Capitolo IX - Frammenti di memoria

31 4 10
                                    

La notte era scura.

Di quelle in cui nel cielo non trovi nulla a cui aggrapparti per sentirti meno solo.

E fredda. Tanto da renderti ad ogni respiro fumoso un po' più morto.

Londra era grigia anche nelle tenebre e le sue strade trasudavano umidità da ogni fessura. Una città madida di umori che respirava greve nel silenzio della notte.

Quella notte mi nutrii del sangue sbagliato.

E nonostante siano passati una serie di desolanti anni da quella notte, rammento ancora con vividezza il volto della mia giovane vittima umana.

Un viso che aveva ancora sulla pelle il profumo del cambiamento, acerbo, mutevole e liscio, come una pietra di fiume.

Aveva occhi grandi e di due colori diversi. Uno era grigio come la luce che si paventa nel cielo quando il giorno inizia a lambire i contorni della notte. L'altro era invece nero, come un buco profondo nel quale un uomo può cadere e giacendone nelle profondità, disperarsi eternamente.

Era una creatura incantevole, eppure sembrava produrre sinistri cigolii quando ti sorrideva; come fosse un'innaturale contrazione alla quale la sua bocca veniva sottoposta forzatamente.

Le cose andarono così... sgusciavo fuori da una cripta polverosa, ero affamato da due giorni di digiuno forzato. La città era stato teatro di un orrido omicidio, una prostituta sgozzata e brutalmente mutilata nelle parti intime. La fame mi rendeva oltremodo nervoso,  ma non avevo voluto correre il rischio di essere sorpreso da un bobby mentre uccidevo, non avevo nessuna voglia di avere mezza Londra alle calcagna.

Mi arrischiavo dunque a lasciare il mio ricovero per muovermi in sordina, magari per acciuffare qualche vecchio vagabondo ubriaco che non si sarebbe neppure scomodato a protestare.

E invece... pochi passi tra le tombe spettrali e un movimento irretì la mia attenzione; frugai nell'oscurità con rapidi movimenti oculari, scandagliando i foschi contorni delle lapidi cimiteriali poi, una risatina imperlò il freddo vento smorto. I miei occhi seguirono fiduciosi il mio udito e scivolando lungo una pista sonora, finirono per catturare il movimento di un'ombra solitaria.

L'aria brumosa del cimitero puzzava di fiori sfiniti e marcescenti e di vetusti sepolcri pieni di polvere e logori stracci, ma anche di qualcos'altro; il sublime aroma del sangue caldo che scorreva in quell'istante nelle vene dell'ombra misteriosa.

Un attimo solo e la mia bocca intera venne investita da una vigorosa ondata di acquolina che mi frustò le tempie, dandomi il capogiro. La bestia famelica dentro di me si strappò di dosso gli abiti della prudenza e mi speronò vigorosamente aizzandomi contro l'ignara figura.

Tagliai l'aria mentre divoravo la distanza che mi separava dalla mia preda, la sentii fischiare mentre la solcavo rapidamente e poi fui addosso all'ombra.

La ghermii con veemenza e la sorpresa per lei fu tale che emise solo un flebile lamento, simile allo squittire di un topo che viene schiacciato con repentina violenza.

Afferraii lunghi capelli e le tirai con pochissimo garbo indietro la testa. La gola era pallida e nuda ed io ci affondai con brama animalesca i denti. Lacerai quell'epidermide simile ad un velo e fui subito all'arteria, la recisi bruscamente e il sangue iniziò a riversarsi dentro di me.

Suggevo come un infante affamato, succhiavo avido e bestiale il vigoroso nettare giovane e lo gettavo nella mia gola insaziabile e più giù, fin dentro quel mio corpo innaturale e famelico che inaridito dall'astinenza ora tornava a rifiorire come un giglio assetato che infine sente giungere la pioggia.

La povera creatura tentò invano di sfuggire dalle mie grinfie lottando come un cucciolo contro un leone e quando fui sul punto di finirla, udii un rumore provenire dalle mie spalle.

Staccai la bocca e mi guardai frettolosamente intorno.

Tutto sembrava immutato, ma decisi che la situazione contemplava comunque un atteggiamento sbrigativo da parte mia e che dovevo porre fine al pasto immediatamente.

Ero sul punto di infliggere la morte alla mia vittima quando un rinnovato rumore mi gettò in allarme, di nuovo scandagliai la notte e quando credetti di essere stato nuovamente vittima di uno scherzo del vento vidi una nebulosa luce giallastra ondeggiare nella foschia.

Strizzai gli occhi per mettere a fuoco, non v'era dubbio, quella era una lanterna.

E poi venni colto da un gelo che intirizzii anche il mio cuore cadaverico.

Lentamente voltai il capo verso la creatura agonizzante che ancora stringevo tra le braccia, la sollevai cosicché io potessi contemplarne i lineamenti e finalmente la vidi in viso.

Strozzai il grido che per poco eruttò dal fondo della mia gola nera e lasciai cadere pesantemente a terra il corpo, mi voltai per dare una rapida occhiata alla lanterna e in quel momento qualcosa mi ferii ad una mano, girai di scatto la testa per vedere la mia vittima esangue affondare i denti nella mia carne, la pelle si lacerò, il mio sangue denso uscì, ne bevve avidamente alcuni sorsi prima che io le strattonassi via dalla bocca avida la mia mano; la fissai inorridito e confuso, lei allargò la bocca imbrattata di sangue vermiglio per elargirmi un sorriso cigolante e malsano.

Alle mie spalle qualcuno gridò, ormai era troppo tardi, scappai senza voltarmi, tenendomi la mano ferita stretta contro il petto.




I vecchi dentro - ConcorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora