che scorrevano nella mia mente. Solo quando finii capii che quello che avevano creato le mie mani erano due immensi, bellissimi occhi verdi...Ma mi parvero familiari, occhi già visti. Mi ci volle solo un secondo per capire che quelli erano gli occhi di Danielle.

Credevo nella speranzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora