In realtà, quell'essere schifoso non stava affatto decollando verso l'oblio, nossignore; stava godendo.
Lo capì, quando come dotato di una potente molla, scattò nuovamente in piedi.
La patina malata e giallognola era scivolata via dai suoi occhi, rivelandomi iridi di un intenso color brunito e un ghigno netto e duro che sfregiava il suo viso.
Saettò verso di me e mi si parò davanti fissandomi. Mi odiai profondamente in quell' istante perché tentai di indietreggiare con le natiche, mi sentivo un verme.
Lui di colpo sbottò a ridere e i suoi ragli sgraziati crescevano di intensità, tanto che si portò le mani alla pancia fingendo di avere bisogno di tenersela.
Poi la sua risata si estinse di botto e un attimo dopo era svanito nella notte scura.
Mi rialzai a fatica, mi sentivo un vecchio decrepito pieno di acciacchi e nonostante il sangue avesse preso a scorrere virulento nelle mie vene, non riuscii a cogliere il piacevole tepore irradiarsi verso la mia pelle, che restò gelida e percorsa da brividi di angoscia.
Gettai uno sguardo alla donna, di lei restava il corpo svuotato avvolto nella scadente pelliccia spelacchiata; mi parve un grosso gatto finito sotto le ruote di un'automobilista distratto, e come sempre mi accadeva, fui preso da un profondo senso di colpa e vergogna.
Indietreggiai da quella visione, cercando al contempo di proteggermi dalle imminenti frecce velenose che la mia coscienza scoccava frenetica e voltatomi verso il parco buio, fuggì miseramente.
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L'alba mi spiava.
Ne avvertivo la presenza al di là degli alti tetti ancora scuri, ne percepivo l'ancora blando alone poco oltre i confini della notte.
Sedevo. Inerme.
Una panchina di ferro, screziata da intagli inflitti con una lama, parlava di nomi, di ingiurie di per sempre.
Per sempre.
Se gli uomini potessero solo intuire il peso dell'infinito.
Poggiai i palmi delle mani sulle ginocchia e mi tirai su. Fu faticoso.
Una potente indolenza mi blandiva, mi invitava ad aspettare il sole, a lasciare che la sua luce mi cuocesse la carne, liberando ciò che della mia anima rimaneva per renderla finalmente a chi l'avrebbe reclamata.
Lo desideravo ardentemente, ciò nonostante ero già in cammino verso luoghi bui.
Il cimitero mi aspettava, ed io scuotendo la testa difronte a cotanta ovvietà, mi ci infilai dentro. Lo feci come uno scarafaggio, che dopo le scorribande notturne, cerca il conforto e il sicuro nelle ombre fitte della sua buca.
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I vecchi dentro - Concorso
VampireDopo aver calpestato la polvere di intere epoche e aver assaggiato le gole di intere generazioni, un Vampiro può anche averne abbastanza. Victor cerca la morte, con lo stesso accanimento con cui cerca Yvette. Tra foschi ricordi e strade malfamate e...