Capitolo Quattro

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Il centro commerciale era brulicante di coppie che si stringevano la mano e donne indaffarate, seguite dai loro compagni affannati.

Audrey mi stava al fianco, anche lei un po' imbarazzata per la mia inaspettata dimostrazione d'affetto. Solitamente non sono un tipo molto sentimentale, ma quello fu un istinto che non riuscii a soffocare. Non ero pentito o cose del genere: ero stupito. Probabilmente sarei stato assegnato a Grifondoro per il mio gesto di cavalleria, se fossi mai entrato ad Hogwarts. Ci spero ancora.

«Allora... ehm... che gusto preferisci?»
Ci eravamo fermati davanti al chioschetto, gestito da un uomo di mezza età che sembrava un tipo gentile. Aveva le gote arrossate e una rada barbetta bianca: sembrava un'apparizione prematura di Babbo Natale.
«Io... non lo so, davvero, mi va bene tutto!»
Per la prima volta Audrey arrossì.
«Dai, non fare la timida!»
Io che dicevo a qualcuno di non fare il timido? Probabilmente tra pochi minuti sarebbero atterrati sulla Terra gli abitanti di un pianeta sconosciuto e avrebbero rapito tutti i nostri lemuri. Come si fa a far del male a quegli esserini tutt'occhi?
«Non sono timida!» Finalmente rideva. «È solo che non ho idee. Mmh...» osservò attentamente i distributori. Da piccolo adoravo fissare quelle macchine che giravano e giravano e giravano, in continuazione. A dire la verità le stavo fissando anche in quel momento, ma Audrey era troppo presa dalla decisione che avrebbe cambiato il corso della sua esistenza per accorgersene.
«Okay, ho deciso!» Ero in trepidazione. «Fragola!»
Wow. E io che mi aspettavo qualche gusto strano da stalker.
«Bene, allora una granita alla fragola e una alla menta.» Il vecchio gemello di Santa Claus preparò i due bicchieri con una destrezza e un'agilità che delineavano la bravura e l'esperienza dell'uomo. Tutto sembrava fuorché un nonnetto. Sembrava uno di quei baristi sportivi, quelli che si dilettano a lanciare in aria i drink costosi e riprenderli al volo con acrobazie degne di un trapezista. Una volta ci provai, a casa, con mia madre che stava lavando le stoviglie. Il tentativo non andò proprio a buon fine: la mia carriera di barista sportivo era stata stroncata sul nascere. Io ci passai sopra dopo qualche minuto, ma mia madre non fu dello stesso avviso: ricacciò fuori il suo repertorio di imprecazioni, mentre puliva il disastro che avevo combinato. Almeno avevo depennato un mio possibile mestiere futuro, era già qualcosa.

Dopo aver pagato e trasmesso telepaticamente la mia lista dei desideri al vecchio affinché la girasse a suo fratello in Lapponia, io e Audrey ci infilammo in uno dei limitati spazi tra la folla e seguimmo il flusso che andava verso l'interno della galleria. Il viso di Audrey era un po' ombroso e continuava a tenere la bocca chiusa. Non credevo che fosse un atteggiamento proprio del suo carattere, così pensai che fosse ancora scossa per il racconto di prima e la mia annessa reazione. Dovevo fare qualcosa.

«Sai, penso che i miei stiano per divorziare.» Non era proprio il genere di frase che avevo in mente. Doveva essere più un "Che pizza preferisci?", ma il mio cervello voleva prendere parte alla gara su chi aveva i genitori più incasinati.
«Dici davvero?»
«Già.» Avrei voluto asserire il contrario, ma era la verità. Ne ero quasi certo.
«Come mai?» Il suo tono era pacato, ma ancora un po' acuto.
«Non lo so con certezza... credo che sia per il fatto che mio padre non c'è quasi mai o perché discute con mia madre per quasi tutto il tempo che trascorre a casa.» Avevo le lacrime pronte a scendere, ma le ricacciai indietro. «Non fraintendermi, quando ci sono io si comportano come se fossero una delle coppie più solide di questo mondo. Credono che non li senta o che non capisca che c'è qualcosa che non va, ma io lo so. So che parlano spesso di volersi separare, ma non prendono mai la situazione in pugno per me.» Tirai su con il naso. Audrey mi guardava con uno sguardo interessato e profondo, come se potesse leggermi dentro. Avevo una strana ma intensa sintonia con lei. Avrei potuto parlarle anche dei miei escrementi, se non fosse stato troppo disgustoso.
«A volte ho pensato di scendere in cucina e dirglielo. Dirgli che sapevo tutto e che potevano fare ciò che volevano, ma loro mi distraggono sempre con questi continui traslochi. Prendi la valigia, riempi la valigia, vuota la valigia, riempila di nuovo, vuotala di nuovo... è stremante. A volte penso di protestare, ma a cosa servirebbe? Di problemi ne hanno già a sufficienza, mi pare.» La mia voce era inverosimilmente controllata e severa. Non provavo rabbia per i miei genitori, non la meritavano. Ero preoccupato per loro. Non erano felici, lo si leggeva nei loro occhi stanchi e vuoti. Ogni sera, a tavola, intraprendevano sempre una conversazione che solitamente interessava la scuola o la mia vita, ma ogni volta che non si trovavano d'accordo su qualcosa - il che accadeva molto spesso - si scambiavano sguardi colmi di rancore e disappunto. Forse pensavano che io non me ne accorgessi, ma sono troppo intelligenti per credere una cosa del genere. Forse avrei preferito essere più stupido, tanto stupido da credere alle loro scenette. Era più forte di me, la mia mente andava oltre quelle aperture di sipario a cena, io sapevo. Sapevo, ma tacevo. Tacevo perché temevo.

«Be', non è così male come sembra. Normalmente hai doppi regali, doppie paghette... tutto questo a patto che a tuo padre non sia stato proibito di vederti a meno che non siate a cinquecento metri di distanza l'uno dall'altro.» Il suo tono era leggermente ironico, innaturalmente disinvolto. Le sue labbra si erano aperte a formare un sorriso sterile, quasi forzato.
«Scusami, di nuovo.» Non ero arrabbiato, ma apprezzai come prima il fatto che si fosse scusata.
«Non preoccuparti. Che ne dici se cambiamo argomento?»
Per il resto della passeggiata parlammo delle cose più disparate, come la nostra infanzia o la pasta. Avevamo gusti e vite molto simili. Mi piaceva parlare con lei.

Passarono due ore e nessuno dei due parve accorgersene. Ci dirigemmo lentamente verso casa e ci fermammo fuori il mio vialetto, come avevamo fatto il pomeriggio dello stesso giorno.
«Allora a domani.»
«Ehm... sì, a domani!» Il suo tono era tornato cordiale come all'inizio.

«Ehi, mamma!» Era impegnata a scrostare il contorno del fornello, quando si girò verso di me.
«Chi era quella ragazza con cui sei uscito?» Il tono era amichevole, ma inequivocabilmente allusivo e proprio di un atteggiamento investigativo.
«Una di scuola. Salgo in camera.»

Papà non era ancora tornato, così mi sistemai sul letto in attesa della cena. Ripercorsi mentalmente la giornata, che era stata così frenetica da non darmi il tempo di rifletterci su. Che cosa buffa, Audrey era seduta dietro di me al corso di biologia e non me ne ero nemmeno reso conto... il corso di biologia... un momento: io non frequentavo nessun corso di biologia.

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Colgo l'occasione per salutare tutti i lettori e per ringraziarli, in particolare modo NatAly9706 per aver menzionato la storia nella sua raccolta!

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