Capitolo 4 pt. 2

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-Ragazzi potete lasciarci sole per un po'?- Iniziò la mora. -Io e Cindy dobbiamo parlare.- Concluse mia mamma.
Mi guardò da dietro la montatura degli occhiali.
La bocca era nascosta dalle sue mani unite in un pugno e la gamba accavallata all'altra dondolava incostantemente da dieci minuti.
Avevo raccontato tutto quello che sapevo sulla relazione segreta tra mia madre e Marco e, a quanto pare, Cindy sospettava qualcosa già da molto tempo prima. Prima ancora che mio padre morisse.
Mi chiedevo come potesse, mia madre, andare avanti con il rimorso di aver tradito l'uomo che l'amava da quando l'aveva incontrata.
Mi chiedevo come avesse potuto dimenticare quanto mio padre avesse patito quando mio fratello maggiore se ne dovette andare ad Adelaide (Australia), per frequentare una prestigiosa scuola, sia media che liceale, a soli tredici anni.
Le giornate di mio papà trascorrevano tra lavoro e casa e pian piano si dimenticò cosa volesse dire vivere. Era sempre triste e quando era con me fingeva, fingeva e basta.
Quello fu il periodo più brutto da dover sopportare.
Immaginatevi una bambina di soli undici anni che, prima aveva una famiglia felicemente unita, poi vide sparire da un giorno all'altro il fratello maggiore, per lei punto di riferimento.
Il padre, che per lei era stato la colonna portante di tutta la sua infanzia, allontanarsi da lei sempre di più, fino a scomparire del tutto.
La madre, unica persona rimasta con cui divideva la casa, ignorarla completamente e portarsi a casa un uomo diverso ogni tre-quattro mesi.
Adesso vedete quello che ho passato io.
-Brenda mi hai sentita?- La voce di mia madre tuonò nella stanza che, per me, aveva preso la stessa forma dei tempi in cui ero felice e spensierata. Avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro.
Annuì poco convinta.
Cercavo di capire le altre parole ma mi arrivavano ovattate e confuse. Non capivo quasi nulla.
-Alzati e vai in camera tua.- Mi rimproverò di nuovo.
Non riuscivo a comprendere cosa stessi facendo. Era tutto confuso; La realtà si mischiava con i ricordi e i pensieri di allora.
Le facce ringiovanivano.
Mia madre non aveva quegli accenni di rughe e nemmeno Cindy.
Quando mi voltai verso Michael aggrottai le sopracciglia: davanti a me vi era un bambino (lui), molto alto e con i capelli viola.
-Ma cosa... Cosa succede...- Mormorai.
Non ero consapevole del fatto che qualcuno avesse potuto sentirmi.
Fortunatamente nessuno udì la mia voce.
I muri di casa mia erano come quelli della mia precedente abitazione. Insieme ad essi erano mutati anche i mobili, le porte e le piastrelle. Sentivo il familiare odore della torta al cioccolato che mia mamma preparava sempre per me e mio fratello.
Udivo la voce di mio padre che mi parlò: -Bre' svegliati.- Sussurrò, prendendomi il viso tra le mani.
-I-Io sono già sveglia.- Si staccò da me e si diresse vicino alla porta della cucina, ridendo e scuotendo la testa.
-Come faccio a vederti? Tu... Tu non sei...- Venni interrotta dai singhiozzi.
-Vivo? Certo che non lo sono.- Ammiccò con un grande sorriso sul volto.
Allora è un fantasma? Cosa mi sta succedendo?
-Sono solo frutto della tua immaginazione e dei tuoi ricordi.- Oddio! Allora sono pazza.
-Come faccio ad uscire da questo stato di trans?- Le lacrime si erano asciugate sulle mie guance, rendendole secche. E per quanto mi dispiacesse, dovevo tornare al mio presente.
Non potevo vivere per sempre nel passato.
L'uomo si avvicinò a me, si piegò in modo da arrivare alla mia altezza e sussurrò ancora: -È molto semplice Brenda. Ascolta tua madre.-
Con i pollici mi chiuse le palpebre e, poco a poco sentì svanire il suo tocco.
Aprì gli occhi e trovai ancora tutto fermo alla mia infanzia, solo che lui non c'era più.
I mobili erano stati rimpiazzati da scatoloni marroni.
Era successo dopo la morte di mio padre.
Ascolta tua madre.
La voce mi tornò in testa, così chiusi gli occhi, presi un forte respiro e ascoltai.
Rimasi in quella posizione per un tempo che mi sembrava infinito, quando, probabilmente, erano passati solo pochi secondi.
Chiusi gli occhi e presi un forte respiro.
Svegliati.
Mi ordinò la sua voce. Feci come mi disse.
Mi trovai davanti Michael, questa volta della sua età reale.
Voltai la testa verso Cindy, e tutto era normale.
Le pareti erano del solito bianco, le mattonelle sempre color crema, anche i mobili erano tornati normali.
Mi girai ancora verso il ragazzo per vedere se avesse ancora l'aspetto di un bambino, per sicurezza, e, con poco stupore, constatai che tutto era tornato ufficialmente normale.
Lo squadrai dai piedi alla testa, con la bocca leggermente schiusa.
Cos'è successo esattamente?
Lui mi guardava con un faccia contorta in una strana smorfia. La sua mano stritolava il mio braccio, che guardai ancora più confusa.
La testa mi pulsava e non riuscivo a capire se quella che stavo vivendo fosse fantasia o realtà.
Michael non mi avrebbe mai stritolato un braccio, era un ragazzo troppo buono. Anche se iniziavo a ricredermi.
Mi sentii chiamare, così mi voltai.
La voce mi sembrava quella di mia madre, anche se non ne ero convinta. Era troppo squillante per essere di mia mamma, nessun altro, però, avrebbe potuto fare quello che fece Cindy. Nemmeno mia mamma.
La sua mano entrò in contatto per pochi secondi la mia guancia, facendomi volare gli occhiali per terra.
Rimasi a guardarla con una mano sul punto da lei colpito, lei teneva le braccia incrociate e il suo caschetto biondo non faceva altro che rendere il tutto più serio.
Mi chinai a raccogliere gli occhiali, volati sotto il tavolo, mentre ascoltavo le due donne litigare.
Non avevo mai sentito mia madre gridare tanto.
Due mani si posarono sulle mie spalle, facendomi sobbalzare dallo spavento.
Sentivo la testa girare, come se fossi ubriaca.
-Andiamo in camera tua.- Disse Michael da dietro di me.
Lo guardai per qualche istante negli occhi.
Penso di no aver mai visto così tanta tristezza in una sola persona.
Mi alzai posando le mani sulle ginocchia e facendo forza. Per un attimo barcollai ma mi stabilizzai subito.
Le nostre mamme continuavano a urlarsi contro.
Mi sentivo responsabile e lo ero.
Mi sentivo stupida e lo ero.
Dovevo riparare.
-Mamma basta.- Riuscì a dire mentre il ragazzo mi tirava leggermente dal polso.
-Zitta. È solo colpa tua.- Sentenziò.
-L'unica cosa che mi dispiace è non averti tirato io quel ceffone.- Sputò acida. Evidentemente non stava litigando con la biondina per il ceffone da lei tirato.
Chiusi gli occhi per non far uscire lacrime, gli riaprì e corsi in camera mia. Presi un borsone ed iniziai a metterci dentro tutto quello che trovavo.
-Cos'hai intenzione di fare?- Non lo ascoltare.
Ignorai Michael.
Presi una sedia e cercai di arrivare alla parte più alta del l'armadio, dove avevo nascosto tutti i miei risparmi.
Dal momento che non riuscivo ad avere una visione piena del ripiano, lo tastai a casaccio e appena toccai una superficie di vetro freddo esultai.
Lo afferrai con entrambe le mani e scesi dalla sedia con una faccia trionfante.
-Cos'hai intenzione di fare eh? Sappi che se esci adesso da questa casa non ci entrerai mai più.- Mi minacciò mia mamma.
Intanto Michel e Cindy si erano avvicinati alla porta d'ingresso, aprendola.
Mi avviai verso di essa e la richiusi senza guardarmi indietro.
Io ero una di quelle persone che scappava dai problemi, non li affrontava.

Unpredictable|| Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora