3. Jamie -Starbucks

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Se c'era qualcosa che odiavo, era proprio svegliarmi la mattina presto. Durante i periodi di lavoro intenso mi capitava anche di alzarmi ogni giorno alle cinque, ma quando potevo riposare sfruttavo le mattinate per dormire fino a ora di pranzo.
Alle otto meno un quarto ero già a Oxford Circus, dopo aver affrontato il temporale che imperversava all'esterno. La musica nelle orecchie, un cappello, degli occhiali e una sciarpa. Nonostante fossi abbastanza nascosto dagli sguardi, alcune ragazzine mi fermarono per fare delle foto. Di solito erano adolescenti che quasi scoppiavano a piangere mentre scattavamo le foto. Facevo sempre facce buffe per sdrammatizzare il momento.
Non sapevo perché avessi accettato di incontrare quella ragazza così presto, avrei potuto dirle di vederci in un altro momento ma, in verità, ero davvero dispiaciuto per averla spinta al parco. Sembrava così piccola e indifesa che mi sentivo quasi come se l'avessi aggredita.
Improvvisamente mi sentii toccare il braccio, la mano di Lily, dalla carnagione chiarissima, mi stava sfiorando il trench grigio, aveva le unghie smaltate di nero.
-Ciao- disse solamente. Aveva il volto assonnato e privo di trucco e i capelli bagnaticci che le incorniciavano il viso, gli occhi verdissimi mi guardavano dal basso verso l'alto, nonostante indossasse delle zeppe.
-Hey! Passeggiata sotto la pioggia?- chiesi ironicamente, indicando la sua testa.
-Non credevo piovesse così forte quando sono scesa, ti va di andare da qualche parte? Con questo vento credo che mi ammalerò.- Il corridoio della metro era attraversato da folate fortissime.
-Certo! Dove pensavi di fare colazione?-
-Andiamo da Starbucks, ho una voglia matta di muffin al cioccolato.- Sorrise lievemente e due piccole fossette le si formarono sotto gli zigomi. Non era bellissima, come le tante modelle che avevo conosciuto, ma nel suo volto c'era qualcosa che ti portava a guardarla ancora, come se ti raccontasse una storia interessante.
Camminammo sotto la pioggia, lei si stringeva nel suo cappotto nero che sembrava non fare per niente il suo lavoro. Anche io mi stavo bagnando, nonostante avessi alzato il cappuccio della felpa. Sentivo piccole gocce passare tra i capelli e toccarmi la cute e sapevo che li avrei avuti per tutto il giorno crespi e gonfi.
Anche se Starbucks era solo a qualche decina di metro dall'uscita della metropolitana, entrammo nella sala completamente bagnati. Il locale era piacevolmente riscaldato, c'era molta gente, ma non così tanta da non poterci sedere.
Appena la vidi lì dentro ricordai di averla già incontrata proprio in un altro Starbucks, ma decisi di non dirglielo.
-Cosa prendi?- chiesi a Lily. Eravamo stati zitti per tutto quel tempo e la situazione cominciava a farsi imbarazzante.
-Penso che prenderò parecchie cose, stamattina ho una fame da impazzire. Tu?-
-Berrò solo un Pumpkin Spice Latte. L'ho provato l'altro giorno e mi è piaciuto tantissimo-
-Davvero? Allora prendo pure quello!-
Appena arrivò il nostro turno la piccola, gracile ragazza ordinò tre pietanze dolci e il latte che le avevo consigliato. Ero sbalordito, ma non la feci comunque pagare. Lei ovviamente cercò di non farsi offrire niente, ma io fui irremovibile.
Ci sedemmo sugli sgabelli, di fronte alla grande finestra che dava sulla strada, piccole gocce percorrevano il vetro. Le persone, in strada, camminavano strette ai loro ombrelli, con le ventiquattro ore attaccate al petto.
-Quindi- cominciai a dire mentre lei affogava la faccia nel cibo –raccontami qualcosa di te-
-Di me?- chiese con la bocca impastata. Le ragazze che frequentavo di solito stavano sempre attente alla linea e questa per me era una novità. La mia ex ragazza era una modella, una di quelle che se vai al cinema non puoi dividere i pop-corn. Lasciai perdere questi pensieri.
-Sì, chi sei? Cosa fai a Londra? Non sembri inglese.-
-Allora, in effetti sono italiana ma mio padre è inglese. Ho vissuto per tanti anni in Italia ma dopo la scuola ho deciso di tornare nella vecchia casa dei miei, a Manchester-
-Manchester, bella! E ora sei a Londra.-
-Sì, non volevo dipendere troppo dai miei genitori quindi ho lasciato tutto e ho cominciato a lavorare qui. Ho degli amici che abitano a Londra e mi hanno anche spronata a raggiungerli.-
La cosa che mi piaceva di quella ragazza era che parlava con me come se fossi semplicemente un ragazzo appena conosciuto, non un attore di cui puoi sapere quasi tutto andando su internet.
-E tu?- mi chiese, mentre addentava l'ultimo morso di Luxury Fruit Toast. Si era spazzolata tutto in una manciata di minuti, non credevo fosse nemmeno possibile. A quel punto notai che stava tremando. Aveva ancora l'impermeabile addosso, sbottonato e la maglietta che portava sotto era impregnata d'acqua come i capelli.
-Hai freddo?- chiesi, scansando la domanda.
-Un po', ma passerà. Spero solo di non prendere la febbre perché sarebbe un bel problema non andare a lavoro-
-Mi puoi dare il tuo giubbino?- più che una domanda, la mia era un'affermazione.
-Perché? Sto gelando, mi servirebbe-
-Per favore.-
La ragazza si sfilò il soprabito senza troppa grazia, rivelando il logo di Hmv. Io lo presi e lo scambiai con il mio trench, che le porsi.
-Posso metterlo?- chiese stupefatta.
-Certo! Me lo riporterai la prossima volta che ci vedremo- risposi sorridendo, poi continuai –Ma quanti anni hai? Non me l'hai ancora detto-
-Ventuno. In realtà ancora venti, ma la settimana prossima farò il compleanno-
-Davvero? Quando?-
-Lunedì, il trentuno ottobre. Ma non stavamo parlando di te?- chiese ancora.
-Sarà Halloween! Cosa farai? Darai un party in maschera?- risposi, ignorando completamente la domanda. Non volevo parlare di quanto fossi famoso, interessante e di tutto quello che facevo. Sentivo già gli sguardi della gente puntati su di me, nonostante portassi ancora gli occhiali da sole. Lei sbuffò appena, forse proprio perché ero così evasivo.
-Niente party. Non credo che farò nulla. Probabilmente uscirò con i miei due migliori amici, ma solamente se non avranno altre feste a cui andare-
-Non mi sembra molto carino, da parte loro. Oh, scusa, non volevo offenderli, parlo sempre troppo- aggiunsi all'ultimo momento, non era proprio la cosa che si dice al primo appuntamento con una ragazza.
-Non ti preoccupare, so come sembra, ma sono io che li invito a divertirsi. A me non piace andare ai loro party e se dovessero stare sempre ad aspettarmi diventerebbero vecchi. Non mi importa, mi fa piacere stare a casa a dipingere, davvero.- Dorotea si stringeva forte al mio trench, i capelli avevano bagnato il colletto. Era di molte taglie più grande e le mani quasi non spuntavano dalle maniche.
-Piuttosto.- Mi prostrai verso di lei e cercai dentro tasca del mio soprabito. Sentii la sua coscia sotto gli strati di tessuto. Il viso della ragazza, intanto, si era fatto porpora, soprattutto sul naso.
-C-cosa stai facendo?- chiese titubante, evitando di guardare dalla mia parte e accostare troppo il suo volto al mio.
-Ecco!- esclamai infine, e le porsi un attrezzo per disegnare che avevo trovato il giorno prima per terra, dopo che ci eravamo scontrati.
-Non ci credo! Hai ritrovato il mio matitatoio! Grazie mille, non posso spiegarti quanto ti sia riconoscente- il suo viso brillava di gioia. Improvvisamente, però, si portò la mano al piccolo polso, scoprendo un orologio nero, di gomma.
-Oh mamma! È tardissimo. Scusa, mi ha fatto molto piacere stare con te, ma ora devo andare a lavoro. Hai il mio numero, quindi ci possiamo sentire- concluse, mentre si puliva la bocca e scendeva dallo sgabello con un piccolo salto. Io mi alzai a mia volta, ma avevo i piedi che toccavano terra.
-Se vuoi ti accompagno da Hmv.- Lei rimase confusa per qualche momento, ma poi dovette capire.
-Oh, certo, la maglietta. Senti, non c'è bisogno, davvero. Posso andare da sola, sono quattro passi. Ci vediamo presto.-
A questo punto mi sorrise un'ultima volta e si avviò verso la porta. Proprio prima di varcarla si girò ancora.
-Grazie per il cappotto, te lo restituisco la prossima volta!-
Così la vidi sparire sotto la pioggia, mentre le piccole spalle erano curvate a proteggersi.


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