Prologo

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"Vi sono esseri che hanno sofferto tanto, e che non solo non sono morti, ma hanno edificato
una nuova fortuna sulla rovina di tutte le promesse di felicità che il cielo aveva loro fatte."
A. D.

Il pendolo dell'orologio oscillava pigro dietro la sottile lastra di vetro colorato, quando le lancette si spostarono con uno scatto e la piccola campana segnalò lo scoccare delle nove in punto.

Il fuoco nel camino scoppiettava già da parecchie ore; non era necessario ma sua madre amava le ombre che proiettava nella stanza buia e diceva che lo sfrigolare della brace le faceva ricordare i bei momenti del passato.
Lei, al contrario, trovava terribile restare in salotto accanto a quello strumento di morte, la inquietava, ma aveva dovuto imparare a dissimulare il fastidio.
Prese un libro dall'imponente libreria e si sedette sulla sua poltroncina, il più lontano possibile dalla malefica fonte di calore.
Conosceva a memoria ogni pagina di ogni tomo rilegato presente in quella casa, ma non aveva molte altre alternative alla lettura che non comprendessero attività prettamente femminili, come il cucito.
Era fin troppo curiosa di scoprire il mondo per restare affascinata dai pizzi e dai centrini, pensò sfogliando le pagine ruvide del romanzo che aveva scelto. Non era il suo preferito, di solito prediligeva storie a lieto fine, ma era stata attratta dalla copertina rossa come una falena dalla luce.

"Il 24 febbraio 1815 la vedetta della Madonna della Guardia dette il segnale della nave a tre-alberi il Faraone, che veniva da Smirne, Trieste e Napoli.
Com'è d'uso, un pilota costiere partì subito dal porto, passò vicino al Castello d'If e salì a bordo del naviglio fra il capo di Morgiou e l'isola di Rion...
"

Sospirò guardandosi le punte delle scarpette di seta, i libri non le erano mai sembrati così poco interessanti come quella sera.
«Qualcosa ti turba, cara?»
Sua madre, i capelli biondo cenere raccolti in uno chignon e lo sguardo assorto rivolto verso le fiamme danzanti, accarezzava con gentilezza il manto scuro del loro gatto, Illys, che dormiva accoccolato sulle sue ginocchia.
La controllava con costanza, da sera a mattina, senza darle tregua. Cosa si aspettava? Di vederle sgozzare la cameriera?
«No» sbuffò chiudendo il grosso tomo con un tonfo.
«Bene» asserì la madre ignorando i suoi sottintesi «non avresti alcun motivo di esserlo».

In effetti aveva parecchi motivi per essere turbata e pretendeva almeno un pizzico di comprensione. Le sue sorelle avevano smesso da tempo di completare quel quadretto familiare, avevano il permesso di uscire e partecipare alle feste organizzate dalle famiglie più ricche della città. Lei, invece, secondo sua madre era ancora troppo giovane, non avrebbe saputo controllarsi e si sarebbe cacciata nei guai.
Era ormai sul piede di guerra, ma ogni pensiero di rivalsa fu accantonato quando sua sorella Violet le raggiunse.
«Buonasera!» esclamò sollevando di qualche centimetro il lungo vestito avorio.
Violet era la più bella, il gioiello prezioso di cui sua madre andava fiera. Non era troppo alta, né troppo magra, il suo corpo era armonia e proporzione, i lunghi capelli biondi erano lisci e lucidi, gli occhi grandi e blu come l'oceano le illuminavano il viso e ammaliavano chiunque con un solo battito di ciglia. Fece una giravolta su se stessa e la stoffa dell'abito baluginò alla luce del fuoco e delle lampade, mentre i gioielli appuntati tra i capelli tintinnarono gioiosi e argentini come la sua risata.
«Come sto?»
«Oh, cara, sei splendida» la madre le rivolse uno dei suoi rari sorrisi compiaciuti. «Laurel è ancora di sopra?»
«Sì, sta finendo di prepararsi. Stasera è la gran sera!» rise portandosi le mani alle guance imbellettate.
Violet e Laurel erano in cerca di un compagno, ma tutti quelli che avevano preso in considerazione fino ad allora si erano sempre rivelati troppo deboli, gracili, incapaci di sostenere il peso di una vera relazione con le sue sorelle.
Tutti, tranne loro.
Sir Benjamin e sir Jordan erano fratelli, appartenevano ad una ricchissima nobile famiglia inglese, giunta da poco in America per acquistare terreni ed ampliare così il proprio patrimonio. Erano forti, avevano già combattuto in prima linea e ne erano usciti vincitori con tanto di medaglie, parlavano fluentemente il francese e sembrava non ci fosse nulla che non fossero in grado di fare.
Avevano conosciuto le sue sorelle ad un evento di beneficienza e da allora avevano iniziato il "rituale" di corteggiamento (come lei amava chiamarlo), consistente in incontri occasionali che di occasionale non avevano nulla. Fatta eccezione per quella sera, in cui finalmente avrebbero conosciuto sua madre in veste formale.
Loras, il vecchio maggiordomo, arrivò in salotto con passo fermo e naso all'insù, così rigido che le venne spontaneo chiedersi se non avesse fatto il bagno nell'amido.
«Mie signore, vi comunico che sir Benjamin e...»
«Oh, my God! Sono già qui!» esplose gioiosa Violet «Madre, madre! Sono così felice che sento il cuore scoppiare di gioia»
«Violet, cara, contegno» la rimproverò la madre guardandola di traverso. «E tu, corri di sopra a chiamare Laurel e poi restaci. Non possiamo permetterci danni collaterali»
«Ti prego, madre...!» provò a protestare lei ma lo sguardo inflessibile della donna la indusse a desistere.
Si avviò affranta su per le scale e stava per svoltare l'angolo, quando sentì una voce calda ed avvolgente: la voce di un uomo.
In fondo, si disse, sua sorella sarebbe scesa comunque prima o poi, così si acquattò sulla rampa sperando che nessuno la scoprisse. Da quella posizione riusciva a vedere solo l'ingresso, mentre le voci si confondevano e si facevano sempre più distanti man mano che gli ospiti si allontanavano in salotto.
Si morse le labbra contrariata, non aveva ancora sviluppato l'udito.
«E tu che ci fai qui?» una mano le si posò sulla spalla e per poco non urlò.
«Laurel! Che spavento!» si rimise in piedi aggiustandosi la gonna «Perdonami, avrei dovuto avvisarti, ma...»
«Ma eri troppo curiosa di vedere i due gentiluomini invitati a cena, dico bene?» le sorrise comprensiva.
«Scusami» abbassò lo sguardo affranta, pronta a ricevere uno dei pacati rimproveri alla Laurel che avevano il potere di farla sentire in colpa.
Sua sorella invece trattenne a stento una risata.
«Non scusarti, sembri una bambina colta con le mani nella marmellata. Ora andiamo o faremo tardi» la tirò per un braccio.
«C-che cosa? Andare dove?!»
«A cena, che domande!» ridacchiò «Voglio farti conoscere sir Benjamin, sono certa che lo adorerai»
«Dai Laury, non prendermi in giro, mamma e Violet non approverebbero mai» roteò gli occhi al cielo esasperata.
«Certo che no, ma ormai dimostri almeno sedici anni, sarebbe sconveniente allontanarti senza una giusta causa».
Corrugò la fronte in preda al dilemma più grande della sua vita. Era curiosa, ma anche spaventata...
«E se non riuscissi a...?»
«Ci riuscirai, io mi fido di te» eccolo, il sorriso che avrebbe fatto sciogliere i ghiacciai del circolo polare artico.
Con quel dannato sorriso avrebbe convinto persino la regina d'Inghilterra a cederle la corona.
«Va bene, ma la responsabilità è tua» sospirò accettando ancora incerta il braccio che Laurel le stava porgendo.
«Davvero fantastico, sembri nostra madre» le diede un buffetto sul naso.
Adorava Laurel, tra i componenti della sua famiglia era quella che le ricordava di più suo padre. Aveva gli stessi riccioli castani e gli occhi color miele, lo stesso carattere mite. La ammirava e non riusciva a capire cosa tutti vedessero di tanto speciale in Violet.
Le sue sorelle erano agli antipodi.
Violet era civettuola e frivola, rideva spesso senza motivo, sapeva essere crudele con chi riteneva inferiore a lei e non aveva il minimo rispetto per la vita umana.
Laurel, invece, era gentile e coraggiosa, aveva sempre una parola buona per tutti e anche nei momenti più bui era la roccia a cui gli altri si aggrappavano per non affondare.
Le strinse la mano e le sorrise mentre attraversavano il salotto, dirette alla sala da pranzo.
«Coraggio! Se ti dimostri così nervosa sarai rimandata a letto»
«Ma avevi detto che...»
«Sì, sì, lo so» arricciò il naso «tu però prova a calmarti, ok? Fai come faccio io: testa alta, sorriso cordiale, passo deciso»
«Facile per te, non sei indesiderata e poi... guardami» indicò il suo semplice abito color lavanda «Sembro una giovane governante»
Laurel rise scuotendo la testa «Be', meglio così, nessuno penserà con vuoi mettere in cattiva luce Violet»
«C-cosa? Come potrei?»
«Davvero non lo sai? Stai diventando sempre più bella, Violet mi ha detto di essere preoccupata e, ora che ti guardo, lo sono anch'io» le fece l'occhiolino.
Non aveva mai pensato a sé stessa come una possibile minaccia per altre donne, ma d'altronde doveva ancora fare il suo debutto ufficiale in società quindi non aveva avuto occasione di confrontarsi con nessuna a parte le sue sorelle. La sola idea le fece sentire a disagio.
«Pronta?» disse Laurel guardandola negli occhi.
Erano giunte di fronte all'entrata, si vedeva in fondo il lungo tavolo illuminato dalla luce dei candelabri. Le candele accese si riflettevano sui numerosi specchi e sulle cornici dorate dei quadri, sugli stucchi che ornavano le pareti e sui profili dei mobili intarsiati, mentre nell'aria era si diffuso il profumo dei fiori freschi che sua madre aveva fatto preparare nel pomeriggio.
Ortensie e crisantemi, una scelta insolita, ma d'altro canto loro non erano mai stati una famiglia prevedibile.

L'odore della Morte || Teen Wolf FanfictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora