CAPITOLO 4 - Fuori dall'ordinario

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Era passata più di una settimana da quando eravamo divenuti ospiti dei coniugi Portman e, nonostante i primi attimi di diffidenza e gli screzi avvenuti durante le nostre conversazioni, eravamo riusciti ad ambientarci.

Il timore della padrona di casa nei nostri confronti, però, non aveva offuscato le sue buone maniere. Benché fosse stata restia ad accettare la nostra presenza nella sua dimora, sin dal primo momento ci aveva messo a disposizione una stanza e aveva preparato, senza alcuna remora, i pasti per noi, che  provvedeva a portare nella nostra camera.

Fu durante uno di quegli ultimi momenti che riuscimmo ad abbattere il muro di perplessità sul nostro conto costruito nella sua mente. Scoprimmo, a seguito di una chiacchierata conciliante, in Sophie, una persona molto affabile e di buon cuore.

Da quel momento in poi, io, Francis e la donna divenimmo inseparabili. Trascorremmo buona parte delle nostre giornate a chiacchierare, a raccontare aneddoti sulla nostra vita da mortali, in quanto Sophie era affascinata dalla nostra realtà e a giocare con il piccolo Dean, che in qualche modo mi ricordava Christian e, di conseguenza, il dolore nel non poter essergli accanto.

Quando guardavo il figlio dei Portman, avvertivo il desiderio di riabbracciarlo, coccolarlo, dargli da mangiare e prendermi cura di lui come avevo sempre fatto fino a prima di sparire. Mio malgrado, però, non era possibile fuggire da lì e il mio ritorno a casa era solo una labile speranza.

Come se non bastasse, il piccolino aveva preso l'abitudine di chiamarmi Lene proprio come mio fratello e, ogniqualvolta ciò accadeva, un alone di tristezza si posava sulle mie spalle, caricandole di un ulteriore fardello.

Tuttavia, quel peso diveniva più sopportabile quando Francis lo condivideva con me e quando cercava di rassicurarmi sul fatto che presto saremmo potuti ritornare a casa, sebbene alle volte sembrasse non crederci neanche lui. Nei momenti in cui la sua fiducia al riguardo vacillava, le mie aspettative diminuivano, però non potevo non essergli grata per il suo sostegno morale.

E non potevo non essere riconoscente nei suoi confronti anche per il modo in cui riusciva a interpretare i miei pensieri e i miei timori, spesso placati con un abbraccio. Un gesto semplice, privo di malizia, ma in grado di suscitare in me imbarazzo

Forse, ciò avveniva perché io non avevo mai abbracciato nessun uomo al di fuori del mio nucleo famigliare prima di allora; eppure, quando mi stringeva, mi sentivo al sicuro, come se stesse cercando di proteggermi da chissà quali pericoli. Benché sapessi di potermela cavare da sola, era un enorme sollievo averlo al fianco e avvertire la sua preoccupazione. Oltretutto, lui era l'unica persona di cui mi fidassi da quando ero arrivata in quel luogo e, sapere della sua vicinanza, era motivo di conforto.

Frederick e Sophie dovevano essersene accorti, perché evitavano di separarci e spesso ci lasciavano da soli. Con ogni probabilità, pensavano di veder nascere qualcosa fra me e lui.

Al contrario di loro, non ero sicura che ciò potesse accadere, in quanto ero del parere che sarebbe servito del tempo perché il nostro rapporto potesse prendere una piega diversa. Quello stesso tempo passato dinanzi ai nostri occhi alla stessa velocità di un treno in corsa e che aveva sostituito, senza che potessimo accorgercene, le fresche giornate di aprile con le calde giornate di fine maggio.

Nonostante fossimo rimasti reclusi all'interno della casa, quello fu un mese pieno, intenso, in cui io e Francis avemmo modo di riflettere al riguardo dei nostri obbiettivi, ma, soprattutto, sul nostro ruolo in quell'abitazione. I padroni di casa non ci avevano rivolto alcuna lamentela, però noi non volevamo abusare della loro ospitalità e quindi, convinti più che mai a dare una mano per il sostentamento della famiglia, decidemmo di parlarne con loro, un giorno, all'ora di pranzo.

LEGENDS - I guerrieri (DA REVISIONARE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora