Capitolo 2 pt. 1

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-Beh? Come te la sei passata in questi tempi?-
I suoi occhi.
La campanella del l'intervallo era suonata da pochi minuti ed io ero già entrata nel panico perché non avevo la più pallida idea di cosa dire a Michael per iniziare una conversazione decente; Non ero brava in queste cose.
-Ehm... Normale. Cioè, bene. Insomma... Tu come te la sei passata?- Quando si balbetta è meglio dirigere l'attenzione su qualcun altro e se quel qualcuno è Michael, tanto meglio.
E' imbarazzante balbettare così davanti ad una persona che si aspetta una risposta decente, o quanto meno sensata. Di certo non vorrebbe un miscuglio di: "ehm, cioè, boh, insomma" o altre parole dette a random. Mi ritenevo già fortunata se non fossi diventata rossa come un peperone.
-Ho trovato i miei genitori naturali-
E te ne dovrai andare?
Ma che razza di egoista. Lui ha trovato i suoi genitori naturali e io spero che rimanga qui? Se fossi stata in lui sarei già andata da loro, ovunque fossero nel mondo! Ma forse lui lo ha già fatto.
Sono comunque felice, anche se se ne dovrà andare. Mi importa solo che sia felice e che stia bene.
-Michael ma è fantastico!- Dico abbracciandolo.
Prima che mi rendessi conto di ciò che avevo fatto lui ricambiò, stringendomi delicatamente a se e posando il mento sulla testa. -Mi sei mancata tanto Bre'- sussurrò tra i miei capelli, mentre aspirava con il naso.
Pensava davvero ciò che aveva detto o era solo una cosa detta tanto per dire?
Decisi di non rimuginarci troppo e mi assaporai quel l'abbraccio, che mi era mancato per molto tempo.
Fino a quando non lo interruppe Jessica. -Beh? Che succede qui?-
No, adesso no! Perché doveva avere tutto quel tempismo?
Michael si staccò dal abbraccio per poi portare la sua attenzione verso la sua ragazza.
-Mikey, l'intervallo è iniziato da cinque minuti e tu sei ancora in classe. Avevi promesso di accompagnarmi a fare un tour della scuola.- Disse, unendo le mani a pugno sotto il mento, facendo gli occhi dolci e sporgendo il labbro inferiore in fuori. Si comportava come una bambina, era ridicola.
Lui si mosse verso di lei per poi cingerla in vita e baciarla delicatamente sulle labbra. Putt... Okay mi contengo. Serrai le labbra e affondai le unghie nelle braccia incrociate al petto. Mi davano fastidio le loro dimostrazioni d'affetto. So che fosse un ragionamento sbagliato, tuttavia non potevo farne a meno.
-Potrebbe accompagnarci Brenda!-L'ingenuità del ragazzo era sorprendente, comunque mi era piuttosto evidente il fatto che ci tenesse a scambiare due chiacchiere con me. Purtroppo (o per fortuna) non avevo intenzione di fare il terzo incomodo, per ciò declinai l'invito.
-Credo che possiate cavarvela anche da soli... La scuola non è poi così grande; Ci sono solamente tre piani e poi non vorrei fare il terzo incomodo e...- Jessica scoppiò in una fragorosa risata e, anche se mi costa ammetterlo, per quanto mi urtasse il sistema nervoso era semplicemente un suono divino. Non mi sorprende il fatto che Michael si sia innamorato di lei e non di me.
-Stavo dicendo: la scuola è piccola e voi non siete scemi. Problema risolto.-
Ammetto che forse ero stata troppo acida ma se mi incavolavo erano guai, quindi era meglio rimanere semplicemente infastiditi, tanto infastiditi.
Non capivo perché Jessica si fosse messa a ridere... Che avevo detto di divertente? Nulla.
Jessica era stupita dalla mia risposta. Evidentemente credeva che mi piacesse Michael a tal punto da credermi capace di fare qualsiasi cosa per lui.
In parte era vero, mi chiedevo perfino io fin dove mi sarei spinta per lui.
Il ragazzo dai capelli violacei mi guardava con occhi supplichevoli a cui non potevo rifiutare e mi lasciai convincere, sicura che mi avrebbe raccontato un po' di cose che erano accadute a Milano da quando me ne ero andata.
Ma così non fu.
Mi ignorarono per tutto il tempo, mentre io cercavo di spiegargli dov'erano: la vicepresidenza, la sala insegnati e altre cavolate varie, loro si sussurravano cose smielate scambiandosi sguardi dolci e pieni d'amore. Mi ero proprio sbagliata: Michael non aveva la benché minima intenzione di parlarmi e questo fatto mi demoralizzò parecchio.
Insomma, non mi chiedi di accompagnarti se poi non hai intenzione di parlarmi, giusto?
Furono i cinque minuti più lunghi di tutta la mia vita e mentalmente feci i salti di gioia quando, finalmente, la campanella di fine intervallo suonò e, senza badare ai due innamorati, schizzai in classe per respirare un po' d'aria prima del rientro di Michael.
Dannazione era davvero perfetto, inoltre mi metteva in soggezione.
-Ehi, come mai sei schizzata via prima?- Davvero non ci arriva?
Il ragazzo mi guardava dritto negli occhi.
I miei occhi spenti e sciupati contro i suoi accesi e pieni di vita... Non c'era paragone.
-Era suonato l'intervallo, così sono tornata in classe. Combino già abbastanza guai e per ciò ho preferito non rischiare di arrivare in ritardo.- Risposi cercando di imitare una voce tranquilla e un'espressione indifferente.
In realtà, dopo l'intervallo, i professori ritardavano parecchio ad arrivare ma non mi è mai piaciuto fare la candela.
Tuttavia, per quanto io potessi impegnarmi a falsificare i miei sentimenti, lui riusciva a scovare la verità.
-Sicura? Hai un'espressione piuttosto... Amareggiata.- Aprì bocca per rispondergli che fosse tutto apposto, anche se era evidente che non fosse così.
Quando la professoressa di inglese fece il suo arrivo in classe ci salutò in inglese, come al solito: -Good morning!- Strillò lei, e subito seguì un eco di ragazzi che ripeterono la stessa frase della prof.
Era arrivata piuttosto in fretta e questo significava solo una cosa:
-Bene, distanziate i banchi e lasciate su di essi solamente una penna.-
Ecco, una cosa che odiavo di questa professoressa era che decidesse il giorno stesso se fare verifiche a sorpresa. Se non aveva voglia di fare lezione faceva verifiche oppure correggevamo i compiti per casa che ci erano stati assegnati.
Siccome la volta precedente (e quella prima ancora) non ci assegnò compiti per casa, ci fece verifiche a sorpresa o, come le chiamava lei, verifiche per svegliare il cervello.
A parer mio l'unico cervello che esigeva una svegliata era il suo.
-Fanno spesso verifiche a sorpresa in questa scuola?- La sua voce mi arrivò in sussurro ma capì chiaramente che fosse stato lui a parlarmi.
-No... Solamente lei e per ciò ti conviene essere bravo in inglese anche quest'anno, a meno che tu non voglia finire tra la lista di quelli interrogati sette giorni su sette.- Rise, forse troppo rumorosamente ma la prof non si accorse di nulla; Era troppo impegnata a passare tra i banchi e vedere se si fossero distanziati abbastanza gli uni dagli altri.
-Tranquilla Bre'. I miei veri genitori sono australiani. Ho l'inglese nel sangue.- Mi fece l'occhiolino e si girò verso la cattedra quando la prof. gli posò sul banco la sua copia del compito che avrebbe dovuto svolgere.
Ero ancora un po' confusa da quello che mi aveva detto Michael, anche se in questo modo si spiegherebbero i suoi voti stranamente alti in inglese e catastroficamente catastrofici nelle altre materie. Sì, tutto quadrava. Ma non era possibile avere l'inglese nel sangue, era solo voglia di studiare (anche se riferito a Michael "voglia di studiare" sembra tanto un insulto).
L'ora della verifica passò velocemente, come la lezione seguente.
Io e Michael chiacchieravamo tranquillamente, ogni tanto eravamo interrotti dal prof. che ci sgridava perché parlavamo e dalla sua ragazza, evidentemente gelosa, per lo stesso motivo del l'insegnante.
-Come stai?- Mi chiese di punto in bianco lui; Non sapevo che cosa rispondere. -Scusa, in che senso? Me lo hai già chiesto.- Gli feci notare un po' a disagio. Era una cosa strana per me, nessuno mi chiedeva "come stai?" e tantomeno me lo chiedeva due volte nella stessa giornata.
Imbarazzata, mi porta le mani alle ginocchia e iniziai a strusciarle contro di esse per asciugare il sudore delle mani.
Dannate reazioni psicosomatiche.
-Intendo: come stai, dopo che Jessica ti ha fatto quello e dopo che... Beh... Dopo il funerale... Insomma, volevo sapere come stavi in quel senso.-
Senza dubbio rievocare ricordi mi faceva male e tutto a un tratto i suoni, le voci dei compagni attorno a me e il rumore della campanella svanirono, lasciandomi a pensare ai momenti passati con mio padre.
Ricordo che quando ero più piccola mio padre faceva un lavoro, come ogni genitore fa, e tornava a casa il pomeriggio verso le 14.
Dopo aver mangiato mi portava quasi sempre al parco, dove mi incontravo con mia cugina e Michael.
Lui stava lì, al parco, spesso da solo e siccome non volevo che rimanesse tale lo costringevo a venire a giocare con me e i miei amichetti e molto spesso sembrava divertirsi anche lui con me. Restava al parco fino alle 17 solo per fare un favore a me.
Mia madre non lo avrebbe mai fatto.
A mio padre dicevo tutto quello che mi succedeva, sia a scuola che fuori.
Lui sapeva della mia super-cotta per Michael e mi dava sempre buoni consigli.
Quando iniziai le medie mio padre cambiò lavoro, che lo allontanò da me. Lo vedevo sempre meno e io caddi lentamente in depressione.
Beh, fino a quando non venne licenziato, credo che fosse il periodo verso la terza media, avevamo un'estate davanti.
Mi portò al mare in Irlanda e ci divertimmo come non mai. Ma qualcosa andò storto; Lo chiamarono per un nuovo lavoro all'estero e dovette ripartire senza nemmeno sapere quando sarebbe tornato. Le mie giornate erano incredibilmente noiose e le passavo a studiare (wow) e a guardare la tv. Non uscivo molto spesso per il semplice fatto che come mettevi piede fuori di casa ti squagliavi al sole, non per niente in quel periodo le persone vanno in vacanza (sopratutto) al mare.
Di mio padre ricordo sopratutto gli occhi: marrone che sfumava in verde, proprio come i miei. Li preferisco di gran lunga a quelli di mia madre: neri come il petrolio.
Mi capita molto spesso di ripensare a quei meravigliosi periodi e di essere sull'orlo di piangere, e né mia madre e né i miei 'amici' capiscono quanto io stia male.
Li odio tutti.
Potreste pensare che io sia una di quelle che non vanno d'accordo con nessuno e che odia tutti... E avreste ragione, ma ho le mie buone ragioni.

Unpredictable|| Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora