Siamo spie comuniste

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La città si avvicina sempre di più. Premo distrattamente sull'acceleratore e guardo nello specchietto retrovisore. James mi segue. L'aereo sopra di noi ogni tanto lancia un fascio di luce lungo la strada, giusto per ricordarci che è lì sopra a fare la guardia.
Chissà se c'è qualcuno di amichevole. Le luci degli appartamenti sono spente, ma non sembra che non ci sia corrente: le luci per gli elicotteri sulla cima dei grattacieli sono accese. Anche qualche luce in strada. Forse gli abitanti sono nascosti da qualche parte sottoterra. Ci sono bunker in questa zona?
È un universo triste quello che avvisto da qui, un universo di guerra. Il sole dovrebbe sorgere tra qualche ora... I finestrini aperti lasciano entrare i suoni di cicale e grilli. Sintonizzo la radio sul cruscotto rubata dalle auto dei soldati sulla frequenza della radio dell'aereo.
-Qui John...- comincio.
-Taci che ho sonno- mi risponde la voce assonnata di Johnny. -Vecchio, il fatto che l'età ti impedisca di dormire a lungo non giustifica chiamate sulla radio nel cuore della notte-
-Il vecchio qua sotto ha voglia di parlare-
-Uff. Ma non puoi parlare... che ne so, con Bill?
-Bill dorme...
-Chissà chi sogna- sogghigna Johnny.
-Spera che dorma sul serio e che faccia sogni allegri...
-Tu sei allegro?
-Come non potrei? Chiudo.

Freno di botto. C'è qualcosa sulla strada. Bill si sveglia imprecando, ma sui sedili posteriori dormono tutti. La radio lampeggia. Alzo il microfono.
-John, hai frenato di colpo, tutto bene?- -Sì, sì. Passo e chiudo-
Bill osserva stupito ciò che abbiamo davanti. È un tizio in piedi con un grosso fucile e una brutta faccia.
-Se siete americani scendete dal veicolo e mostrate un documento!-
-Non urlare, imbecille, che svegli gli altri- sussurra Bill mentre prende dalla borsa di sua madre il passaporto di Ben e la sua patente. Io ho il mio vecchio distintivo da sceriffo a portata di mano. Scendiamo lentamente e vediamo che dietro anche Muscolo sta aprendo la portiera. Gli facciamo vedere il tutto mentre lui ci scruta, come se potesse leggerci negli occhi se siamo americani o se siamo spie.
In questo lungo attimo mi viene da dirgli "Ehi, bello, che facevi da giovane? Cercavi le spie comuniste?" ma forse non è la scelta migliore. -Sembra che stiate cercando spie comuniste-.
Dannazione, l'ho detto.
Lui mi guarda male con la sua brutta faccia, ma non dice nulla e mi dà indietro il distintivo.
-Benvenuti a Denver- borbotta. -O ciò che ne rimane-.
Oooooh, siamo in Colorado! Tutta questa attività mi sta facendo tornare allegro.

Il B.B. (Brutto Bestione) sta guidando lentamente la nostra piccola colonna di auto fin dentro la città. L'ho avvertito della presenza di Johnny che ora sta per atterrare con una certa calma all'interno della città. Ormai siamo tutti svegli e anche Samantha è interessata al paesaggio che ci circonda. Ci sono moltissimi edifici semidistrutti o pericolanti, e ogni tanto vediamo cadere qualche mattone o un cornicione intero. B.B. ci sta guidando lungo una sorta di "percorso sicuro" che sembra portare a un gruppo di luci in lontananza, ma la strada è molto tortuosa e sembra condurre prima ad un posto e dopo ad un altro. Le luci potrebbero anche essere generate da qualche lampione ancora in piedi. Ne abbiamo visto uno lungo la strada.
Denver è un colabrodo, nemmeno un ricordo della città che avevo visitato anni prima. Ricorda una foto che avevo visto su un libro di storia, che mostrava la città di Dresda bombardata durante la seconda guerra mondiale: solo le facciate degli edifici meglio costruiti erano in piedi. Il resto cos'era? Desolazione? O semplici macerie? Solo gli edifici più resistenti sono ancora in piedi. Ma sono solo scheletri.
Mentre penso a tutto ciò, siamo arrivati in punto da dove riusciamo a vedere il gruppo di luci. È un lungo e largo corso che funge da pista di atterraggio. C'è anche parcheggiata Jessie.
-Nonno, guarda, altri aeroplani!- dice Samantha tutta allegra.
Le rispondo con un piccolo sorriso. Non capisce, o non vuole capire in che scenario ci troviamo. B.B. continua a guidarci, osservando il terreno e le macerie con fare esperto, ma ora andiamo un po' più spediti lungo questo percorso attraverso la città deserta.
Fa cenno di fermarsi. Tira fuori un fischietto e fischia più volte.
Si sente un fischio, uno solo, in risposta. B.B. ci fa segno di andare avanti. Lentamente, proseguiamo sempre dritto. B.B. si ferma e si avvicina alla portiera. Abbasso il finestrino. -I fari. Spenti-. Mi sembra di star parlando con una via di mezzo tra un navigatore satellitare e il vincitore del premio mondiale per il maggior numero di concetti espressi nel minor numero di parole.
Ora che la strada è ripiombata nel buio, l'unico modo per individuare B.B. è una lucina che si trova sul suo fianco, e si accende e spegne a intermittenza. Devo valutare le distanze a naso e lui non è sicuramente d'aiuto. Chissà come se la cava Muscolo. Ben e Bill hanno tirato fuori le pistole.
D'improvviso, la nostra guida si ferma e fischia.
Un fischio di risposta, e lui corre fino alle nostre auto.
-Prendete tutta la vostra roba e seguitemi lentamente. Lasciate qui le auto, ci penseremo domani mattina.
Ben mi si avvicina. -Non mi fido di questo tizio. C'è troppo buio, potrebbe ammazzarci in pochi attimi- -E per quale ragione, Ben? Siamo in pochi. Poteva farlo prima-. Dal suo fiato capisco che è in allarme, ma cosa gli posso dire? Ho deciso io di seguire quest'uomo fin qui. Stiamo seguendo la sua lucina tenendoci per mano per non perderci. Ben apre la fila, Bill la chiude.
D'un tratto un fascio di luce ci appare. È flebile, ma sembra enorme.
Una sorta di tenda si apre, mostrandoci l'entrata di un palazzo ancora intatto per metà.
-Entrate, svelti!- dice una voce sconosciuta e non molto gentile. Ben entra di corsa mentre quel tizio continua a parlare. -Entra, nonnetto! Svelte voi due! Muovetevi, bambocci!-
Ormai sono dentro, e nel fascio di luce distinguo chiaramente quell'imbecille cercare di dare un calcio a Bill, che per tutta risposta gli fa lo sgambetto con molta più forza del necessario. Quel cretino cade per terra, impreca, si rialza ed entra inveendo contro di noi. Ci indica una stanza sulla destra. Non ho il tempo di guardare bene il luogo in cui mi trovo che mi ritrovo in un piccolo locale. Una scrivania enorme campeggia al centro della stanza, strapiena di cartine, penne, pennarelli, e qualche pistola appoggiata in mezzo a tutta quella catasta di oggetti. Intorno alla scrivania c'è qualche sedia. Sono tutte vuote. Ma a capotavola, in piedi, c'è un uomo piuttosto alto, avvolto in vestiti sgualciti.
-Oh! Nuovi arrivati?- chiede sorpreso al buzzurro che ci ha portato dentro. Lui annuisce (ma sto qui sa anche parlare? O conosce solo gli insulti e per il resto si esprime a gesti?).
-Oh. Io sono Nick Jefferson, ma per la maggior parte delle persone sono il capitano Jefferson. Benvenuti!

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