Capitolo 19

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La cucina era silenziosa, Liam canticchiava a labbra serrate il motivetto di quella pubblicità che continuavano a trasmettere e intanto spalmava alcune fette di pane tostato di marmellata. Le appoggiò sul vassoio insieme ad una tazza di caffè e si diresse deciso verso la porta infondo al corridoio. Entrò senza bussare e arricciò il naso quando l'odore di chiuso gli arrivò alle narici.

«Sveglia!» gridò, togliendo dalla scrivania alcuni vestiti per appoggiarci sopra il vassoio. Si diresse poi verso la finestra che spalancò senza preoccuparsi delle lamentele di Harry che si portò un braccio sugli occhi e si nascose sotto le coperte.

Liam gli si avvicinò e scostò il piumino dal corpo dell'amico che si portò le ginocchia al petto lamentandosi di quanto avesse freddo.

«Chiudi la finestra!»

«C'è una puzza insopportabile in questa stanza, non mi sorprenderei se trovassi un cadavere sotto il tuo letto.»

«Allora esci e lasciami dormire» borbottò Harry mettendo la testa sotto il cuscino.

Liam scosse la testa. Era preoccupato per il comportamento insolito del suo amico e quella mattina quando per l'ennesima volta si era ritrovato solo in cucina a fare colazione, aveva deciso che era giunto il momento di dare una bella svegliata a Harry. Gli faceva male vederlo in quello stato, doveva trovare una soluzione e il primo passo per rimetterlo in sesto era fargli mettere il naso fuori di casa.

«Non se ne parla» disse deciso. «È da due giorni che te ne stai rinchiuso in camera e ti dai per malato al lavoro. Oggi non puoi. Ti ho anche portato la colazione, che coinquilino ti farebbe qualcosa del genere?»

«Uno gay innamorato di me.»

«Peccato che io sia etero e che stasera esca con una ragazza che non si chiama Harry. Ora sbrigati.»

Harry sospirò, buttò il cuscino per terra e si sforzò di tenere gli occhi aperti nonostante la luce troppo forte per qualcuno appena sveglio. Si mise seduto e sbadigliò senza preoccuparsi di coprire la bocca come invece i suoi genitori gli avevano insegnato.

«Perché devi infastidirmi così tanto?»

«Perché non mi piace vederti così giù di corda per una ragazza. Morta una Juliet se ne fa un'altra.»

Harry aggrottò le sopracciglia, confuso dalle parole di Liam, poi prese la tazza di caffè che l'amico gli stava porgendo e ne bevve un lungo sorso.

«Ma Juliet non c'entra niente in tutto ciò» disse tranquillo. «Non mi sentivo molto bene, davvero.»

Sentì lo sguardo indagatore di Liam cercare di leggergli dentro ma sapeva che dal suo aspetto non avrebbe potuto dedurre niente di significativo.

Era giù, era vero, ma la colpa non era di Juliet. La colpa era sua perché per l'ennesima volta nella sua vita si era comportato da codardo. In quei giorni di apatia a letto aveva riflettuto e si era reso conto che quando bisognava scegliere se rischiare o rimanere nelle certezze, lui aveva sempre evitato le mosse coraggiose, quelle azzardate ma a volte più giuste. Anche una delle cose più audaci che avesse mai fatto non era riuscito a realizzarla da solo, aveva avuto bisogno di Juliet al suo fianco e lui sapeva bene che senza di lei non avrebbe sicuramente detto a suo padre la verità ma avrebbe risposto a qualunque sua domanda mentendo spudoratamente. E lui l'aveva ringraziata facendola scendere dalla sua macchina sull'orlo delle lacrime che era certo poi avesse versato. Si sentiva un verme, era la persona meno dignitosa sulla Terra ma Harry sapeva che nonostante gli atteggiamenti spavaldi e i mille aghi che gli avevano bucato la pelle lasciandogli segni indelebili, era un cagasotto. Quando si trattava di cose serie, di persone, di sentimenti veri, lui diventava un codardo e piuttosto che rischiare preferiva lasciare perdere, spezzare il cuore alla gente e continuare la sua vita nascondendosi da obblighi di qualunque tipo, sia scolastici che nei confronti di altre persone. Era fatto così ed era certo che niente e nessuno sarebbe riuscito a cambiarlo perciò era inutile riempire Liam dei suoi sensi di colpa, era inutile ammettere che sotto tutta quella tristezza c'era Juliet perché non sarebbe cambiato niente. A rischiare ci si ritrovava sempre con la testa fasciata o il cuore spezzato, e il fatto che suo padre non si fosse ancora fatto vivo dopo essersene andato dal ristorante senza proferire mezza parola, ne era l'ennesima prova.

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