Sam
Restai per una decina di minuti a fissare lo schermo vuoto. Cercai di rimettere insieme i pezzi della conversazione che avevo appena sostenuto, ma più ci provavo più mi riusciva difficile. Mi piaci. Mi piaci?! Non so, non ci vedevo chiaro in quella faccenda. La sua dichiarazione mi aveva messo in agitazione. Le rotelle nella mia testa iniziarono a girare più freneticamente, perché ero davvero restio a credere alle parole di Audrey. Aveva mentito una volta, perché avrebbe dovuto trattenersi dal farlo una seconda? Eppure avevo paura. Se fosse stato tutto vero? Se avesse solo cercato una scusa per avvicinarmi e conoscermi? E se invece fosse stato solo un diversivo per adescarmi e farmi cadere nella sua ragnatela, pronta ad inghiottirmi e uccidermi? Forse stavo viaggiando troppo con la fantasia.
Non riuscivo a stare fermo. Giravo in tondo per tutta la stanza, le gambe che si muovevano da sole e il cuore che accelerava il suo battito. Guardai fuori dalla finestra: era buio ormai, papà sarebbe tornato a momenti. Dopo qualche altro minuto di congetture, mi lasciai cadere sul letto e mi ci sdraiai sopra. Willy aveva cambiato posizione, ora si trovava più vicino al lampadario di vetro colorato. Chiusi gli occhi e iniziai a meditare. Avrei voluto addormentarmi, allontanarmi per un momento da quella spirale di novità e colpi di scena, ma la mia mente non poteva essere più lontana dal sopirsi. Ruotai la testa sul lato, in modo da includere nella mia visuale anche il cellulare, inerte nel suo involucro rovinato. Volevo che suonasse. No, non volevo che mi chiamasse. Volevo chiamarla io. No, non lo avrei mai fatto. Come avrei dovuto spiegarglielo? Se fosse stata tutta una messinscena non ci sarebbe stato motivo di dirle nulla. Era forse meglio lasciar correre. Magari non l'avrei rivista. O forse sì.
Il silenzio fu rotto dal rombo sommesso emesso dal motore dell'auto di mio padre. La sua sagoma scura percorse il vialetto lentamente, fino a raggiungere la serranda del garage.
Restai in camera fino a che mio padre non entrò dalla porta, che emise un leggero cigolio quando si aprì verso l'interno. Restai sul ballatoio giusto il tempo per sentire i miei scambiarsi qualche parola.
«Alla buonora.»
«Ho avuto da fare in ospedale.»
«Non oso immaginare la fatica.»
«Non ricominciare.»
«Non ce n'è bisogno, hai già fatto tutto tu.»
Appena sentirono i miei piedi appoggiarsi sugli ultimi gradini, s'immobilizzarono. Le loro labbra serrate furono squarciate da un sorriso forzato e duro: forse credevano che fossi davvero stupido.
«Ehi, Sam!»
«Papà.»
Il mio tono non era severo, quanto annoiato. Ero stanco di sorbirmi le loro esibizioni di cabaret ogni sera.
«Allora, com'è andato il primo giorno?» Chiese lui appena accavallò le gambe sotto il tavolo. Mia madre era impegnata a spostare qualche cosa nella padella. Il suo sguardo era fisso sui peperoni che stavano soffriggendo decisamente troppo, a giudicare dall'odore acre che si espandeva nella cucina.
«Mmh... niente di che, come al solito, come tutti i primi giorni. Ah, ho cambiato scuola, sai?»
Il suo sguardo, che si era spostato sulla mamma per una frazione di secondo, si spostò di nuovo su di me. Le sue labbra erano nuovamente incollate, ma si incurvarono in un sorriso serrato quando realizzò che avevo appena detto qualcosa.
«Fantastico!»Non ci potevo credere. Sembrava di essere in uno di quei film che trasmettono a Natale, dove i genitori non calcolano minimamente i propri figli perché presi troppo dai loro complessi problemi coniugali. Solitamente quei lungometraggi terminavano con i genitori che facevano la pace e che intraprendevano la loro vita da coppia perfetta. Forse non sarebbe stato lo stesso per i miei.
La cena proseguì silenziosamente, solo il rumore del contatto tra le posate e i piatti di vetro a fare da metronomo. Il pasto fu scandito da un susseguirsi di rintocchi metallici, in un ritmo incalzante e teso. Gli sguardi erano tutti posati sui piatti unti dall'olio. Qualche volta sfuggiva un contatto visivo inopportuno, uno sguardo di sottecchi che non passava inosservato agli altri commensali. Mio padre fece scivolare le pupille in direzione di mia madre. Mia madre rispose con uno scatto repentino degli occhi, che si fermarono subito, attratti inspiegabilmente da una fetta di peperone che se ne stava sul bordo del piatto, in attesa di essere ingollata. Io, dal mio canto, osservavo il timido scambio di sguardi severi. Erano troppo presi dal loro muto discorso per accorgersi di me.
La cena parve durare un'eternità, intervallata da qualche pezzetto di pane ingollato per pura noia o da un sorso d'acqua bevuto solo per distorcere la visuale apatica attraverso il fondo del bicchiere di vetro. Alla fine del pasto mio padre fece scivolare all'indietro la sedia alzandosi, interrompendo il silenzio denso di tensione. Feci per alzarmi anch'io, quando la mia attenzione fu richiamata dalla voce di mia madre: «Vuoi qualcos'altro, tesoro?»
«No, mamma, grazie.»Risalii la rampa di scale, distinguendo per un momento mio padre che parlava al telefono in soggiorno. Il suo tono era dolce. Anche un babbuino avrebbe capito che stava conversando amabilmente con la sua nuova amante. A volte mi stupivo della rapidità con cui mio padre cambiava le sue concubine. Probabilmente era una delle infermiere che lavorava nel suo reparto. Forse era una sua vecchia paziente, cui somministrava spesso le sue amorevoli cure. Che medico di cuore.
Calpestai con violenza ogni gradino, i passi carichi di rabbia repressa. In quel momento sentii un filo che legava me e Audrey. Avevamo entrambi dei genitori modello.
Quando mi sovvenne il suo nome, ricominciai a pensare a quello che mi aveva detto qualche ora prima. Le teorie che avevo elaborato poco prima rincominciarono ad invadermi la testa, una spugna pregna di parole che volteggiavano e si rimescolavano fra loro. Mi piaci. Non ricominciare. Mi sono innamorata di te. Ho avuto da fare in ospedale. Mai sentito parlare dei colpi di fulmine? Non oso immaginare la fatica. Hai già fatto tutto tu.
Il letto sembrava un rifugio, una cupola di vetro su cui battevano insistenti tutti quei pensieri. Volevano entrare. Non volevo aprire.
Socchiusi gli occhi in attesa di un sonno che non arrivava mai. Proprio nel momento in cui stavo per abbandonarmi tra le braccia di Morfeo, il cellulare emise uno scampanellio metallico. Un messaggio. Sapevo di chi era. Era l'unica cosa per cui avrei perso volentieri il sonno.
Ethan
Che fai? Mi manchi.
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The SAM Plan
Misteri / ThrillerSam è un ragazzo 'atipico', come a lui stesso piace definirsi. Spettatore dei continui tentativi dei genitori di nascondere i loro problemi coniugali e di una vita che non gli appartiene, custode di un segreto che ferisce e cura il suo cuore allo st...