Capitolo XII - I morti danzano veloce

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Non avevo mai provato una sensazione simile, era come essere nudi in balia del freddo pungente della notte, violabili da mani estranee, indifesi. Ero come le mie prede, nulla potevo contro ciò che mi spiava famelico, persino la mia mente era fragile come quella di un bambino e in quel ridondante momento di fragilità sentì giungere da un luogo lontano il dolce suono di un violino, suonato con una maestria che non poteva appartenere a mani umane.

Ero spaventato, terrorizzato e desideravo solo poter rientrare nella mia pelle gelida e dura, ma sicura.

Mi resi conto che ero stato rapito da un ricordo che non mi apparteneva  e fui certo che quel pensiero potente non appartenesse neppure all'uomo che distava pochi passi da me sul piano temporale nel quale ci muovevamo, ma lontano secoli nell'immenso spazio in cui eravamo stati spinti.

Il violino piangeva note stridule adesso, la mano che fino a pochi istanti prima ne aveva dolcemente carezzato le corde ora sembrava percuoterle con rabbia. Avrei voluto tapparmi le orecchie ma ero conscio che a nulla sarebbe servito, quella musica traboccava da una mente estremamente forte e si riversava nella mia come fossi una capiente damigiana da riempire.

Era sempre più forte, sempre più addolorato quel suono, ero certo che la testa mi sarebbe esplosa e poi, di colpo la musica morì e nel silenzio profondo della mia mente udì chiaramente un lamento, lo stesso che avevo udito mentre attraversavo il cimitero, solo che ora a quell'unico e solitario se ne andavano via via aggiungendo degli altri, il pianto di creature che si risvegliavano e tornavano indietro da luoghi nefasti e terribili, richiamate dalle corde seviziate di un violino suonato da una creatura dannata.

Zaffate di terra umida gonfia di vermi brulicanti mi afferravano la gola, corpi contorti e mangiati impietosamente dal tempo si muovevano sinistramente sullo sfondo dei miei pensieri agghiacciati. Vedevo i morti tornare a baloccarsi con una non vita, li sentivo digrignare i denti marci e li sentivo torturare le gole crepitanti per estrarne un lamentoso riso. Li guardavo mesto, mentre inesorabili masticavano la carne cruda di sventurate creature, alle quali strappavano la vita dagli occhi e dal cuore. La morte volteggiava lenta sui loro capi corrotti, mietendo solerte il campo di morti.

Non capivo il perché di quella terribile visione ma sapevo che certamente era una sorta di monito, un biglietto di auguri davvero molto originale inviatomi da qualcuno che mi voleva lontano da quella festa privata.

E poi la trance cessò.

Fui risucchiato indietro dal mio corpo e quasi vomitai tanto la sensazione mi risultò sgradevole.

La luce esplose nella stanza quando l'uomo che mi aveva condotto fin lì l'accese. Mi ferii gli occhi, innescando inesorabilmente un principio di incazzatura che sapevo sarebbe solo potuto peggiorare.

Mille domande e pensieri e farfugliamenti vari si spintonavano nella mia bocca alla ricerca del primo posto, rischiavo di incenerire il mio compagno cuocendolo al ritmo sincopato delle mie domande.

Due falcate e la distanza tra me e lui era ridotta a nulla, ancora mi dava le spalle e questo mi diede il tempo di notare che non erano più solide come un tempo ma leggermente cascanti e tremanti.

Talvolta dimenticavo che il tempo scorreva a ritmi diversi per me, scivolandomi addosso depositava solo granelli di polvere, mentre su di lui lavorava alacremente per disfare la matassa della sua esistenza.

Stetti alle sue spalle, fremendo certo, ma paziente.

Attesi fin quando non lo vidi sollevare entrambe le mani, portarsele verso la testa e lisciare all'indietro i radi capelli argentati.

Si voltò verso di me e la sua faccia era esausta e cascante come vecchia tappezzeria in una casa logora e decrepita.

Il sangue della mia vittima bruciava nelle mie vene come combustibile e sentii le mie guance avvampare di bollente impazienza e si, anche timore.

Sapevo per certo che non si sarebbe scomodato a ricordarmi il favore che gli dovevo, se non fosse stato per qualcosa di estremamente urgente e terribile; ed ora che il momento di adempire al mio giuramento era arrivato, avrei voluto sgattaiolare fuori dalla mia pelle e scivolare via, nudo come un verme e il più lontano possibile.

Lui però mi teneva i suoi occhi di ghiaccio piantati addosso, infilzandomi col suo sguardo severo come uno spiedo un pollo.

Mi fece cenno con una mano di sedere, ed io eseguì, crollando come un pupazzo sulla sedia.

Mi sentivo uno schifo, avevo voglia di vomitare i sassi che mi sembrava di avere nel mio arido stomaco e ancora un volta mi torturavo con la stessa domanda: perchè non ero morto? Sarei dovuto rimanere in quella soffitta a marcire e avrei finalmente smesso di preoccuparmi di tutte le mie datate psicosi e del mio debito ovviamente.

Sospirai mesto mentro lo guadavo afferrare una sedia per se e piazzarla difronte alla mia. Un faccia a faccia dal quale sarei uscito masticato vivo, volesse il cielo mi inghiottisse!

Piantai i gomiti ossuti sulle ginocchia e piazzai la mia faccia tra le mani, era arrivato il momento di ascoltare.






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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 02, 2016 ⏰

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