Capitolo III - La morte viaggia assetata

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Era probabilmente un soggetto debole sin da umano e doveva essere stata la sua fiacchezza morale e fisica ad indurre un qualche scellerato a cibarsene agevolmente, rendendolo il miserabile vampiro che ora si aggirava per le strade fiutando l'aria della sera.

Lo seguivo con lo sguardo vigile, non avevo nessuna voglia di essere intercettato, lo scontro sarebbe stato inevitabile in un terreno di caccia così esiguo, tanto più che non c'era nemmeno un cane in giro. Anche se ad essere onesto non mi sarei privato del dolce piacere di distruggere con le mie mani quell'abominio infernale, mi sentii comunque portato ad averne pietà; anche io in fin dei conti che cos'altro ero se non una creatura inquieta ed inumana, un essere senza origine certa venuto da chi sa dove, ed era questo uno dei miei più grandi dolori, non possedere radici, non avere più un contatto con l'umanità... avevo perso anche il ricordo di ciò che ero quando vivevo come essere umano...non riuscivo più a rammentare il suono della voce dei miei cari ne il calore dei loro abbracci, comprendere di essere soli a questo mondo è sconvolgente e ci fa in un certo senso sentire già morti.

Ed ecco, ora sentivo il pungente bisogno di piangere, e la vista mi si appannava mentre lo sconosciuto bevitore dalla tetra dentatura si sfocava, i suoi contorni si sbaffavano, come se fosse stato disegnato col carboncino e qualcuno distrattamente ci avesse passato sopra un polpastrello. Mi tirai indietro, oltre il muro di mattoni umido e mi ci abbondai contro con le spalle, alzai il mento e cercai con gli occhi liquidi il cielo, era nero, era muto. Me lo aspettavo e piansi calde lacrime di sangue.

Per tutta la notte veleggiai lungo le strade della città dormiente, un umore amaro mi accompagnava seguito da pensieri foschi e tetri. Continuavo a maledire me stesso per non essermi lasciato morire nella vecchia soffitta, mi ero aggrappato ad un ragno per aver salva la mia infausta vita, e non era forse esso più meritevole di me? Minuscola creaturina laboriosa , così energica, così meravigliosa e io? Un parassita assetato, una zecca sul collo dell'umanità.

Un vampiro! Diamine, i mortali ci credono esseri fascinosi e sensuali... puah!Sanguisughe! Niente più. Mi frullava la mente in quella notte umida e troppo silenziosa, e per di più tutto quel rimuginare aveva aperto una voragine dentro di me ed ebbi sete.

Smisi i panni del pensieroso errante e mi feci guardingo e felino.

Adocchiavo rapidamente i vicoli, le poche vetture che sferragliavano sulla strada, le finestre scure che davano su giardini spettrali. Tutto sembrava essere stato riposto al sicuro, celato al mio sguardo vigile, eppure sapevo che doveva esserci il mio pasto, da qualche parte.

Mi scoprì notevolmente assetato, troppo per rimanere lucido mentre mi muovevo in avanscoperta.

Può essere dannatamente pericoloso cacciare quando si è afflitti da un notevole appetito, si diventa affrettati e sbadati, si rischia di sbranare la propria vittima e questo è un fatto che ho sempre trovato maledettamente disdicevole.

Eppure, più mi muovevo nella notte più mi lasciavo alle spalle la coerenza e le buone maniere, il mostro annidato nelle mie carni prendeva vigore e mi spingeva a mollare le redini, mi istigava alla caccia.

L'indolente passo che avevo tenuto fino a quel momento si sciolse ed io, mi feci ratto e sinistramente agile.

Come un'ombra mi stagliavo un'istante sulle mura delle case, poi svanivo, scivolando lungo le stradine mute. Annusavo l'aria fradicia in cerca dell'odore tiepido di un corpo che stupidamente si fosse avventurato nella notte.

Ero ormai preda della sete, irrimediabilmente perso nella sanguigna nube fatta di reticoli che si sviluppava nei miei occhi, vaneggiavo nel bisogno di bere, le mie labbra si assottigliavano, riarse, lasciavano che i miei lunghi denti affilati si protendessero verso la notte.

Ad ogni passo rapido, la mia umanità gocciolava sulla strada, evaporava dal mio corpo aspergendosi nell'aria che odorava di vecchie muffe.

Rintanato nel fondo dei miei pantaloni il mio buon senso ammutoliva dinanzi la creatura atavica e mordace in cui mi ero trasformato; come essere diviso tra due amanti, spezzato nel centro ero vittima di un'entità che abitava le mie vetuste carni e mi usava per nutrirsi, notte dopo notte, secolo dopo secolo per l'eternità.

Avvinto al mio destino, un vecchio dentro che tremava ancora quando la sete di sangue reclamava la sua bestia più ingorda.


I vecchi dentro - ConcorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora