Audrey
Sentii il cuore battermi all'impazzata, lasciandomi poco fiato per potermi riprendere da quel contatto. Incrociai il suo sguardo solo per qualche secondo, prima di realizzare cosa avevo fatto. Interruppi il contatto visivo e, biascicando qualcosa di incomprensibile persino per me, raccolsi le poche energie rimastemi e mi avviai spedita verso l'uscita del corridoio. Mi sentivo ancora il suo sguardo addosso mentre sfilavo impacciata attraverso il biancore di quell'ala ospedaliera, come una bimba che si era persa.
E dire che ero ancora una bimba, e che mi ero davvero persa.Sfrecciai fuori dal corpo centrale dell'edificio senza guardarmi indietro, confidando nel fatto che Sam fosse troppo sconvolto per seguirmi. Gli avevo procurato un bel da fare. Ero la colpevole di tutto, tutto quello che gli aveva sconvolto l'esistenza. Mi ero arrogata il diritto di rovinargli la vita solo perché io per prima l'avevo rovinata a me stessa.
Nel frattempo fuori era calata la buia coltre della sera, mentre le auto attraversavano a tutta velocità le strade, dirette a casa. Le guardavo sfrecciare verso le loro piccole realtà felici, incontaminate. O magari erano dirette verso un inferno, una realtà da cui volevano fuggire, ma a cui erano inevitabilmente legate per la vita.
Io stessa ero chiamata ad asservire una vita di cui non mi sentivo padrona, che da quel giorno aveva preso le redini in mano e aveva fatto in modo che io fossi la schiava. Una vita che aveva deciso di farla finita con me e di lasciarsi trasportare dalle mani esperte di qualcun altro, sicuramente più abile di me.D'improvviso sentii di nuovo avvicinarsi la sensazione di stanchezza e torpore di quella mattina. Cercai di appoggiarmi a qualche sostegno, ma oramai tutto intorno a me girava ad una velocità esorbitante, come se fossi sul perimetro di una giostra in funzione. Le palpebre spingevano verso il basso, mentre i fanali delle automobili divenivano bolle di luce che s'intersecavano e mi annebbiavano la vista. Iniziai a traballare, perdendo il controllo delle mie gambe come di tutto il mio corpo, il quale scelse bene di rifiutarsi di stare ai miei ordini, inefficaci come i tentativi di riprendere possesso della mia vita.
Il cielo cinereo continua a fondere e cadere giù sotto forma di un'incessante pioggia di lame liquide che rigano il vetro della finestra, distorcendo il mondo esterno, mentre quello interno resta limpido e sonoro. Gli schiamazzi provenienti dal salotto in fondo alle scale continuano a battere incessanti sulle pareti del corridoio e ad oltrepassare la porta della mia camera senza nemmeno chiedere il permesso. Un po' come aveva fatto lo stronzo, si era espanso in tutto il volume della casa senza nemmeno chiedere di poter restare. Si era approfittato di mia madre, una donna troppo debole e sprovveduta per poter far fronte ad una situazione del genere. Si era lasciata offuscare dal desiderio di avermi e aveva deciso di sottostare a tutti i suoi deplorevoli ordini pur di averlo accanto. So che, in fondo, lei lo ama. Ha imparato - non so in che maniera, ma lo ha fatto - ad apprezzare i suoi modi bruschi, come a lei piaceva tanto chiamarli. Bruschi. Mai sentito un eufemismo tanto inefficace di fronte alla realtà visibile delle cose.
Le urla continuano a trapanarmi la mente e lacerarmi i timpani, mentre rumorose folate di vento fanno da sottofondo al battibecco - sempre per usare un eufemismo -, sbattendo di qua e di là le imposte in alluminio.
«Basta, smettila!»
«Tu e quella ragazzina dovete solo ringraziarmi, hai capito?!»
Ringraziarti? Dovrei ammazzarti per tutto quello che ci hai fatto passare. Notti insonni passate a temere che tornassi dal pub sbronzo e carico di rancori da smaltire sulle nostre pelli. Giornate intere trascorse a servirti e riverirti per paura di una qualsiasi ripercussione. Devo ringraziare mia madre e non te di certo.
«Basta, lasciami andare!»
«Vieni qui, fammi divertire un po'!»
Non riesco a cogliere anche solo la più piccola motivazione per cui non dovrei precipitarmi giù per le scale e trafiggerlo con una lama tante volte quante aveva percosso me e mia madre.
«AAAAAAAAAAH!»
Un urlo acuto e disumano squarcia l'aria e irrompe come un allarme nella mia testa. Subito dopo un tonfo sordo scuote il pianerottolo. Pezzo di merda.Non ci vedo più. Prendo il fascicolo dell'orfanotrofio spinta da non so quale istinto e spalanco la porta della camera, decisa a farla finita. Mi dirigo verso l'imbocco delle scale e, conservando una calma del tutto incoerente con la situazione, inizio a scivolare piano, scalino dopo scalino, verso il basso, mantenendo un ritmo silenzioso ma spedito. Più scendo di quota, più sono nitide le imprecazioni provenienti dal salotto.
«Merda. Merda.»
In me si danno battaglia emozioni e istinti contrastanti. Da un lato la paura per quello che potrebbe essere capitato a mia madre per mano di quel delinquente, dall'altro il sentimento violento di vendetta che mi domina. Sono arrivata all'ultimo gradino. Aderisco alla parete esterna della sala, aspettando il momento adatto per entrare. In realtà non so cosa fare una volta dentro, ma uno solo è il mio obiettivo: fargli del male. Sento come se un fuoco mi corrodesse dall'interno, come se tutti i timori e le preoccupazioni avessero lasciato spazio agli istinti più violenti e reconditi della mia anima.Faccio capolino all'interno per saggiare la situazione e la scena che mi ritrovo davanti agli occhi spegne per un attimo il fuoco che mi ardeva dentro. Lo stronzo disegna cerchi concentrici per terra seminando imprecazioni, mentre mia madre giace svenuta dietro il tavolo. Per un attimo la paura e il dolore prendono il sopravvento e mi accascio a terra, lasciandomi bagnare il viso da quelle lacrime di sconfitta. Ho perso, di nuovo. Quel mostro aveva di nuovo seminato quello che di più infimamente superbo la sua anima riusciva a partorire: la distruzione.
Non posso lasciar correre. Non di nuovo.D'un tratto la vista mi si annebbia e un cieco sentimento d'odio soffia di nuovo sul fuoco di vendetta che si era assopito. Tremo, ma non di paura. Tremo di rabbia.
Faccio irruzione nel salotto quasi inconsapevolmente. Mi lascio trascinare dai fumi di disprezzo che irrorano le mie carni e i miei pensieri. Perdo il raziocinio senza opporre resistenza, lascio che sia l'odio a condurre il gioco. Solo lui avrebbe potuto portare a termine quello che la mia ragionevolezza m'impediva da anni di fare.
Faccio un rapido giro di perlustrazione sotto gli occhi increduli e iniettati di sangue di quel mostro.
«Che ci fai qua? Vai in camera tua, va tutto a gonfie vele!»
Altro che vele, quello che ne uscirà gonfio sarai tu, bastardo.Si sa, il fuoco cerca il fuoco, ed è proprio quello che trova il focolare acceso dentro di me. Gli occhi mi si posano sulla fiamma nel camino ancora scoppiettante, in cerca di qualcosa di indefinito, ma che doveva trovarsi lì. Dopo pochi secondi, tutto diventa limpido, o almeno lo diventa per il mio istinto, poiché è in questo istante che perdo completamente possesso di me.
Dopo qualche istante di blackout, mi ritrovo ad avventarmi contro di lui con una furia disumana, stringendo nel pugno destro il manico dell'attizzatoio rovente. Non ha il tempo di scansarsi, né io quello di riprendere coscienza. Lo riduco dallo stato di carnefice a quello di vittima nel giro di pochi secondi. Mi avvinghio con le gambe al suo torace, inchiodandolo al pavimento. Incredibile come certe tecniche ti riescano naturali quando tutte le tue facoltà sono costrette ad arrendersi al controllo delle passioni.
Lo sento biascicare qualche parola come prego e puttana, ma tutti i miei recettori sono occupati a localizzare i punti vitali in cui colpire. È allora che inizia il tormento.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Mi sento la mano sinistra bagnata da un liquido denso e caldo, ma non le do peso. Sei. Sette. Otto. Il sangue inizia a sgorgare a fiotti dalle ferite che gli sto procurando. Nove. Dieci. Undici. Posso vedere le sue labbra comporre parole mute, mentre riesce ad espellere solo liquido denso e di un rosso scurissimo. Dodici. Tredici. Quattordici. Sento nascere dentro di me un sentimento di macabra soddisfazione, mentre guardo l'energia vitale abbandonare lentamente il suo corpo, lasciandolo esanime.
«Va tutto a gonfie vele, no?»
STAI LEGGENDO
The SAM Plan
Mystery / ThrillerSam è un ragazzo 'atipico', come a lui stesso piace definirsi. Spettatore dei continui tentativi dei genitori di nascondere i loro problemi coniugali e di una vita che non gli appartiene, custode di un segreto che ferisce e cura il suo cuore allo st...