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Le sirene delle volanti della polizia e dei vigili del fuoco mi sorprendono i timpani e sono costretta a coprire le orecchie con le mani.
Continuo ad aprire e chiudere le palpebre per aumentare la lacrimazione, visto che la fuliggine ed il fumo hanno prosciugato i miei occhi.
Tossisco.

-Tutto apposto India?
Dimitri mi appoggia una mano sulla spalla e piega leggermente le ginocchia per avvicinarsi di più al mio viso, di qualche spanna più in basso del suo.

-Sì, tutto apposto. - tossisco ancora -tu? - gli domando.

-DIMITRI!

Una voce familiare interrompe il nostro quieto scambio di battute.
Entrambi ci voltiamo di scatto nella direzione di provenienza.

-Claire! - esclama Dimitri.
-Ciao Claire - la saluto io.
-Ciao India. - a malapena incrocia il mio sguardo. Se non fosse perché ha pronunciato il mio nome, penserei facilmente che si sia rivolta a qualcun altro.

-Ma voi vi conoscete? - Dimitri ci guarda interrogativo. Poi qualcosa gli illumina il viso. -Ah già! Ora ricordo. La festa... eravate insieme. - sembra quasi soffocare una risata.
Non capisco perché. Però amo osservare le sue rosee labbra carnose danzare all'unisono mentre si limita a sorridere.
-Hai idea di cosa sia successo? - esclama Claire. Il suo tono di voce tradisce un po' di ansia.
-In realtà no. Noi abbiamo solo abbandonato l'edificio come ci è stato richiesto. Non ne conosciamo il motivo, però.

Mi ritrovo a rimproverare me stessa perché in un tale momento, l'unica cosa su cui io riesca a concentrarmi è quel "noi".
Cerco di mostrarmi partecipe della conversazione.
-Ho sentito un gruppo di ragazzi parlare di un corto circuito nella sala multimediale. Ma non so quanto possa essere attendibile la notizia.
-Mi sa che ci toccherà aspettare pazientemente.
Annuisco silenziosamente.
Noto gli occhi di Dimitri posarsi su di me, li incrocio un secondo, e mi sento avvampare.
Guardo altrove.
E le posso perfino avvertire.
Due fiamme accese, questa volta non all'interno dell'edificio, bensì all'esterno.
Racchiuse sotto altre lunghe ciglia e mascara nero.
Minacciano di disintegrarmi.
Claire...
Perché?

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-L'EDIFICIO È ADESSO AGIBILE.
LE ATTIVITÀ DIDATTICHE POSSONO CONTINUARE A SVOLGERSI NORMALMENTE.

Un lieto chiacchiericcio si solleva tutto intorno.
E studenti e docenti ritornano all'interno dell'edificio, lentamente.
-India, adesso abbiamo lezione di sociologia della moda. Rientriamo. Non voglio ritrovarmi in ultima fila seduta per terra un'altra volta.

Il tono di Claire non ammette repliche, e mi risulta piuttosto estraneo. Così perentorio, deciso, nervoso a tratti.
Non capisco cosa le stia succedendo.
Odio dover sottostare quando mi si ordina di fare qualcosa. Ma Claire ha ragione...Dobbiamo andare...
-Ciao Dimitri.
-Ciao sorellina. - esclama lui.
Poi lui si volta verso di me...
Ci scambiamo uno sguardo lievemente interdetto...
Bruscamente interrotti...
Un'altra volta...
Lo saluto con un cenno della mano.
-Ciao India.

Lungo il tragitto fino all'aula 5, cerco di mantenere il mio cervello concentrato su quel suono.
Cerco di rievocarlo alla memoria...
"India".
Voce calda, dolce come il miele, avvolgente come un abbraccio sotto la pioggia d'inverno, profonda e delicata come dei baci sussurrati al buio.
E il suo odore...
Odore di vaniglia e caffè...

Vaniglia..........

India...Che sciocca che sei...

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Metto su il bollitore del tè.
Afferro un biscotto al cacao dal piatto decorato a grandi girasoli.
Nel frattempo in mano reggo la mia rivista preferita.
Ora del tè la chiamano in Inghilterra.
Dovrei tornare a studiare matematica. Ma non ho alcuna voglia di cercare di interagire con quegli strani segni neri. Non trasmettono nulla, se non disperazione e freddezza...
Vengo attirata dal volto di una splendida giovane dai tratti nordici e dal meraviglioso abito color cremisi a stampe cinesi.
Immagino di sfiorare quel tessuto lucido semi rigido e di avvicinare il mio viso così tanto ad i suoi disegni, cantori di un'epoca lontana.
Riesco quasi ad immergermi in quella dimensione e mi sembra addirittura di udire il suono di un pianoforte e di un'arpa.

Ad un tratto,però, quella delicata e limpida musica nei miei sogni ad occhi aperti, si interrompe per lasciare spazio al richiamo del bollitore.
Un odore di vaniglia mi inonda le narici.
Chiudo gli occhi per assaporarlo col cuore.

-ADESSO BASTA! TI HO DETTO DI SMETTERLA!

Un tonfo.
Silenzio.
La tazza che reggo comincia a tremolare nelle mie mani.
Anzi, piuttosto, sono le mie mani a farla tremolare.
Il battito del cuore accelera e riesco a sentirlo fin nelle orecchie.
"India non svenire".
Respiro, poso la tazza di tè e lentamente mi muovo verso il salone, in direzione della camera da letto di mamma.
Sicuramente da lì verrà il caos di poco fa.

-COSA HAI FATTO? - urlo con tutto il fiato che i miei polmoni mi permettono di utilizzare.
Un'altra volta.
Mamma è a terra.
Il sangue le scorre copioso dal naso.
Gli occhi semichiusi.
Mi precipito verso di lei.
-Mamma? Stai bene? Mamma? Rispondimi. - le sollevo il mento.
Muove le labbra, ma riesco ad udirle emettere solo un mugugno.
-Cosa le hai fatto questa volta? Eh? - gli strappo la bottiglia di vino scadente che regge nella mano destra.
Lo sguardo frastornato, i riflessi lenti, talmente è ubriaco.

-India...n-non p-preoccuparti. - mamma è rinvenuta. Sono sollevata, ma questa volta no! ho intenzione di preoccuparmi!
-Mamma, torno subito!
La vedo alzarsi da terra, tamponandosi il naso.
Lei? Una roccia.

Raccolgo quell'ammasso inutile di carne e ossa che è diventato Robert e lo trascino con me.
Non si regge nemmeno in piedi.
Biascica parole senza senso.
"Parla, parla fino a domani.
Ma ora ci penso io a te" - penso tra me e me.
Lo lascio andare sul letto, molto poco delicatamente, senza mezzi termini.
La sua mano destra sbatte sul comodino.
Inizia a lamentarsi.
Apro il suo armadio.
Eccola! La valigia.
La apro e la riempio delle sue cianfrusaglie.
Accendo il computer e cerco il primo collegamento diretto per Dublino, la città Natale di Robert.
Un treno. Tra 35 minuti.
Perfetto!
Inserisco i dati della sua carta di credito.
Fatto.
Chiamo il primo taxi disponibile.
Poi mi dirigo in bagno.
Riempio una bacinella di acqua ghiacciata.
Ritorno in camera da letto e la rovescio su quel volto, apparentemente anonimo, ma per me orribile e mostruoso...
Un incubo.

Robert si dibatte e inizia a pronunciare le più orribili bestemmie contro di me.
Lo trascino.
Oppone resistenza e mi colpisce il volto.
Cado a terra.
Le tempie iniziano a pulsare.
Non capisco se per la rabbia e la frustrazione o per il poco gentile incontro con lo spigolo della cassettiera vicino all'armadio.

"Forza India!"

Mi rimetto subito in piedi.
Stringo i pugni delle mani e lo affronto.
Gli tengo le spalle e con tutta la forza che ho in corpo gli infliggo il più duro colpo che potesse mai pensare di ricevere in vita sua.
Una ginocchiata al basso ventre.
Si piega in due e finisce con la faccia a terra.
Ancora troppo ubriaco per avere il controllo sui suoi muscoli.
Gli agguanto i braccio, prendo la sua valigia e il suo borsone ed apro la porta di casa.
Il tassista mi guarda esterrefatto.
Faccio sedere Robert e gli posiziono accanto i suoi unici, inanimati compagni di viaggio.
-Deve accompagnarlo alla stazione.
Una prenotazione è già stata fatta a nome suo: Robert Crimsen.
Si assicuri che salga su quel treno.
È molto importante.

Allungo una mazzetta al conducente e gli ammicco.
Il suo volto si illumina appena si rende conto di quanto la sua giornata sia stata fortunata.

-Mi chiami appena il treno lascia i binari. - gli allungo un bigliettino con il mio numero di telefono e altri soldi. Tutti di Robert.
-Va bene signorina.

Chiudo la portiera e faccio un passo indietro, togliendomi così dalla traiettoria dell'auto.
La osservo partire.
Un altro uomo che esce dalla mia vita.
Indesiderata e abbandonata dopo 5 anni dal primo, mio padre.
Picchiata e manipolata dal secondo errore di mia madre, Robert Crimsen.

Una folata di vento gelido mi scompiglia i capelli.
Mi stringo nella mia giacca di lana.
Non allontano lo sguardo dal lunotto posteriore dell'auto.
Dovrei, ma delle parole mi distraggono.
Lette sulla bocca dell'uomo che ha rovinato la mia infanzia e la vita di mia madre: maledetta.

Spero legga il mio labiale adesso.
Va' all'inferno.

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