Quando il signor Chapman andò via mancava meno di un'ora alla chiusura del locale.
Si era intrattenuto per l'intera serata con quegli uomini a parlare di chi sa cosa.
Devo ammettere che quando lasciò il club senza rivolgermi nessuna forma di saluto, un pizzico di delusione si fece largo dentro me.
Ma grazie alle mille cose da fare prima che terminasse il mio turno ci pensai ben poco."Domani sei libera finalmente".
Uscii dallo spogliato dello staff insieme a Sophia che ancora doveva fare gli ultimi conti.
"Purtroppo si".
"Come purtroppo! Domani è l'unico giorno della settimana in cui puoi dedicarti completamente a te stessa" sentenziò.
"Si certo, che felicità". Risposi accentuando la nota di finta allegria nella voce.
"Guarda che io non ti capisco proprio, sei giovane, intelligente e per di più una gran gnocca. Perché non esci ad esplorare il mondo".
Mi bloccò poggiando le mani sulle mie spalle.
"Cara so quanto hai sofferto e so che non posso nemmeno immaginare quanto sia stata dura per te affrontare tutto da sola. Ma la vita va avanti, gli anni passano e il tempo per vivere è davvero poco, non sprecarlo".
Sapevo perfettamente che aveva ragione, era una cosa che mi ripeteva spesso, ma purtroppo non riuscivo a metterla in atto.
"Lo so Sophia, farò del mio meglio per migliorare". Mi accarezzò dolcemente il viso, come fa una mamma. Come faceva anche la mia...
"Tessa chiede spesso di te sai, uno di questi giorni devi venire a pranzo da noi". Tessa era l'adorabile figlia di sei anni di Sophia.
Le ero molto affezionata e ogni qualvolta mi vedeva faceva i salti di gioia, molto probabilmente perché sapeva che con me aveva un gelato al cioccolato assicurato.
Rimasi a parlare qualche altro minuto con Sophia prima di andare via.Erano le tre del mattino e come sempre quando varcavo la soglia dell'uscita del club a quell'ora avevo un po' di ansia.
New York era una grande metropoli e come tutte le grandi realtà aveva i pro e i contro e tra questi c'era la criminalità.
La metro a quell'ora era ormai chiusa, quindi mi toccava ritornare a casa a piedi. Una bella camminata di trenta minuti, se non fosse per quell'ora tarda.
Mi strinsi nel mio giubbino di jeans, per l'area fresca, nonostante l'estate era ormai alle porte, e aggiustai la tracolla della borsa prima di incamminarmi.
In realtà i passi che feci furono al massimo cinque, perché una voce, quella voce, mi bloccò in pieno.
"Mi stavo chiedendo come saresti tornata a casa. Deduco camminando?".Mi voltai verso Chapman con sorpresa e sgomento disegnati in volto e mi domandai cosa ci facesse ancora lì.
Era poggiato ad un'auto nera che di economico non aveva proprio nulla, con la mano stretta sul suo bastone elegante.
"Deduce bene". Mi meravigliai di me stessa quando finalmente riuscii a rispondere.
"Spero che non ti sembro troppo irriverente se mi offro di riaccompagnarti a casa".
Pensai subito che non potevo accettare, era pur sempre uno sconosciuto.
"La ringrazio è molto gentile da parte sua, ma non posso accettare".
"Spero non userai la scusa dello sconosciuto serial killer, perché credo che tu rischi di incontrarlo veramente se ti aggiri per le strade, da sola, a quest'ora della notte". La sua voce velata da una vena di ironia, mi fece nascere un sorriso.
Infondo non aveva tutti i torti.
"Chi mi assicura che lei stesso non è un serial killer?". Domandai continuando a sorridere.
"Allora vediamo...". Picchiettò con l'indice sul mento, facendo finta di pensare.
"L'unico che può assicurarti sono io, e sono anche certo che le cicatrici mi diano l'area di un omicida...". Sorrise anche lui per le sua parole, e Dio quanto era bello!
"Segui l'istinto Cara. Prova a fidarti di me".
Quell'ultima frase aveva tutta l'area di avere un doppio significato...
Non so cosa mi scattò, forse la curiosita o semplicemente l'mpudenza dell'età, ma la risposta alla sua frase mi uscì spontanea.
"Proverò a fidarmi di lei".
Allungò la sua mano verso di me. La strinsi debolmente,un po' per l'imbarazzo e un po' perché non sapevo come avrebbe reagito il mio corpo.
Da vero gentiluomo mi aprì lo sportello prima di accomodarsi al posto di guida e lasciare il bastone sui sedili posteriori.
"Allora dove andiamo?".
Nel mondo dei sogni mi sarebbe piaciuto rispondere dove vuole, ma nella realtà mi limitai a dargli l'indirizzo.Contro ogni previsione il viaggio verso il mio appartamento fu silenzioso. Era stato tanto gentile da accompagnarmi a casa ma non mi aveva degnato di una sola parola durante il tragitto.
Nel silenzio di quella vettura, mi convincevo sempre più che quell'uomo non era adatto a me, quei suoi occhi nascondevano un dolore, lo si poteva leggere e io di sicuro non avrei potuto alleviarlo.
Accostammo d'avanti al mio palazzo, continuando a mantenere un silenzio che diventò pungente.
"La ringrazio signor Chapman è stato davvero gentile".
Parlai, facendo attenzione a non cadere in quella trappola che erano i suoi occhi, che in quel preciso istante erano puntati come riflettori su di me.
"È stato un piacere Cara".
"Buonanotte signor Chapman". Aprii lo sportello mentre pronunciavo le parole.
"Buonanotte Cara e ti prego chiamami Alexander".
Uscii dall'auto senza aggiungere nulla, avevo bisogno di prendere area.Alexander. Alexander. Alexander.
Un solo nome quella notte invase i miei sogni.
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In The Deep
RomanceQuando credi che la vita non abbia più niente in serbo per te, che valga la pena di essere vissuto... proprio in quel momento arriverà un uragano che travolgerá ogni tua certezza. Porterá con sé gioie e dolori, restituendoti il "senso della vita"...