Capitolo XI - Sussurri di morte

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Il nostro peregrinaggio notturno nel vecchio cimitero giunse alla fine, quando attraverso la densa foschia vidi i contorni tremolanti della catapecchia del mio "Virgilio".

Avvicinandomi le diedi una rapida occhiata che mi fu sufficiente per rendermi conto che era in uno stato ancora più desolante dalla mia ultima visita.

Il tetto aveva perso parecchie tegole e sembrava una brutta bocca sdentata in procinto di inghiottire il resto della casa che in definitiva, era una traballante accozzaglia di mattoni fradici e legno tarlato in procinto di collassare inghiottendo il tetto e buonanotte.

Più volte avevo cercato di convincere il suo occupante a fare qualcosa per rendere la sua dimora quantomeno in grado di resistere ad un suo sternuto, ma le mie preoccupazioni erano sempre state sbeffeggiante dal suo sguardo glaciale e privo di paure.

Credo comunque che se la casa fosse un giorno crollata, si sarebbe ben guardata dallo scalfire minimamente il suo prezioso custode, forse resisteva al passare del tempo grazie alla potente aura del suo albergatore.

Giunto davanti la porta d'ingresso, la mia guida notturna attaccò la lampada ad olio ad un gancio arrugginito che sporgeva dal muro. La spense e di colpo piombammo in un fitto buio acquoso.

Questo non gli impedì comunque di trovare a colpo sicuro lo sfiancato buco della serratura ed introdurci senza tante cerimonie una grossa chiave.

La porta si aprì senza cigolare!

Eppure avrei scommesso che l'avrei sentita piangere mentre ruotava sui cardini ed invece, scivolò verso l'interno silenziosa come una morta.

Varcammo la soglia e ci chiudemmo alle spalle il cimitero.

Me ne stavo impalato in attesa che la luce fosse fatta, mentre nell'oscurità sentivo i suoi abiti frusciare ad ogni suo movimento. Pochi istanti ed i miei occhi furono in grado di dissipare le ombre del buio e la stanza mi fu chiara come una vecchia pellicola in bianco e nero.

Lo vidi in piedi, dritto come un fuso, con una mano sporta verso un lume che probabilmente era in procinto di accendere per rischiarare l'ambiente oscuro eppure sembrava indeciso,  come se fosse inciampato inavvertitamente in qualche ricordo o in qualche dubbio profondo.

Aprii la bocca per richiamare la sua attenzione poi di colpo tacqui, come se nel buio l'immobilità di lui fosse scivolata silenziosamente a ghermire anche la mia mente.

I miei occhi sbarrati frugavano ora in un buio che non mi riusciva di penetrare, come se avessi perso di colpo la facoltà di scavalcare quel limite, non percepivo più l'uomo a pochi passi da me, non percepivo più neppure i confini della stanza in cui mi trovavo e poi qualcosa di eccezionalmente potente mi investì, come una forte raffica di vento e avvertì nettamente la sensazione di essere spinto con forza fuori dal mio corpo solido.




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