Capitolo 12

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Sto con Jennifer.

Questo e' il pensiero che continuo a ripetermi in testa da ormai giorni e giorni. Lo ripeto continuamente come per convicermene.

Quando e' al mio fianco ne sono sicuro. Ne sono sicuro perche' posso baciarla,toccarla guardarla.

Posso infilare la mano tra i suoi capelli o stringerla a me quando qualcuno la guarda di troppo.

Ne sono sicuro perche' posso guardarla mentre mi rivolge uno dei suoi sorrisi senza dover distogliere lo sguardo.

Quando non e' con me pero' comincio a vacillare e mi sento insicuro. E' come se quando non fosse al mio fianco non riuscissi a realizzare il fatto che ora e' la mia ragazza.

Sto con Jennifer. Sto con Jennifer. Sto insieme a Jennifer.

"Si!" esclamo forte.

Subito mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi ha visto,quando son sicuro che nessuno si e' accorto della mia pazzia momentanea,ricomincio a camminare.

Sono ormai dieci minuti che faccio avanti e indietro davanti a casa,ma non sono sicuro di voler entrare.

Margaret Cliver sara' sicuramente pronta in salotto come un pitbull affamato di informazioni e dettagli.

Ho riaccompagnato Jennifer a casa e anche lei sembrava preoccupata per un imminente interrogatorio da John Milton. Spero non voglia farmi un qualche discorso o se simili anche a me,perche' quell'uomo mi fa paura.

Non che sia cattivo ma ha un aura autoritaria che incute timore. La cosa strana e' questa aura sembra annullarsi solo quando c'e' Jennifer nei dintorni. Le staro' appiccicato come un bimbo di due anni se vedro' suo padre. Se e' necessario mi aggrappero' alle sue spalle come un koala.

Non starai esagerando?

Per niente! Non ho mai dovuto aver a che fare con i genitori delle ragazze. Nemmeno con Caroline ho dovuto incontrare i suoi genitori o qualsiasi suoi famigliari.

Strano eh? Una relazione cosi lunga e non so nemmeno che faccia abbiano i suoi genitori.

Purtroppo Caroline era una stronza doppiogiochista e io il suo maledetto gioco preferito.

A quanto pare non ero abbastanza importante per presentarmi ai suoi parenti.

Prendo un profondo respiro e cerco le chiavi per aprire la porta.

Una salita. Ecco cos'e' stato questo percorso con Jennifer,una salita. Ma non quelle salite in cui cominci a correre piano piano,poi aumenti la velocita' e arrivi alla fine,con qualche goccia di sudore sulla fronte.

Oh no. E' stata una salita piena di buche,steccati da saltare,discese e fosse enormi.

Correre. Correre. Cadere e rialzarsi. Correre piano per poi aumentare la velocita' subito dopo. Correre alla velocita' della luce finche' non ti senti i polmoni scoppiare e l'aria mancare. Poi ti fermi,ma solo per un secondo,perche' ricominci a correre piu' forte di prima. Cadi. Cadi di nuovo e ancora una volta. Corri e cadi sbucciandoti il ginocchio. Cadi di nuovo e ti sbucci anche l'altro,ma non importa,perche' non guardi nemmeno il sangue colare e ricominci a correre.

Correre.Correre.Correre. Urlare mentre corri. Piangere mentre corri. Soffocare mentre corri.

Correre e cadere. Rialzarsi e respirare. Farsi male e non badarci. Mettersi un cerotto per farlo cadere di nuovo durante la corsa.

Una corsa asfissiante che ti porta via tutte le forze in corpo. Quelle corse che quando sei quasi alla fine senti che vuoi vomitare e la maglia e' completamente sudata.

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