14. Dubbi

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Quella sensazione io l'avevo già provata... La voce sibilata tra i miei capelli, il braccio che mi cingeva con la stessa forza... io avevo già vissuto quel brivido. La seconda volta era puro terrore, era un incubo ma ci avrei giurato, quella persona che mi aveva afferrata, tenuta stretta e poi gettata sul corpo freddo e inerme di Martin Square, era la stessa che si era messa dietro di me e mi aveva indicato Nathan e Alina abbracciati, insinuando accuse spregevoli.
La stessa... persona. La stessa.
Sì Robert...

L'urlo si bloccò ancora nella parte più profonda della mia gola. Quando finalmente riuscii a prender fiato, ne uscì uno strepito camuffato, proprio come se la mia bocca fosse ancora tappata.

-Nathan...! -esclamai riacquistando man mano la voce mentre ripetevo il suo nome come una supplica rivolta chissà dove. Immediatamente sentii dei passi che battendo sul pavimento frettolosamente si fecero vicini. Due visi nel raggio della mia vista. Nathan e Johnny.

-Era un incubo... -mi accarezzò la testa Nathan con un misto di emozioni a colorargli la faccia. -Tranquilla... non muovere il braccio: Johnny ti ha messo la tua tanto adorata dose di ferro. -sorrise.

-Allora ho sognato? Il padre di Agatha non è morto? -dissi con poca forza. La mia voce flebile era speranzosa mentre tentavo di mettere a fuoco l'accaduto e cercavo di convincermi che fosse uno scherzo della mia immaginazione.

-Quello è successo per davvero purtroppo... -rispose tristemente lui guardando poi il dottore lì di fianco. Johnny strinse la mia mano per darmi coraggio. Invece quel gesto diede inizio ad un singhiozzo incontrollabile.

-Calma calma... -tentarono i due di tranquillizzarmi.

-Non sono io quella da consolare... -dissi tra le lacrime. -Agatha... Agatha come sta? ...Come l'ha presa...? Già che domande stupide! Come può averla presa...?! Dov'è?

-Credo che sia a casa dei suoi nonni, se ho capito bene. -intervenne Johnny controllando che il tubicino della flebo fosse a posto. Passò la mano sull'avambraccio come a sistemare quel fastidioso cerotto, tutti movimenti ripetuti per abitudine secondo il mio parere, poi si allontanò. Nathan si abbassò di ginocchia a terra e posò la sua guancia sulla mia abbracciandomi. Il suo odore mi giunse soave. La pelle liscia, appena rasata, sapeva di dopobarba. Per un attimo calmò la mia inquietudine.
Si scostò e asciugò il mio viso con le dita, continuando a rivolgere su di me lo sguardo.

-Ora ricordo... ho già parlato con la polizia... ma io non l'ho visto. Non ho visto in faccia chi mi ha presa e gettata sul padre di Agatha...! -farfugliai in preda all'ansia.

-Certo, non agitarti. Nessuno ti dà una colpa se non l'hai visto. -si sedette lui a gambe incrociate sul soffice tappeto blu.

Riflettei sulla frase che avevo appena detto quasi piagnucolando. Perché tentavo di farmi credere? In effetti non l'avevo visto veramente ma un sospetto si faceva sempre più certo se ripensavo a com'erano andate le cose: i muscoli sodi del braccio che mi stringeva, duri come l'acciaio, la voce dal tono fermo e deciso... troppe cose coincidevano. Troppe per non avere dei sospetti su di lui!

-Robert... -sibilarono le mie labbra appena dischiuse.

-Come? -mi domandò Nat scuotendo il capo.

-No... nulla... -tentai di rimediare alla parola che mi ero lasciata sfuggire. -Nulla.

Non potevo esserne certa e poi perché Robert avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Certo, non avrei potuto mai immaginare un buon motivo per chiunque fosse stato il killer, nemmeno quello... non avrei mai concepito quali ragioni logiche o importanti spingessero una qualunque persona a commettere quegli assassinii ma... perché nella mia testa continuava a frullare quel ragazzo? Ero talmente influenzata da lui che ormai era presente in continuazione nei miei pensieri?

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