Capitolo IV - Verità Nascoste

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Ricominciare.
Da quando i suoi genitori erano morti era diventata l'espressione preferita da tutti, non facevano che ripeterle quanto fosse importante mettere un punto e voltare pagina. E lei li odiava per questo.
Non esistevano pagine da voltare, nè punti da tracciare, c'era solo il dolore dei ricordi a strapparle il cuore dal petto e, in fondo, era giusto così. Non avrebbe potuto ignorare di essere orfana solo per far contenti gli altri, non avrebbe potuto dimenticare sua madre e suo padre, la telefonata dall'ospedale, né le lapidi di pietra scura bagnate dalla pioggia nel giorno del funerale.
No, ricordare e soffrire era l'unico modo che aveva per non impazzire, per non ritrovarsi un giorno a fingere di divertirsi per poi esplodere all'improvviso in mille pezzi.
Doveva attraversare quel mare a nuoto per raggiungere la riva.
«Ecco qua! Una bella colazione sostanziosa per la mia sorellina che oggi ricomincia ad andare a scuola».
Seduta al tavolo in cucina, osservò senza troppo interesse i pancake bruciacchiati e i mirtilli rinsecchiti nel piatto. Di solito mangiava tutte le poltiglie informi che Valerie le metteva sotto il naso, ma quella mattina era troppo in ansia anche solo per tentare di mandare giù un boccone.
«Agitata?» le chiese, finendo di allacciarsi le scarpe.
«Un po'»
«Be', se può consolarti, lo sono anch'io. È il mio primo giorno di lavoro e...»
«...e voglio fare buona impressione!» imitò il tono squillante di sua sorella, che le mostrò la lingua di rimando.
«Scherza quanto vuoi, ma io punto a conquistare la fiducia dello sceriffo. Mi hanno detto che è un tipo severo, sai, di quelli tutti d'un pezzo che preferirebbero prendere una pallottola in fronte piuttosto che cedere» infilò la pistola nel fodero, poi indossò la giacca e il distintivo dorato baluginò, colpito dai primi raggi di luce provenienti dalla finestra.
Sua sorella era un agente di polizia, o meglio, si apprestava a diventarlo a tutti gli effetti. Era nata dal primo matrimonio di suo padre, ma aveva preso il cognome della madre, Clarke, da quando lui aveva deciso di tagliare tutti i ponti con Beacon Hills. Non era stato facile durante le prime settimane e continuava a non esserlo.
Era davvero grata a Valerie e l'unico motivo per cui continuava ad alzarsi dal letto ogni mattina era per non deluderla, per non farla pentire della sua scelta.
«Sicura di voler prendere il rottame?»
«Sì, tranquilla, me la caverò».
Il rottame in questione era una Chevrolet Blazer, datata 1989, la macchina di Val prima che la polizia le fornisse un nuovo SUV con cui muoversi per la città.
Era vecchia e faceva un rumore simile a quello di chiodi in un frullatore, ma almeno non aveva dei grossi lampeggianti sul tettuccio a segnalare a tutti la presenza della ragazza appena arrivata in città.
«Attenta a non perdere i pezzi per strada, mi raccomando» disse Valerie, mentre chiudeva la porta di casa.
«Non perderò un bel niente, il mio Blazer è affidabile»
«Sì, a parte quando si spegne all'improvviso» se la rise salendo in auto.
«Molto divertente, ah ah ah»
«Ricordi ancora la strada?» le disse Val affacciandosi dal finestrino, ormai pronta ad andare.
«Sì, non ti preoccupare, vai, ci vediamo stasera».
Non si era mai persa a Chicago, dubitava che potesse succedere a Beacon Hills.
Sospirò pensando a quanto fosse piccola e che, come in ogni piccolo agglomerato urbano, tutti di sicuro si conoscevano dalla culla.
Era arrivato il tanto temuto primo giorno di scuola e due opzioni si prospettavano: condizione di emarginata o di attrazione circense. Nella prima si trovava a suo agio, era il suo campo, la gente la ignorava e lei la ignorava a sua volta, non temeva la solitudine, anzi la preferiva a qualsiasi compagnia indesiderata. La possibilità di essere vista come la "ragazza con un passato difficile" non la attraeva per niente... al solo pensiero le veniva voglia di scappare a rifugiarsi nel bosco. Magari per sempre.
L'unica nota positiva era che conosceva qualcuno, Marie, la sua migliore amica ai tempi in cui aveva vissuto lì con la sua famiglia, prima che si trasferissero. Era stato imbarazzante ricontattarla, ma lei si era dimostrata dolce e gentile esattamente come la ricordava.
Si erano date appuntamento nel parcheggio della scuola alle otto, ma decise di andare comunque per poter sbrigare le ultime pratiche amministrative e non farsi notare da tutti gli studenti a causa del rumore della sua auto. Fu così brava da giungere lì ancora prima che la scuola aprisse. Sbuffò pesantemente e guardò l'orologio: le 7:06.
Avrebbe giurato che la Beacon Hills High School distasse più di sei minuti da casa, ma era evidente che il traffico della grande città aveva distorto il suo concetto di spazio.
Nonostante il sole si fosse levato da più di un'ora le nuvole lo coprivano e la scuola era avvolta dalla nebbia, tetra e inquietante come nei migliori film dell'orrore.
Parcheggiò in uno dei tanti posti vuoti e decise di rimanere in auto ad attendere un segno di vita.
Stava osservando affascinata i disegni tracciati dalle goccioline di condensa sul finestrino, quando ad un tratto le parve di scorgere una figura alta e scura muoversi nella sua direzione.
Un brivido le percorse la schiena e subito chiuse le sicure e tolse le cuffie, pronta a schizzare via dal parcheggio. Restò in attesa, senza nemmeno respirare, mentre i battiti si inseguivano veloci nel petto e la mano si stringeva forte al volante.
Si ripetè mentalmente che quella cittadina sperduta era l'ultimo posto dove incontrare serial killer mattutini e per un attimo sembrò funzionare.
"E se fosse un orso?"
Era abbastanza plausibile ed era ormai pronta a girare la chiave, ma l'ombra scura scomparve, letteralmente, mentre la foschia si diradava e qualche raggio di sole raggiungeva timido il parcheggio.
Guardò l'orologio per l'ennesima volta e lo tenne a mente fino alle 7:37, quando una vecchia auto dalla carrozzeria verde scolorito entrò nel parcheggio e posteggiò poco distante da lei.
Una signora, con indosso un pesante cappotto di panno e una pacchiana chioma rosso fuoco, si diresse con lentezza verso l'entrata della segreteria. Avrebbe tanto voluto abbandonare il suo "rifugio" ed avvisarla, ma non ci riuscì, in parte bloccata dal dubbio che fosse tutto frutto della sua mente suggestionata. Solo quando capì che il "pericolo" era ormai scampato si affrettò a chiudere la macchina e a correre nell'ufficio, badando a non guardarsi intorno.
Una volta dentro, l'ambiente secco a causa del riscaldamento, e impregnato da un'orribile acqua di colonia rischiò di ucciderla; la segretaria, l'anziana signora con i capelli rossi, priva di conoscenze informatiche e rimasta bloccata agli anni ottanta, riuscì a stampare ben sette orari diversi prima di azzeccare quale fosse il suo e, infine, la costrinse ad una caccia al tesoro per scovare il modulo da compilare.
«Perdonami, tesoro, questa mattina è partita con il piede sbagliato» le disse con tono lacrimoso mentre lei metteva l'ultima firma.
Sollevò gli occhi dal foglio e la vide asciugarsi le guance con un fazzoletto.
«Si sente bene?»
«Sì, sì, non preoccuparti cara... è solo che... quei bravi ragazzi... così innocenti» scoppiò in lacrime.
«Di chi sta parlando? Quali ragazzi?» le chiese stranita.
«Tre ex-allievi, i loro cadaveri sono stati ritrovati questa mattina nel bosco, credevo lo sapessi cara»
«No, a dire il vero no...»
Il cellulare le vibrò in tasca: Marie era arrivata.
Consegnò i moduli e, ancora sconvolta dalla notizia, raggiunse la sua amica davanti all'ingresso della scuola.
Marie era ancora la timida bambina bionda dai grandi occhi verdi e dal sorriso dolce e mite. Quando vide Hayden le andò incontro di corsa e per poco non le cadde addosso.
La abbracciò con lo stesso trasporto di quando si erano riviste la prima volta e Hayden avvertì sul collo il suo fiato gelido. "Che strano..." pensò, le temperature non erano poi così basse, eppure Marie era fredda come se fuori stesse nevicando.
«Eccoti finalmente! Dov'eri finita?»
«Scusa, ero in segreteria per quei moduli e la signora ci ha messo un po'» provò a giustificarsi ma Marie non la stava ascoltando. La vide sistemare con dita tremanti il nodo del piccolo foulard rosa pastello che aveva legato al collo e portare i lunghi boccoli biondi su una spalla.
Guardandola da vicino si accorse che era più pallida del solito.
«Marie, tutto bene?» le sfiorò un braccio per attirare la sua attenzione.
«Sì, sto bene, è solo che...» le si avvicinò «hanno trovato dei cadaveri nel bosco proprio stamattina» sussurrò piano per non farsi sentire dagli altri.
«Mio zio ha detto che in centrale si è scatenato di nuovo l'inferno, come l'anno scorso»
«Che è successo l'anno scorso?» la teoria del serial killer di campagna cominciava a sembrarle meno assurda.
«La stessa cosa, cadaveri ovunque» rispose sbrigativa sbracciandosi per salutare qualcuno alle spalle di Hayden.
«Adesso vieni con me, ti voglio presentare una persona» aggiunse poi trascinandola via.
Correva come una bambina davanti al camioncino dei gelati e, a metà strada, la lasciò andare per gettare le braccia al collo di un ragazzo che Hayden non aveva mai visto prima.
Appena più basso di Marie e poco più alto di lei, era biondo e aveva luminosi occhi azzurri. Ricambiò l'abbraccio della sua amica con un sorriso smagliante e la baciò con dolcezza sulle labbra.
«Hayden, lui è Liam, il mio ragazzo» disse Marie dopo essere tornata letteralmente con i piedi per terra. Non l'aveva mai vista così radiosa e si sentì felice per lei.
«Piacere di conoscerti, Mary mi ha parlato di te» disse lui stringendole la mano.
Hayden ricambiò con un sorriso imbarazzato e, dopo qualche minuto di convenevoli e smancerie, si ritrovò invitata ad una festa che non era stata ancora organizzata, ma che prometteva di essere la più "figa dell'anno". Dopo tutto, Marie non era più la ragazzina ingenua di un tempo.

L'odore della Morte || Teen Wolf FanfictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora