Chapter 1.

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"Ti voglio bene." Genn mi guardò male.

"Questo lo posso dire no?" Sospiro allarmato.

Pensavo che le uniche cose che avrei dovuto evitare fossero ben più marcate.

"Meglio se eviti la parola "Ti" e quella "voglio" vicine." Sussurra al mio fianco con il suo timbro roco classico per le prime ore della giornata.

Sono le 8.14 ed io e Genn stiamo percorrendo il corridoio del primo piano per raggiungere le scale che portano al secondo.

Lui cammina veloce e deciso, io sono obbligato a seguirlo.

Non tanto perché la nostra aula non la saprei trovare da solo, ma più perché senza di lui non saprei cosa fare.

Non sarei dove andare, come prendere il cibo alle macchinette, come farmi passare i compiti dagli altri, non saprei come comportarmi se lui non fosse al mio fianco.

Conosco Genn Butch da quattro anni.

Non riesco a ritenere questi quattro anni qualcosa di grande e definito, ma posso sicuramente sostenere che siano stati quattro anni che mi hanno affiancato una persona che riesce a completarmi.

Ed è proprio così, Genn mi completa e livella in me quelle caratteristiche che neanche io apprezzo.

Lui le avvolge ed esse diminuiscono, lui attutisce l'impatto.

Ed è sempre stato così, la sua personalità, le cose che diceva, i suoi occhi, era quasi come una dipendenza.

Quel qualcosa che era così sbagliato che faceva bene.

Genn splendeva nei giorni di sole e si arricciava su se stesso in quelli in cui pioveva.

Genne era timido, ma così ero anche io, e dei due, se proprio si doveva scegliere, io lo ero ancora di più.

Genn non sorrideva spesso, e quando lo faceva era solo perché era obbligato oppure perché qualcosa gli si scaturiva dentro, nasceva proprio dall'arteria principale del cuore, era qualcosa che lui capiva ed apprezzava.

Genn non apprezzava tante cose, e se lo faceva non lo dava a notare.

Ma la musica, la musica gli piaceva tanto.

Conobbi Genn un triste pomeriggio di Maggio, quando il cielo era teso, brumoso e mamma mi aveva obbligato alle lezioni di canto che una sua cara amica teneva da qualche anno a quella parte.

L'idea di cantare ad un pubblico provocava in me una sensazione inibita, opaca.

Ero felice di potermi pavoneggiare con il tono basso e roco del mio timbro, ma, ahimè, la mia timidezza ed il mio imbarazzo mi precedevano.

Quel triste pomeriggio di Maggio era iniziato male, aveva piovuto tutto il dopo pranzo che avevo passato in uno lieve stato di sonno veglia, preso dai miei pensieri e dal mio subconscio.

Poi, forse troppo impavidamente, avevo ricordato a mamma delle mie prime prove e lei, alzando gli occhi al cielo, aveva girato le chiavi e con i tergicristalli rotti mi aveva portato in mezzo a tutta quella pioggia.

Lo studio di Sarah, l'amica di mamma, era accogliente, da quanto lo ricordavo.

C'era un'anticamera con al muro miriadi di chitarre e di cavi per permettergliene il suono, c'era un grosso dipinto e qualche foto, mentre l'unica stanza in cui sfociava il corridoio era di un grigio cupo, aveva un tavolino ancora più triste, quattro sedie, due al muro a fianco del termosifone, le altre due ai lati opposti della stanza.

Un grosso pianoforte occupava il resto dello spazio, e con pochi elementi la stanza era già stipata.

Se avessi potuto avrei richiamato mamma, che era già sfrecciata via sulla sua Peugeot rossa, per tornare a prendermi.

Ma poi lo vidi, Genn.

Ci misi qualche settimana a capire si chiamasse così, ma, con o senza nome, l'impatto che aveva avuto su di me era comunque tale.

Se ne stava davanti ad un leggio, l'unica cosa che avevo scordato tra gli elementi che ghermivano la stanza, e leggeva le parole fitte che dall'uscio non riuscivo a decifrare.

Poi Sarah mi aveva fatto accomodate nella stanza stessa ed io e il ragazzo eravamo più vicini che mai.

Mi sedetti alla prima sedia che scricchiolo e mi mise in un tale imbarazzo che se avessi potuto vedermi il viso sarei scoppiato a ridere da quanto era rosso.

Sarah scambiò qualche parola con il giovine, fece una battuta che non capì, poi lo incitò a ricominciare da dove si era interrotto per colpa del trambusto che avevo creato facendomi vedere dopo anni dalla donna che gli stava in fronte.

E così Genn cominciò a cantare e fui subito sviato dai miei pensieri per la via della sua voce.

Era roca ed illeggibile in certi punti ma comunque una delle più belle avessi mai sentito.

La canzone era una delle più famose nel repertorio di quell'anno, ed il che mi stupì, dato che non pensavo fosse una canzone da lui, invece era proprio sulle note più alte e cariche di dolore che mi ricredevo.

Era immensamente bello mentre cantava, con i capelli spettinati che gli circondavano il viso e si fermavano giusto qualche millimetro prima di quelle sue grandi pupille nere.

La carotide che gli trapassava il collo era gonfia, il corpo non restava mai fermo, preso dalle note in sottofondo che partivano dalle casse del portatile di Sarah.

I suoi occhi restavano chiusi e l'espressione del suo viso si corrugava alle note più alte.

Le sue labbra accompagnavano ogni sua parola e sembrava tutto fatto per lui.

Sembrava si trovasse a suo completo agio solo cantando.


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Eieieiei.

Okay seconda storia uooooooo.

Dunque, oggi è Giovedì e sto morendo perchè tra poco inizia x factor, grazie a Dio.

Comunque, ho deciso di scrivere questa mini-fanfic giusto per soddisfare i miei pensieri che sfociano sempre su qui due tipini chiamati Alex e Genn.

votate as always e mi piacerebbe moltissimo anche un commento per sapere che ne pensate.

luv u. xx




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