Capitolo 8 pt. 1

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Ho il telefono rotto (ma proprio irriparabilmente) quindi perdonate se non aggiornerò più frequentemente ma scrivere dal pc non mi piace :c

Obv voi mi perdonerete per gli errori eeeeeeeeeeeee...

Buona lettura *emoji con la nota musicale*

Mi alzai di scatto dal terreno bagnato dalla pioggia.
Mi guardai in torno, accorgendomi subito del bosco che mi circondava.
Iniziai a vagare senza una meta precisa, a passi svelti e piccoli, mentre cercavo di togliere della terra dal mio viso, stava iniziando a puzzare (la terra).
Sentivo che un po' di terra nella mia guancia destra non si toglieva, allora iniziai a sfregare sempre più forte, sempre più velocemente.
Incominciai a sentire come un venticello fresco nel punto in cui cercavo di pulire. In un primo momento pensai che quell'effetto fosse stato causato dalla mancanza del terriccio che copriva la mia faccia e che quindi la mia pelle, tenuta al riparo dal freddo grazie alla terra, si stesse infreddolendo a causa dello sbalzo di temperatura.
Ma lo credetti in un primo momento, appunto.
Strofinai la mano con cui mi ero pulita la faccia sul tessuto dei miei pantaloni e credo che fu proprio in quel momento che mi accorsi che la mia mano fosse bagnata.
Non era acqua. Era sangue.
Avevo sfregato così forte la guancia da averla spellata fino quasi al raggiungimento dei denti.
Cercai qualcosa con cui potessi vedere il danno da me causato e, per fortuna, trovai una pozzanghera dove potermi specchiare.
Rimasi pietrificata nel vedere che, al posto della mia pelle naturale, vi era uno squarcio molto largo e profondo da cui continuava a uscire sangue ininterrottamente.
Ben presto quella pozzanghera fu piena del mio sangue.
Spaventata mi allontanai da lì e ripresi a camminare verso un luogo a me ignoto. Era come se i miei piedi si stessero muovendo da soli.
Con i palmi delle mani facevo pressione sulla ferita, per provare a ridurre il flusso di sangue. Lo avevo visto fare nei film, quindi poteva funzionare anche a me, no?
Mentre mi chiedevo come fosse stato possibile un tale disastro, la mia guancia smise di sanguinare. La foresta smise di essere luminosa e così calò la notte.
Il passaggio dal dì alla notte fu quasi impercettibile, anzi, fu proprio inesistente. Nessun tramonto, nessun cielo arancione. Niente di niente.
Iniziai a correre.
Ero spaventata. Tutto d'un tratto venni assalita da una strana sensazione di inquietudine, mista a paura, tutto ciò perché mi sentivo osservata. Sentivo che qualcuno mi stesse rincorrendo e automaticamente accelerai la corsa.
Quando notai un tronco in lontananza, con una piccola scritta luminosa di colore giallo scuro, rallentai progressivamente, fino a fermarmi del tutto di fronte a quell'albero.
Mi guardai in torno sospettosa. Quelle sensazioni erano sparite.
Rivolsi la mia attenzione al vegetale, dimenticandomi del tutto del luogo in cui mi trovavo, e iniziai a contemplare quella che sembrava fosse resina.
Il problema era che la resina non formava scritte e tanto meno si illuminava al buio.
Era una scritta latina.
Qualcosa del tipo: bosco oscuro, ma non ci metterei la mano sul fuoco.
In latino facevo pena.
Toccai quella sostanza, dapprima con levi scatti della mano, come se bruciasse, in seguito la accarezzai, per poterne sentire la durezza.
Questa sostanza assomigliava molto al miele, solo che era più scura e molto più solida.
Direi che la consistenza fosse simile a quella di una pallina di spugna. (i'm sorry but è stato l'unico paragone sensato che mi sia venuto in mente).
Persi interesse per quella scritta. Mi sembrava superflua per il mio scopo.
Già... Ma qual'era? Di certo non stare a guardare una scritta fluorescente, anche se non era del tutto nella norma e quindi poteva accendere in me più stupore rispetto a quello che ebbi in realtà.
Era come se me lo fossi aspettata.
Ignorai quella scritta e oltrepassai l'albero.
Dopo pochi passi iniziai a sentire puzza di bruciato. Per quanto cercassi di capire la provenienza di quella puzza non riuscii a trovare alcuna fonte a quell'odore.
In pochi attimi tutto si fece più caldo, gli alberi presero fuoco e i miei piedi rimasero infossati nel fango.
Cercavo di liberarmi in tutti i modi a me possibili purtroppo questi tentativi mi fecero sprofondare ancora più a fondo.
Accorgendomi del fango arrivatomi ai fianchi decisi di gridare aiuto.
Gridavo con tutta l'aria che avevo in corpo, con tutte le energie a me rimaste perché, sì, mi sentivo esausta.
Gli unici suoni che uscivano dalla mia bocca erano lievi sibili che invocavano -aiuto-.
Era orribile: io cercavo di gridare aiuto ma nessuno avrebbe mai potuto sentirmi. E io ero la prima a non metterci abbastanza forza.
Provai a gridare, a gridare come quando la pelle va a fuoco, come quando qualcuno ti morde talmente forte da lasciarti il segno, come quando capisci che sta finendo ma tu non vuoi che finisca.
Continuavo a sprofondare nella terra, mentre le fiamme continuavano ad avvicinarsi a me.
Il cielo stellato che in un primo momento ricopriva il cielo, era stato offuscato dal fumo delle fiamme.
Ormai avevo perso la speranza e mentre il terreno mi giungeva al mento sentii rumore di passi.
Passi. Il loro suono, isolato da tutto il resto, mi metteva una grande inquietudine ma in quel momento rappresentavano la mia unica via di salvezza.
Riconobbi il volto della persona guidata da quei passi: Michael.
Aveva un lungo giubbotto di pelle, aperto. Una maglietta nera, come i pantaloni e le scarpe.
I suoi capelli viola erano divenuti più scuri, esattamente come i suoi occhi.
Continuava a gridarmi contro di dargli la mano, per permettergli di tirarmi fuori da quel casino ma come avrei potuto fare? Lui non vedeva in che situazione ero?
Continuò a gridarmi fino a quando il fuoco non lo raggiunse e lo portò via da me.
Il fango mi inghiottì del tutto e sperai che la mia morte fosse delle più veloci.
Sbattei le palpebre più volte per via della luce dell'abat jour accesa posta nel comodino di fianco al letto.
Mi sedetti sul letto, facendo il più piano possibile, per non svegliare il ragazzone.
Michael era messo in una posizione alquanto insolita. Avete presente quando si dorme abbracciando il cuscino con una gamba dritta e una piegata? Ecco, lui era nella medesima posizione, l'una cosa diversa era che le sue gambe occupassero tutto il letto.
Mi alzai facendo leva con le mani sul materasso del letto cercando di non far scricchiolare il palquet sotto i miei piedi e la rete del letto.
A lunghi passi mi diressi verso il bagno e poi verso la cucina.
Controllai l'ora: 6:30
Era presto, un'orario perfetto per mettere in atto il mio piano da folle "paladina della giustizia", come lo aveva chiamato Michael.
In quanto a quest'ultimo avrei dovuto fare molta attenzione a non svegliarlo, altrimenti avrebbe ostacolato me e i miei folli progetti.
Una volta finito di prepararmi, presi lo zaino e alcuni libri che avrei dovuto usare in giornata ed uscì di casa, chiudendo la porta con la massima cautela.
Il freddo mattutino mi accarezzò il volto, provocandomi lievi brividi in tutto il corpo.
Mi strinsi nel mio cappotto mentre camminavo per quella via vuota. L'unica cosa a farmi compagnia era la mia ombra. L'unico cuore che batteva era il mio, ed era vuoto, senza alcuna voglia di continuare a pompare sangue. Questo faceva sì che il mio desiderio di essere trovata da loro aumentasse ad ogni passo, ad ogni respiro. Pensavo a tutto quello che potesse provocare il mio gesto: alle cose buone, e quelle cattive.
Se ci saranno.

Alle otto suonò la campanella dell'inizio delle lezioni.
Osservai tutti i ragazzi dirigersi verso l'entrata della scuola ed entrare all'interno di essa.
Io rimasi fuori per circa cinque minuti, nella speranza che qualcuno dei ragazzi che aveva mandato Marco arrivasse e mi uccidesse.
Ovviamente non fu così per ciò entrai a scuola, dirigendomi verso il piano abbandonato.
Lì avrei passato almeno la prima ora di lezione, così Jessica non avrebbe avuto occasione di avere "incontri ravvicinati" con me.
Una mezz'ora abbondante passò tranquillamente, almeno fino a quando non udii delle voci maschili avvicinarsi.
Mi alzai di corsa dal pavimento su cui precedentemente mi ero seduta, radunando alla bell'e meglio i quaderni e le penne dentro il mio zaino e corsi a nascondermi all'interno di una delle aule vuote.
Commessi l'unico e semplice errore di dare le spalle a chiunque stesse arrivando. Si sa che al nemico non si voltano mai le spalle. E in quel momento tutti erano i miei nemici.
Da dietro la porta, sentivo le loro voci attutite avvicinarsi, così come i loro passi.
Tutto tacque in un secondo.
Trattenni il respiro mentre delle goccioline di sudore iniziavano a scendermi dalla fronte.
Il mio corpo si stava scaldando dall'agitazione.
Succedeva sempre così: mi agitavo e la mia temperatura corporea saliva di colpo, facendomi sudare come se fosse giugno.
Mi allontanai dalla lastra di legno, indietreggiando fino a toccare con le spalle il vetro della finestra, che si trovava dalla parte opposta dell'aula.
Attimi interminabili si susseguirono a quello che avrebbe determinato se il mio sospetto fosse fondato o meno.
Beh, per una risposta non dovetti aspettare molto.
La porta della classe si spalancò di colpo e ne entrarono due ragazzi, alquanto alti: uno bruno con occhi scuri e l'altro, probabilmente, era il ragazzo che mi aveva tirato una sprangata intesta al B&B.
Mi avevano trovata, finalmente.
-Ciao Brenda.-

Unpredictable|| Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora