Louis si alzò con difficoltà dal suo letto. Erano solo le sei del mattino, e lui non era affatto pronto per tornare a scuola. Se solo si fosse comportato meglio, ventun'enne, non avrebbe dovuto far quell'enorme sforzo. Ma la sua condotta era ancora più bassa rispetto ai voti nelle sue materie scolastiche.
Scese lentamente ogni scalino che portava al salone, come se alzare i piedi fosse altamente difficile.
Arrivato giù, si stiracchiò, sentendo le sue ossa produrre un bruttissimo scrocchio. Non era così vecchio, in fondo.
Si trascinò in cucina, strisciando le sue ciabatte azzurre, abbinate al suo pigiama, ma anche ai suoi occhi.
Sentì un buon odore, che lo fece sentire un po' meglio.
«Buongiorno, Louis!» esclamò, allegra, la signora Tomlinson. Certo, tanto lei non doveva andare mica a scuola.
«Buongiorno anche a te, mamma.» disse, con la voce bassa. Le sue palpebre minacciavano di coprire del tutto le sue iridi.
La mamma di Louis poggiò un piatto colmo di frittelle, con sciroppo d'acero e la pancia di Louis sembrò esultare felice.
Il ragazzo sorrise a sua madre, per ringraziarla, e lei ricambiò, con un bacio volante.
«Allora, Louis. Questo è il tuo ultimo anno. Per favore, cerca di comportarti bene. Come ti senti?»
Louis si irrigidì, come se sua madre avesse toccato un tasto dolente.
Perché Louis, fino al triennio, era un ragazzino dolce e timido, che cercava di stringere amicizia con i suoi compagni, ma che non lo accettavano. Fu alla fine del terzo anno, che Louis cambiò.
Era stanco di essere solo, di essere sbattuto contro gli armadietti, di essere offeso. E quando James la combinò davvero grossa, facendolo finire in ospedale, Louis iniziò ad indossare la sua corazza e a "combattere".
«Bene.» si limitò a rispondere, finendo le sue frittelle.
Si alzò da tavola, e si diresse in bagno, dove si lavò i denti, si tolse quel pigiama blu puffo e si lavò. Non ci mise molto a vestirsi e a sistemare i suoi capelli. I suoi Skinny Jeans neri stavano ben avvolti alle sue gambe, procurandogli un leggero caldo. La sua maglietta preferita, del medesimo colore dei Jeans, gli stava leggermente larga, e le sue Vans sembravano essere più piccole.
Prese il suo zaino, a quadri neri e rossi, non molto pesante e si diresse nello studio di suo padre.
«Ciao pà, io vado a scuola.» annunciò Louis, sullo stipite della porta, facendolo sussultare.
«Oh, Oh! Ciao, Louis! Vuoi che ti dia un passaggio?» chiese il padre, sorridente.
«Non sarebbe male. Sempre se non devi fare un'altra delle tue invenzioni.» ghignò Louis, in direzione dell'uomo, che sospirò, scuotendo la testa. Egli si tolse il camice, poggiandolo su una poltroncina.
Era inutile chiamare "studio" quel luogo, quando Louis sapeva benissimo che era un vero e proprio laboratorio. Era inutile chiamare "dottore" suo padre, quando Louis sapeva benissimo che era un vero e proprio scienziato. Ma non sbagliò a pronunciare la parola "invenzioni", perché il padre ne ebbe fatte davvero tante.
«Ti accompagno.» pronunciò lo scienziato.
Dopo aver salutato anche la signora Tomlinson, uscirono di casa e salirono in macchina.
Durante l'inizio del breve viaggio, ci fu silenzio. Louis aveva la testa in direzione del finestrino.
Il signor Tomlinson strinse le labbra, afferrando saldamente lo sterzo.
«Allora, Louis.» ruppe il ghiaccio. «Quest'anno hai intenzione di farti promuovere? Sai, è l'ultimo anno...» continuò, con una domanda.
Louis sospirò rumorosamente, voltandosi verso suo padre. «Non lo so, papà. Sai, non è colpa mia se mi picchiano. Io devo difendermi, sbaglio?»
«Dovresti solo chiedere aiuto, Louis!» procedette suo padre.
Louis scosse la testa, sorridendo amaramente. «Sto antipatico alla preside. Non ho neanche un amico all'interno di quella struttura. Il mio armadietto è ammaccato a forza di avere la mia faccia contro.
Per i professori, non importa imparare, perché secondo loro una persona violenta. Ma loro non sanno che non sono io a scatenare le risse, papà. E neanche mi ascolterebbero, se lo dicessi. Sai perché? Perché quelle persone hanno ottimi voti nelle varie materie, quindi vengono considerati come persone amorevoli e tranquille. Mentre io, invece? Io vengo sempre beccato a difendermi, ma poi vengono difesi i veri colpevoli. E questo non mi permette di avere buoni voti, anche se ripetessi un intero libro a memoria.» Louis quasi urlò le ultime due frasi.
Il papà si morse il labbro inferiore. Aveva gli occhi lucidi, ma non poteva farlo vedere a Louis. Suo figlio, nonostante avesse ventun anni, era come se fosse rimasto al suo primo anno scolastico, quando ancora tutto andava bene.
E si chiese "dov'è la giustizia?".
«Amore mio.» iniziò, con un tono quasi singhiozzante. «Perché mi hai raccontato tutto questo solo ora? Sono passati anni, ma tu non mi hai mai accennato niente di tutti questi dettagli. Pensavo fossero soltanto quattro pugnetti da rissa, proprio come mi disse la preside. Mi dispiace non essermi accorto prima, Louis. Vedi come va oggi. Se non va bene, anche se è solo il primo giorno, ti ritiri.» disse, una volta essersi fermato davanti la grandissima struttura.
Louis non poté credere a quelle parole. Sognava di sentirle dire da almeno tre anni. Si voltò di scatto verso suo padre e «Dovevo difendermi io, papà. Ho sbagliato a non raccontarti tutto quanto prima. Grazie, papà. Grazie.» e scese.
Entrò all'interno della sua scuola, facendo girare la metà degli studenti presenti nel corridoio. Eppure, stava solo camminando. Ma doveva sembrare fortissimo e indistruttibile. Non aveva neanche un amico, ma era abbastanza famoso. Ammiccò in direzione delle persone voltate verso di lui, fino a ritrovarsi quel gruppetto che lo scorso anno, lo aveva preso di mira, sostituendo gli, ormai, diplomati degli scorsi anni.
Il gruppetto gli si avvicinò, e lui, si preparò al peggio.
«Non male il nuovo taglio di capelli, Tomlinson. Ti stanno bene così lunghi.» disse il "capo" del gruppo.
Louis gli sorrise, con uno sguardo più che tagliente. «Ti ringrazio» rispose, ai complimenti.
«Anche lo zaino non è affatto male. Dove l'hai preso?» continuò, quello.
«Non l'ho preso; l'ho comprato.» rispose, acido.
Marlon, –quello era il nome del ragazzo- rise di gusto e «E' un problema se lo prendo io, allora, caro?» chiese, sfacciatamente, avvicinando le mani allo zaino di Louis.
«Non provare minimamente a toccarmi o a toccare qualcosa che è mio.» ringhiò, Louis.
Marlon sollevò le sopracciglia, mentre il resto del gruppetto ridacchiava. «Altrimenti mi picchi, Lou?» chiese, ridendo.
Louis socchiuse gli occhi, a come male suonava il suo soprannome se detto dalla voce di Marlon.
Quando li aprì, sorrise a Marlon e «No.» disse, semplicemente, girando i tacchi e andandosene.
Si sentì libero e spensierato, fin quando non si sentì delle mani sul suo zaino, che tirandolo da lì, lo fecero cadere a terra.
Louis vide il tetto del corridoio, prima di alzarsi di scatto e tirare fortemente un pugno sul volto di Marlon.
Un silenzio si impossessò dell'intera struttura.
«Tomlinson! Non pensavo ti piacesse picchiare anche durante il primo giorno di scuola.» lo richiamò la preside.
Gli occhi di Louis, si sgranarono. Com'era possibile?
«Preside, io...» iniziò, ma la preside lo interruppe «No, mio caro, niente scuse. Ti voglio subito nel mio ufficio.» disse lei.
Louis ricordò le parole del padre, abbassando lo sguardo. E quando alzò quest'ultimo, «No.» disse sicuro.
La preside lo fulminò con lo sguardo, e aprì la bocca per dire qualcosa, ma Louis la precedette, dicendo: «Non dica niente. Io me ne vado da qui. Mi sembra strano che io non l'abbia fatto prima. Ero qui per imparare, per poi andare felicemente all'università e avere una laurea, ma non sembra essere possibile.
Per lei sarò anche quel ragazzo con atteggiamenti da bullo e infinite espulsioni, ma sappia soltanto che io sono solo la vittima. E ora, detto questo, abbandono questa scuola, e mando un bacio ad ognuno di voi che mi state guardando con aria sconvolta. Ciao.» si voltò ed iniziò ad incamminarsi verso l'uscita, ma prima di varcarla, si voltò nuovamente e «Ah, Marlon!» esclamò, togliendosi lo zaino dalle spalle e gettandolo in direzione del ragazzo. «Eccoti il mio zaino. Non mi serve più. E visto che volevi tanto prendermelo, e per farlo, e anche per non avertelo permesso, mi hai fatto cadere a terra, te lo regalo. Baci.» e varcò l'uscita.
Il signor Tomlinson, iniziò a lavorare sulla sua nuova invenzione. La migliore, in tutta la sua vita. Quella più complicata, e rischiosa.
Da quando aveva accompagnato suo figlio a scuola, le sue parole ontinuavano a rimbombargli nella mente. Suo figlio era vittima di bullismo e di ingiustizia. Suo figlio si era creato una corazza, che lo aveva fatto cambiare nel corso degli anni. Suo figlio non aveva amici.
Se Louis non avesse detto la verità, dopo anni, sarebbe rimasto convinto che i suoi voti e la sua violenza, fossero una volontà del ragazzo. Strano che si fosse aperto solo in macchina, il primo giorno di scuola dell'ultimo anno scolastico.
E con ancora quei pensieri in testa, unì gli ultimi due fili, prima di vedere un'accecante luce impadronirsi del suo laboratorio. Chiuse gli occhi e si allontanò velocemente, stando immobile, fin quando la luce non scomparve.
Louis prese le chiavi di casa e aprì la porta, facendo il suo ingresso in cucina, con l'aria di un vero gladiatore.
«Hey, mamma, sono a casa!» esclamò.
La donna posò la pezza con la quale si era asciugata le mani bagnate e aggrottò la fronte. «Ma è passata solo un'ora, Louis, se non di meno.» disse, stranita.
«Lo so.» disse Louis, allegro, incamminandosi verso il laboratorio di suo padre, felice di potergli dare la buona notizia.
Aprì la porta senza bussare e «Pap-Ah! Ma che-» urlò, facendo un passo indietro.
«Ciao!» fece quella voce, roca, ma così simpatica al solo udito. Così dolce, allo stesso tempo.
«Chi sei tu? E che cosa ne hai fatto di mio padre?» chiese, Louis, spaventato.
«Oh, Louis! Bentornato! Ti presento Harry!» disse il padre, sbucando da chissà quale angolo di quella stanza.
Louis sospirò di sollievo, poggiandosi una mano sul petto, per riprendersi. «E sarebbe?» chiese, Louis.
«Io!» rispose il ragazzo, facendo apparire delle fossette sulle sue guance, dopo aver socchiuso le sue labbra rosse, in un sorriso.
«Io sono Harry e sono tuo amico!»
N/A:
DaaaandandandandaaaanDAN. Guardate un pò.
CIAO A TUTTI, GENTE BELLA.
Benvenuti a questa nuova fanfiction! Questo qui è il primo capitolo!
Che ne pensate? Spero che vi piaccia e che non ci siano troppi errori che potrebbero essermi, magari, sfuggiti.Se volete, seguitemi su twitter. Sono @wutthelee .
Okay, cosa dovrei dire adesso?..
Buongiorno, buonasera, o buonanotte (Chissà quando leggerete, tutto ciò.)
Un bacione.
Che Dio benedica ora e per sempre voi, la vostra famiglia e i vostri cari.Bacioni. VI AMO.
A presto!
-Aurora. xx
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Robot. || Larry Stylinson.
Fanfiction"I robot non proveranno mai emozioni." -Phil Maguire.