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Il rumore delle forbici che scivolano sul tessuto è una melodia rassicurante, ma io non riesco a concentrarmi. Non su questo. Non su niente che non sia lui. Mitsuya Takashi. Il mio maestro. L'uomo che non dovrei desiderare. Eppure, è un'ossessione. Un pensiero fisso che mi divora dall'interno. Lo guardo mentre spiega un punto di cucitura a un'altra studentessa. I suoi movimenti sono precisi, il tono di voce sempre calmo. Dovrei prendere appunti, dovrei seguire la lezione, ma non posso fare altro che osservarlo.
Perché so che anche lui mi guarda. Non sempre. Non quando qualcuno potrebbe accorgersene. Ma nei momenti giusti. Quegli attimi rubati in cui il suo sguardo si sofferma su di me più del necessario. Quando le sue dita sfiorano le mie con una scusa qualsiasi. Piccoli dettagli che mi fanno impazzire. E oggi non è diverso. Mitsuya passa tra i banchi, controlla i lavori degli altri studenti, finché non arriva accanto a me. Mi irrigidisco quando si china, il suo calore è quasi tangibile. "Stai tremando" sussurra "È solo il freddo"
Lui sa che sto mentendo. Lo vedo dal modo in cui il suo sguardo si abbassa sulle mie mani, che stringono troppo forte la stoffa. E dal modo in cui il suo respiro si fa più lento, più pesante. Poi, con un gesto che mi brucia addosso, lascia scorrere due dita lungo il dorso della mia mano. Un tocco minimo, quasi accidentale. Ma non lo è. Non lo è mai.
L'aria è elettrica quando la lezione finisce. Gli altri studenti raccolgono le loro cose, escono chiacchierando, inconsapevoli della tensione che alergia nella stanza. lo non mi muovo. Aspetto. Mitsuya resta in piedi vicino alla cattedra, osservando in silenzio mentre l'aula si svuota. I suoi occhi incontrano i miei, e in quello sguardo c'è una domanda, una sfida. lo non ho paura di rispondere. Quando l'ultima persona esce e la porta si chiude, ci troviamo da soli.
lo e lui.
Nessun altro.
Nessuna regola.
Lascio cadere la stoffa che stavo lavorando e mi alzo lentamente. Non ho bisogno di parlare. Nemmeno lui. So già cosa succederà.
Lui lo sa.
Lo ha sempre saputo.
Mi avvicino, il cuore che martella nelle orecchie. Ogni passo riduce la distanza tra di noi, ogni respiro diventa più difficile da controllare. Poi, senza preavviso, Mitsuya fa il primo passo. Mi spinge delicatamente contro il tavolo da lavoro, intrappolandomi tra le sue braccia. Il suo profumo mi avvolge una miscela di stoffa pulita e qualcosa di più ruvido, più maschile. "Dovremmo fermarci" mormora "Dovremmo" sussurro.
Nessuno di noi lo fa. Il suo respiro sfiora la mia pelle mentre abbassa il viso. Le sue labbra si fermano a un soffio dalle mie, come se mi stesse dando un'ultima possibilità di tirarmi indietro. Non lo farò mai. Così mi sollevo leggermente sulle punte e colmo la distanza. Il primo bacio è lento, esitante, ma carico di qualcosa che stava covando per troppo tempo. Le sue mani scorrono lungo i miei fianchi, si stringono attorno alla mia vita, mentre io mi aggrappo alla sua camicia come se fosse l'unica cosa che mi tiene in piedi.