V [BTS] - Pazzia

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"Non sono pazzo. Una delle poche frasi che accomuna psicopatici e "sani di mente".

Ed è anche la frase che continuavo a gridare quando mi hanno portato via, intrappolato in una camicia di forza, sotto lo sguardo ipocrita di mia madre e quello inquisitore e deluso di mio padre. Ma io non sono pazzo. Non nel modo in cui intendono loro, almeno. Lei esiste. Ne sono convinto, io so che lei esiste, l'ho vista con i miei occhi. Lei c'è sempre stata, da qualche parte, da sempre. Loro non possono vederla, ma lei è lì. Mi segue, ovunque, ovunque, in qualsiasi luogo io vada, lei c'è sempre. All'inizio cercavo di ignorarla, la evitavo, o almeno ci provavo. Poi però la sua presenza si è fatta sempre più pressante, opprimente, soffocante... non potevo più ignorarla. Ho iniziato a odiarla, ma lei era lì con i suoi sorrisi intaccabili anche quando tutti gli altri si stancavano di me, anche quando le gridavo contro di andarsene, lei si sedeva lì, in un angolo e mi guardava con occhi vitrei e un sorriso malinconico. Allora ho iniziato a parlarle. Lei non rispondeva mai, ma mi stava a sentire.

La prima volta che ho sentito la sua voce è stata una notte che ero in casa da solo. Stavo leggendo steso sul letto e mi è sembrato di sentire una melodia flebile. Ho messo giù il libro e l'ho guardata. Ormai la sua presenza non mi turbava neanche più. Stava seduta sul bordo del letto e mugolava un canzone dolce e triste, infilandoci in mezzo qualche parola, ogni tanto. Credo sia stato in quel momento che mi sono innamorato. Da quel giorno in avanti desideravo sempre di stare solo, solo per stare con lei, e iniziò a rispondermi quando le parlavo, dimostrandosi sensibile e premurosa.

La prima volta che ci siamo toccati è stato poco dopo. Mi stavo vestendo per andare a scuola. Stavo per infilare la maglietta quando le punte delle sue dita fredde sfiorarono il mio petto e mi fecero rabbrividire mentre la pelle in quel punto prese a bruciare. Gemetti, e lei allontanò subito la mano. Dove fino a un instante prima erano poggiate le sue dita, erano rimaste delle piccole ferite. Mi chiese scusa e gli occhi le si annacquarono, quindi afferrai delicatamente il suo polso e posai il suo palmo all'altezza del mio cuore, anche se la pelle ardeva a quel contatto.

Giorno dopo giorno, passavo sempre più tempo con lei, parlandole, ascoltandola cantare o semplicemente facendomi coccolare dalla sua presenza. Il mio corpo si riempì di cicatrici causate dalle sue carezza, ma la gioia che mi procuravano era di gran lunga maggiore del dolore. La mia felicità, però, era mal vista dal resto della mia famiglia, ma me ne infischiavo. Beh, finché non mi avete portato qui. Ora non posso più vederla, ma...

...la sento cantare dalla finestra e, più di una volta, l'ho vista affacciarsi tra le sbarre della finestra e regalarmi uno dei suoi meravigliosi sorrisi."

Diario del paziente Kim Taehyung, ricoverato al quinto piano dell'ospedale psichiatrico St. Lucy.


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